L’inciucio di Natale è quantum. Parte l’opa alla Lombardia

di Livio Varriale
0 commenti
copertina butti la russa meloni lombardia quantum

C’è un momento, nella politica italiana, in cui una parola smette di essere tecnologia e diventa territorio. Non un campo di ricerca, non un insieme di laboratori, non una promessa industriale. Territorio. Un perimetro da occupare, una bandiera da piantare, una narrativa da gestire. In queste settimane quel momento ha un nome preciso: quantum. E ha anche un calendario. Perché la storia non esplode in un tempo neutro, ma dentro le feste, quando l’informazione rallenta e le agende istituzionali si riempiono di annunci “di visione”. È qui che si consuma l’inciucio di Natale: una parola nuova, ripetuta abbastanza da sembrare inevitabile, usata per costruire un’operazione politica che parla di competitività ma ragiona già in termini di posizionamento, sponsor e Lombardia.

Quantum, acceleratore di competitività e pretesto di sistema

L’innesco pubblico è un articolo de il Riformista che, nella forma, appare ordinato e persino rassicurante con il suo titolo: Quantum, acceleratore di competitività. Butti: «Serve un ecosistema integrato», a firma di Marco De Robertis. L’impianto è quello classico delle pagine istituzionali: il quantum come leva di competitività, il passaggio dalla ricerca alla “messa a terra”, la necessità di coordinamento tra istituzioni, università e imprese, e soprattutto la costruzione di un concetto politicamente spendibile: il Polo nazionale. L’occhiello mette subito il timbro: «In tre anni abbiamo risalito la china, sorpassando Francia e Germania. Sì al Polo nazionale, purché aggreghi competenze e infrastrutture e faciliti partenariati pubblico-privati». Lì dentro c’è già tutto: la rivendicazione di performance, la promessa di governance, la legittimazione preventiva di una struttura centrale e l’invito a un pubblico ben preciso, quello del capitale e delle aziende, a entrare nel progetto attraverso il meccanismo più comodo: il partenariato.

image 711
L’inciucio di Natale è quantum. Parte l’opa alla Lombardia 18

È una intervista che non si limita a descrivere un settore: lo imposta. Il quantum viene rappresentato come infrastruttura strategica e non come sperimentazione. La ricerca italiana, nel racconto, è forte; il problema diventa l’ultimo miglio, l’industrializzazione. Ma la parola che ritorna come mantra è una sola: ecosistema. Non un ecosistema qualsiasi, ma un ecosistema “integrato” che renda la tecnologia accessibile, affidabile, inserita nei processi reali. L’obiettivo dichiarato è evitare iniziative isolate. Il sottotesto, invece, è un altro: chi controlla l’ecosistema controlla anche l’allocazione delle risorse, la definizione delle priorità, la legittimazione delle partnership, la selezione dei “campioni” da mettere in vetrina.

Dal comunicato al caso: quando il quantum entra su FB

Fin qui sembra il copione di qualunque politica industriale in formato comunicato. Poi accade qualcosa che, per chi osserva davvero i segnali, è più interessante dell’articolo stesso: il quantum smette di essere un tema e diventa un caso. Perché entra nel circuito che conta oggi più di qualsiasi conferenza: il circuito della reputazione pubblica sui social, Facebook e LinkedIn, dove istituzioni, professionisti, consulenti e lobbisti si guardano negli occhi in pieno giorno e decidono cosa è “serio” e cosa è “retorica”.

Il commento di Andrea Lisi mette il dito nel punto più sensibile: la distanza tra parole e realtà, tra strategia e funzionamento concreto del Paese, tra la promessa di “ecosistemi” e l’Italia che non riesce ancora a far viaggiare un dato sanitario elementare da una regione all’altra senza inciampare. È l’obiezione che nessuno vuole sentirsi fare quando parla di futuro: prima di evocare l’infrastruttura quantistica, dimostrare di saper far funzionare l’infrastruttura banale. È una critica che non ha bisogno di tecnicismi. Basta un esempio quotidiano, quasi umiliante, perché parla a tutti: se una ricetta elettronica non passa, di quale “ecosistema integrato” si sta parlando?

