Rapporto sulle Notizie Digitali 2025: social prima fonte news negli USA. E l’Italia?

di Livio Varriale
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Il Rapporto sulle Notizie Digitali 2025, pubblicato annualmente dal Reuters Institute for the Study of Journalism (RISJ) dal 2012, presenta i risultati di un’indagine condotta su quasi 100.000 persone in 48 paesi (con la Serbia inclusa per la prima volta quest’anno) riguardante il loro consumo di notizie. Questa analisi tecnica riassume le principali scoperte, evidenziando cambiamenti significativi nel panorama mediatico globale ed una analisi di scenario anche italiano.

Evoluzione delle fonti di Notizie: il sorpasso dei social media

Per la prima volta, i social media e le app video hanno superato la televisione come fonte di notizie più utilizzata dagli americani. La proporzione di persone che accedono alle notizie tramite social media e reti video negli Stati Uniti è salita al 54%, superando sia le notizie televisive (50%) che i siti web/app di notizie (48%). Questo cambiamento è più rapido e impattante negli Stati Uniti rispetto ad altri paesi.

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Questo spostamento non riguarda solo i numeri: i “creatori” di contenuti sui social media attraggono pubblici che i media tradizionali faticano a raggiungere. Questi includono giovani uomini, pubblici di destra e coloro che nutrono scarsa fiducia nei media mainstream, percepiti come faziosi o parte di un’élite liberale. Sebbene l’ascesa dei social media per le notizie sia una tendenza globale, la sua intensità varia; ad esempio, è relativamente piatta in Giappone e Danimarca, ma in aumento in paesi con politiche polarizzate come il Regno Unito (20%) e la Francia (19%). Gli Stati Uniti si allineano a paesi dell’America Latina, Africa e parti dell’Asia, dove la forte dipendenza dai social media e la polarizzazione politica sono fenomeni consolidati.

La transizione al contenuto video: un “Pivot” Globale

Nonostante precedenti scetticismi, la preferenza degli utenti di notizie a livello globale si sta spostando verso il contenuto video. Le preferenze per il testo rispetto al video variano significativamente per paese, con nazioni più ricche come Norvegia, Germania e Regno Unito più propense alla lettura, mentre India, Messico e Filippine sono più propense alla visione.

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All’interno dei paesi, si osservano nette differenze generazionali: i gruppi più giovani (18-24 anni) preferiscono notevolmente guardare o ascoltare le notizie rispetto ai gruppi più anziani. Negli Stati Uniti, la quota di popolazione che consuma video di notizie almeno settimanalmente è aumentata dal 55% al 72% tra il 2021 e il 2025, con la maggior parte di questi video visualizzati su piattaforme sociali. Le piattaforme più orientate al video tendono a favorire “creatori” piuttosto che editori di notizie tradizionali, specialmente su TikTok, dove gli editori hanno difficoltà ad adattare contenuti giornalistici in uno spazio informale e temono la cannibalizzazione del traffico sui propri siti.

Mercato degli abbonamenti digitali

Nei 20 paesi con i mercati di abbonamento digitale più forti, circa il 18% delle persone ha pagato per una fonte di notizie online nell’ultimo anno, con gli Stati Uniti leggermente al di sopra al 20%. Escludendo i paesi scandinavi, nessun paese supera il 22% (Svizzera).

Il rapporto indica che la vasta maggioranza del pubblico rimane non disposta a pagare per le notizie online. Sebbene i livelli di abbonamento siano più che raddoppiati negli ultimi dieci anni, sembrano aver raggiunto un “tetto”. Gli editori hanno già acquisito molti di coloro che erano disposti a pagare, e il clima economico teso ha reso difficile persuadere altri. La maggior parte dei paesi presenta un mercato “il vincitore prende quasi tutto”, dove i quotidiani nazionali di fascia alta attraggono una grande proporzione di utenti.

Negli Stati Uniti, ad esempio, il New York Times ha esteso il suo vantaggio sul Washington Post grazie a un abbonamento “all-access” di successo che include giochi, ricette, audio sport e recensioni di prodotti. Sebbene alcune offerte di bundle abbiano avuto successo in Norvegia, l’idea di raggruppare più editori con interessi diversi rimane una sfida. Il 71% degli americani non abbonati ha dichiarato di non essere interessato a varie opzioni di bundle proposte.

Frammentazione del consumo di notizie sui Social Media

Il consumo di notizie sui social media continua a frammentarsi. Attualmente, sei piattaforme (Facebook, YouTube, Instagram, WhatsApp, X, e TikTok) hanno una portata settimanale per le notizie superiore al 10%, rispetto a sole due (Facebook e YouTube) un decennio fa. Nonostante un “X-odus” diffuso da parte di liberali e giornalisti verso piattaforme come Bluesky e Threads, X (ex Twitter) non ha perso la sua portata per le notizie in 12 paesi studiati. Tuttavia, X ha avuto una netta svolta a destra dopo l’acquisizione da parte di Elon Musk, con la proporzione di utenti che si identificano a destra triplicata.

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Al di fuori degli Stati Uniti, la crescita più significativa si registra su TikTok, dove un terzo del campione globale (33%) lo utilizza e circa il 17% lo fa per le notizie. La crescita più rapida è stata osservata in Thailandia (49%), mentre l’uso complessivo di TikTok per le notizie negli Stati Uniti (12%) e in Europa (11%) è significativamente inferiore.

Disinformazione e divario di Risorse per la Verifica

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Le fonti di notizie che mirano all’autorevolezza non raggiungono le persone meno privilegiate con la stessa efficacia con cui servono quelle più privilegiate. Oltre un terzo degli intervistati (38%) si rivolge a una testata giornalistica di fiducia per verificare se le informazioni sono false o fuorvianti. Tuttavia, gli utenti più giovani sono più propensi a verificare sui social media, leggendo commenti di altri utenti o utilizzando chatbot AI.

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Le persone con minore istruzione e reddito basso sono più propense a dichiarare di non sapere dove andare per verificare le informazioni, e meno propense a controllare più fonti, o a rivolgersi a fonti di notizie fidate, fonti ufficiali, motori di ricerca o fact-checker. I fact-checker, pur avendo meno riconoscimento del marchio rispetto ai principali organi di stampa, svolgono un ruolo importante in momenti di dubbio.

Notifiche Push: utilizzo e sovraccarico

Le notifiche push e le newsletter sono un modo affidabile per favorire l’uso frequente dei prodotti di notizie da parte degli utenti esistenti. Circa un quinto delle persone utilizza gli avvisi di notizie settimanalmente, e il 9% li considera la loro principale “gateway” alle notizie. Sebbene l’uso delle notifiche sia cresciuto, molti consumatori si sentono sopraffatti, e sia Apple che Google hanno introdotto strumenti per ridurle. La vasta maggioranza degli intervistati (79%) ha dichiarato di non ricevere alcun avviso di notizie durante la settimana media. Esistono significative differenze geografiche, con utenti nel Sud del mondo, in particolare Kenya e India, che ricevono molte più notifiche rispetto ad altri luoghi.

Intelligenza Artificiale nel Giornalismo: adozione e scetticismo

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Gli atteggiamenti del pubblico verso l’IA variano notevolmente per regione, con un chiaro divario tra il pubblico europeo e quello asiatico. Paesi come Croazia, Finlandia, Danimarca e Belgio sono i più scettici riguardo alle storie “prodotte principalmente dall’IA con una supervisione umana”. Al contrario, il 44% dei lettori indiani e il 38% di quelli thailandesi si sentono a loro agio con tali storie, rispetto all’11% nel Regno Unito. Questo divario è parzialmente attribuito a tassi di adozione più elevati sia tra gli editori che tra i consumatori in paesi come l’India, dove i giornali hanno lanciato canali YouTube parzialmente automatizzati con presentatori avatar AI. Circa un quinto dei lettori indiani utilizza settimanalmente chatbot come ChatGPT o Google Gemini per accedere alle notizie, un dato significativamente superiore al 3% nel Regno Unito.