La risposta di Alessio Butti e il muro del tecnicismo

La risposta di Alessio Butti arriva, ed è qui che la storia cambia passo. Non perché sia scandalosa, ma perché è rivelatrice. È una risposta che, in superficie, suona istituzionale e controllata. Ma dentro, nella sostanza, è una risposta che sceglie una strategia precisa: spostare il confronto dal piano della verifica pubblica al piano dell’autorità tecnica. Butti ringrazia, promette che sarà la sua prima e ultima interazione, e poi costruisce una linea di difesa: la narrazione su quantum e AI è inflazionata, sì, ma ridurre tutto a storytelling è una semplificazione; esistono architetture ibride, workflow HPC–Quantum, decomposizioni QUBO/Ising, tecniche come VQE e QAOA, hardware NISQ, error mitigation, correzione degli errori, limiti di embedding, latenza cloud–QPU. La densità del lessico diventa un muro. Il messaggio implicito è: se non parli questa lingua, non hai titolo per mettere in discussione la realtà della tecnologia.

image 712
L’inciucio di Natale è quantum. Parte l’opa alla Lombardia 19

È una tecnica antica, adattata al nuovo lessico. Non è l’argomento che risponde alla critica: è l’argomento che la rende “inammissibile”. Il quantum, così, non viene difeso sulla base di scalabilità, costi, impatto industriale e tempistiche di attuazione medio brevi. Viene difeso sulla base di un’idea: chi fa domande semplici non capisce la complessità. È un modo elegante per trasformare un dubbio legittimo in un problema di competenza dell’interlocutore.

Le controrepliche: il reality check

Qui entra in scena la reazione che fa esplodere il caso. Raffaele Barberio lo sintetizza con brutalità: l’elenco di acronimi non è un’argomentazione, è un dispositivo per spostare il confronto dal piano delle decisioni verificabili al piano dell’autorità tecnica. E mette il punto dove fa male: la maturità di una tecnologia non si misura da come la descrivi, ma da scalabilità, costi, affidabilità, time-to-market e impatto industriale reale. Su questi parametri, oggi, il quantum è ancora immaturo. E soprattutto: invocare programmi UE e funding non certifica readiness. Finanziare esplorazione non significa dimostrare deployment.

È una critica che disinnesca la retorica con una domanda che pesa: dove sono i risultati replicabili su larga scala?

Il coro dei professionisti e la frattura con la PA reale

A quel punto la conversazione, come spesso accade, smette di essere il duello tra due figure pubbliche e diventa un coro. Arriva l’intervento di Giuliano Bastianello, che rivendica una lunga esperienza da amministratore pubblico, imprenditore ICT e docente, e descrive una “distanza siderale” tra successi declamati e realtà quotidiana nelle PA, dai permessi di costruire ai sistemi informativi acquistati senza conformità al CAD e con interoperabilità che resta una parola nei convegni. Arriva la stoccata di Attilio A. Romita, che liquida il quadro con l’immagine del “pallottoliere” prima del quantum. Arriva anche il commento secco di Stefano Gazzella, “Quantum siamo messi male…”, a segnare il clima di sfiducia che si propaga quando il racconto istituzionale corre troppo più veloce dell’esperienza quotidiana dei cittadini.

L’ironia come accountability: Bottonelli, Napoli, Rinaldi e il “quantum blues”

E poi c’è la parte che trasforma la discussione in fenomeno sociale, con un filone di ironia e disincanto che fa scuola nel networking professionale: Giovanni Rinaldi parla del dovere dello Stato di garantire l’accesso ai servizi digitali, Alessandro Bottonelli gioca sul tema delle buzzword e sul “ponte sullo stretto” evocato da Gabriella Napoli, mentre Aliaksandr U. ribattezza la sindrome collettiva “Quantum Blues” e Salvatore Campolo alimenta il sarcasmo sulle scorciatoie psicologiche. Il dettaglio che conta, però, non è la battuta. È il fatto che l’ironia diventa la forma più rapida di accountability quando le istituzioni parlano di futuro e gli utenti rispondono con il presente.