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Le app di aggregazione di notizie, che combinano curatela algoritmica e manuale, sono più diffuse. Alcune di queste app stanno ora integrando l’IA generativa nei loro prodotti, principalmente per l’invio di notifiche push mobili, che sono diventate un modo critico per fornire notizie in tempo reale, soprattutto nei mercati mobile-majority e Android-first in Asia meridionale, America Latina e Africa. Negli Stati Uniti, Newsbreak ha attirato utenti con la sua forma di personalizzazione AI, ma è stata criticata per aver diffuso storie di cronaca fabbricate dall’IA. Incidenti simili, come gli avvisi di notizie generati dall’IA di Apple News poi ritirati a causa di errori, mostrano che, sebbene l’IA possa semplificare la produzione, rischia anche di alienare il pubblico, specialmente nei mercati più scettici.

Dominanza dello Smartphone nell’Accesso alle Notizie

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Lo smartphone continua a rafforzare il suo ruolo come dispositivo primario per l’accesso alle notizie. Negli Stati Uniti, il 39% degli intervistati afferma che lo smartphone è il primo mezzo attraverso cui incontrano le notizie al mattino, percentuale che sale al 57% tra gli americani under 35. Proporzioni simili si riscontrano nel Regno Unito (37%), in Sudafrica (38%) e in Danimarca (35%).

Popolarità dei podcast di notizie e peculiarità del Mercato USA

Per la prima volta, il rapporto ha indagato il consumo settimanale di podcast di notizie. A livello globale, il 9% delle persone ascolta podcast di notizie settimanalmente, con variazioni significative per regione (dal 3% in Giappone al 15% negli Stati Uniti). La popolarità negli Stati Uniti riflette gli investimenti del settore; lì, una proporzione simile di persone consuma podcast di notizie ogni settimana come legge un quotidiano stampato o una rivista (14%) o ascolta notizie e attualità alla radio (13%).

Negli Stati Uniti si osserva una divisione tra “show basati su analisi di marchi tradizionali” (es. The Daily del New York Times) e “podcast guidati dalla personalità” che trattano principalmente commenti o punti di vista, molti dei quali sono di destra (es. The Joe Rogan Experience). YouTube è diventata la più grande piattaforma di distribuzione di podcast negli Stati Uniti, riflettendo un passaggio verso i podcast “video-first”, che è in gran parte un fenomeno americano trainato da host con grandi personalità. Al di fuori degli Stati Uniti, Spotify e le app dei media pubblici (es. BBC Sounds) dominano il mercato, e il pubblico preferisce analisi imparziali piuttosto che host con opinioni marcate.

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La disponibilità a pagare per i podcast è più alta che per le notizie online in generale: il 42% degli ascoltatori di podcast di notizie in 20 paesi sarebbe disposto a pagare un “prezzo ragionevole” per i podcast che apprezzano, rispetto al 18% disposto a pagare per notizie online di qualsiasi tipo.

Riferimento all’Italia

Secondo l’ultima analisi di Reuters, il mercato editoriale italiano risulta poco appetibile. Tra i dati più indicativi spicca la percentuale di utenti che, nell’ultimo anno, hanno pagato per accedere a notizie online: l’Italia chiude la classifica dei paesi esaminati. Al vertice si collocano Norvegia e Svezia, seguite da Svizzera, Australia, Austria, Finlandia, Irlanda, Stati Uniti e Danimarca, nazioni che si attestano sopra la media. Sotto la media compaiono gli altri paesi europei, dai Paesi Bassi fino, appunto, all’Italia.

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Un altro indicatore significativo riguarda l’uso dei podcast: l’Italia è sesta dal fondo, con performance peggiori solo per Belgio e Spagna nel contesto europeo; al contrario, Stati Uniti, Irlanda e Danimarca mostrano una forte propensione a questo formato.

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Ecco un articolo giornalistico tecnico e approfondito sul panorama mediatico italiano, basato sulle informazioni fornite dalla fonte del Reuters Institute for the Study of Journalism:

Una battaglia per i ricavi e la fiducia

Il mercato mediatico italiano sta vivendo una profonda trasformazione, plasmata dalla rapida ascesa delle piattaforme digitali e dal ruolo persistente, ma in mutamento, della televisione. Questo scenario presenta sfide significative per gli operatori mediatici tradizionali domestici, che si trovano a fronteggiare il dominio sui ricavi online di aziende tecnologiche internazionali come Google, Meta e Netflix.

La resilienza della televisione e l’ascesa dello streaming

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Nonostante l’avanzata digitale, la televisione conserva un ruolo predominante nel panorama dei media tradizionali italiani, generando quasi il 72% dei ricavi del settore. Storicamente caratterizzato da un’alta concentrazione di proprietà tra il servizio pubblico RAI e il gruppo Mediaset della famiglia Berlusconi, il settore televisivo italiano ha mostrato una leggera diminuzione della concentrazione negli ultimi tempi. La RAI rimane l’attore principale, seguita dall’operatore di pay-TV Sky e da Mediaset; insieme, questi tre detengono ancora circa il 70% dei ricavi televisivi totali. Tuttavia, un cambiamento significativo è l’affermazione marcata delle piattaforme di streaming come Netflix, DAZN, TIM, Amazon e Disney, che hanno raggiunto quasi il 20% del totale dei ricavi televisivi. La loro importanza si riflette anche nella portata settimanale offline, che continua a essere dominata dalle principali emittenti.

Monopolio pubblicitario digitale e le difficoltà della Stampa

Il settore della pubblicità online è in continua crescita in Italia, rappresentando ora il 61% dei ricavi pubblicitari totali. Questo segmento, tuttavia, è estremamente concentrato: le maggiori piattaforme internazionali si accaparrano un impressionante 85% dei ricavi pubblicitari digitali, lasciando agli editori tradizionali solo un residuo 15%, rendendo la loro competitività ardua.

Nel frattempo, la stampa affronta un declino continuo e sfide significative. Sviluppi recenti lo testimoniano: l’edizione italiana del quotidiano gratuito Metro ha cessato le pubblicazioni alla fine del 2024, sia in formato cartaceo che online, dopo 25 anni. Il gruppo GEDI sta proseguendo una serie di disinvestimenti, come la vendita del quotidiano locale Provincia Pavese, e ha operato un ennesimo cambio di direttore a La Repubblica, indicando sforzi per riconnettere la testata con la sua identità editoriale originale. Solo Il Corriere della Sera e La Repubblica sono utilizzati settimanalmente da almeno il 10% degli intervistati tra gli organi di stampa.

Panorma delle notizie Online e i modelli di ricavo alternativi

La portata delle notizie online presenta un quadro molto diverso. Sebbene siti di emittenti come Mediaset, Sky e RAI rimangano popolari, essi sono sfidati online dai siti di importanti quotidiani come La Repubblica, Corriere della Sera e Il Fatto Quotidiano, oltre che dall’agenzia di stampa nazionale ANSA. L’attore principale consolidato nel panorama online è Fanpage, testata nativa digitale lanciata nel 2010. Altri brand digital-native, tra cui Il Post e Will Media, raggiungono un pubblico complessivamente più piccolo ma performano bene tra gli utenti più giovani.

Una tendenza significativa tra le testate giornalistiche italiane nate digitalmente è lo spostamento verso modelli di membership. Fanpage, ad esempio, ha lanciato un’iniziativa di membership in cui i contenuti principali rimangono gratuiti per mantenere alti i volumi di traffico e i ricavi pubblicitari, mentre gli abbonati ottengono accesso a funzionalità extra come podcast esclusivi, newsletter ed esperienza senza pubblicità. Questa mossa riflette un trend più ampio tra i media digital-native italiani per diversificare i ricavi oltre le decrescenti entrate pubblicitarie, coinvolgendo attivamente il proprio pubblico. Tuttavia, un ostacolo persistente è la scarsa propensione a pagare per le notizie online in Italia, con solo il 9% degli intervistati che lo fa.

Intelligenza Artificiale e Privacy

L’intersezione tra media e intelligenza artificiale sta aprendo nuove discussioni. Alla fine del 2024, l’Autorità Garante per la Protezione dei Dati italiana ha ammonito GEDI riguardo alla sua partnership pianificata con OpenAI, sollevando preoccupazioni su potenziali violazioni delle norme sulla privacy dell’UE. L’accordo prevedeva l’accesso da parte degli utenti di ChatGPT a citazioni, contenuti e link alle pubblicazioni GEDI, e l’utilizzo del giornalismo dell’editore per migliorare la precisione dei prodotti OpenAI; il garante ha però messo in guardia contro il possibile uso improprio di dati personali sensibili contenuti nel materiale d’archivio.

Un esperimento provocatorio in questo campo è avvenuto a marzo 2025, quando Il Foglio ha pubblicato quella che ha descritto come la prima edizione di un quotidiano al mondo interamente generata dall’intelligenza artificiale, inclusi titoli, articoli, editoriali e lettere dei lettori. L’iniziativa è stata presentata come un esperimento a tempo limitato e deliberatamente provocatorio, mirato a stimolare il dibattito sul ruolo in evoluzione dell’IA e degli strumenti digitali nel giornalismo.

La sfida della fiducia nel contesto mediatico

Il livello di fiducia complessiva nelle notizie in Italia rimane relativamente basso, attestandosi al 36%. Gli organi di informazione percepiti come più neutrali nella loro posizione politica tendono a godere di maggiore fiducia. Testate come Fanpage e Il Post registrano punteggi di fiducia inferiori, probabilmente perché sono più fidate dal pubblico più giovane, mentre gli utenti più anziani tendono a riporre meno fiducia in esse. In termini di libertà di stampa, l’Italia si posiziona al 49° posto su 180 secondo l’indice di Reporters Without Borders.

In sintesi, il mercato mediatico italiano è un ecosistema complesso e in fermento, alle prese con la transizione digitale, la ridefinizione dei modelli di business, la sfida della fiducia del pubblico e l’integrazione cauta dell’intelligenza artificiale, il tutto mentre i giganti tecnologici globali continuano a dominare il panorama dei ricavi online.

Per fiducia complessiva nelle notizie, i più convinti sono i finlandesi (67 %), mentre la propensione a pagare per l’informazione online raggiunge il valore massimo in Norvegia. Sul versante opposto, la Bulgaria guida l’elenco dei paesi in cui gli utenti evitano di informarsi, riflesso di un contesto politico estremamente volatile. Quanto alla fiducia nei media, i livelli più bassi si registrano in Grecia e Ungheria.

L’Italia, peraltro poco presente nei dati strutturati a livello globale, sconta un mercato editoriale considerato marginale. Le cause? Da un lato il calo di fiducia dei lettori, dall’altro l’assenza di pluralismo reale in un settore concentrato in pochi grandi gruppi, spesso alle prese con bilanci in sofferenza anche a causa della loro reverenza per le Big Tech statunitensi.

Analisi dell’Autore

In origine i social network sembravano un’opportunità per rilanciare l’editoria, ma hanno favorito solo pochi operatori o chi ha adottato strategie di clickbaiting. I rapporti privilegiati fra Google, Facebook e alcune testate hanno alimentato sospetti di censura: fonti indipendenti venivano oscurate nei motori di ricerca o penalizzate negli algoritmi, mentre le fonti “istituzionali” godevano di visibilità, pur senza offrire un vero pluralismo.

Anche la gestione delle fonti internazionali incide: molte redazioni si affidano quasi esclusivamente a Reuters e ad altre agenzie, rinunciando a un’autonoma rete di corrispondenti e quando presenti spesso si avvalgono dei take delle agenzie, soprattutto nei teatri di guerra. Parallelamente, la pressione economica ha spinto gli editori verso contenuti di facile consumo – gossip, sport, intrattenimento – a scapito dell’inchiesta.

Il mercato pubblicitario ha aggravato il problema: piattaforme come Google hanno assorbito gran parte degli introiti, costringendo le testate a svendere spazi pubblicitari e contenuti. Ne è scaturito un circolo vizioso in cui l’informazione di qualità soccombe a logiche commerciali e ideologiche, sostituendo la ricerca della verità con la riproposizione di linee editoriali dettate da chi finanzia il sistema.

Il Rapporto sulle Notizie Digitali 2025 evidenzia un panorama mediatico in rapida evoluzione, caratterizzato dal crescente dominio dei social media e del video, una stagnazione degli abbonamenti digitali, e l’emergere dell’intelligenza artificiale come strumento promettente ma anche rischioso. La frammentazione del consumo di notizie e le sfide legate alla disinformazione rimangono centrali. Le preferenze dei consumatori continuano a differenziarsi per età e regione, suggerendo che gli editori devono adattare le loro strategie di produzione e distribuzione di contenuti per rimanere rilevanti in un ambiente sempre più complesso e competitivo.

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