Sponsor e sovranità: IonQ, D-Wave e l’ambiguità del “quantum sovrano”

Quello che Matrice Digitale vede in questa scena non è un semplice scambio di opinioni. È un segnale politico. Un sottosegretario che scende in commento sui social per difendere un’impostazione narrativa, e lo fa scegliendo la via del tecnicismo, significa che il tema non è più un argomento da addetti ai lavori. È diventato un asset reputazionale e istituzionale. È entrato nella dimensione dove la politica teme di essere smentita, ridicolizzata, o peggio: misurata.

E quando una strategia viene costruita per essere “misurata” solo attraverso la complessità del linguaggio che la racconta, la fragilità è già dentro la comunicazione.

È qui che sottoponiamo al lettore un livello d’inchiesta diverso: l’attenzione non è più sul quantum in sé, ma sul perché il quantum viene usato adesso, in quel modo, con quei toni, con quel bisogno di presidiare la narrativa. E la risposta che emerge è una: perché il quantum non è solo tecnologia, è posizionamento.

Matrice Digitale, nella sua lettura, mette un elemento ulteriore sul tavolo. Non si limita a dire che la risposta di Alessio Butti può essere letta come debolezza o come cortesia istituzionale. La colloca dentro un contesto: il quantum come cornice per una serie di mosse che hanno un calendario e un territorio. L’ipotesi è quella di un nuovo convegno a giugno, dopo l’esperienza di Como Lake, e soprattutto alcune indiscrezioni giunte in redazione di una sponsorizzazione da parte di società statunitensi che suona stonata rispetto alla retorica della sovranità digitale. I nomi, nel racconto, sono quelli di D-Wave e IonQ, asse industriale già evocato nell’articolo con l’accordo IonQ – D-Wave per Q-Alliance, con la cifra simbolica dei “fino a cento ricercatori” come moltiplicatore di credibilità. Qui il punto non è se sia giusto o sbagliato ospitare aziende estere. Il punto è l’ambiguità: parlare di quantum sovrano mentre si costruiscono passerelle sponsorizzate da player extra-UE significa che la parola “sovranità” viene usata come estetica, non come vincolo politico-industriale.

L’opa alla Lombardia: Giorgia Meloni, Ignazio La Russa, Arianna Meloni e la partita delle regionali

Questa dinamica non riguarda solo la tecnologia. Riguarda il salto di scala di una figura politica che non vive nel vuoto ma dentro una geografia di potere. Il digitale, in Italia, non è più soltanto un dossier tecnico. È un campo dove si giocano le carriere e si costruiscono le alleanze. E quando un settore diventa la chiave per “fare peso” fuori dal proprio perimetro, l’infrastruttura rischia di essere trattata come una campagna elettorale permanente.

Lombardia, qui, è la parola chiave. Non perché la tecnologia sia lombarda, ma perché la Lombardia è il luogo dove si decide potere, risorse, controllo di filiere, industria e consenso. L’interpretazione che Matrice Digitale mette sul tavolo è che l’operazione quantum funzioni anche come una opa politica: non un’acquisizione economica, ma un tentativo di acquisire centralità, visibilità e legittimazione istituzionale in un territorio che vale più di una delega. Un convegno non è più un convegno quando diventa la vetrina per relazioni, sponsor, promesse industriali e fotografia di alleanze.

Dentro questa cornice arriva la parte più esplosiva della valutazione: lo scontro interno che si intravede nei vertici e nella coalizione, con la partita delle regionali sullo sfondo. Matrice Digitale legge il digitale come campo di scontro anche per le nomine e per le candidature, con un confronto sotterraneo tra Giorgia Meloni e Ignazio La Russa e con il tema del presidio leghista sulla Regione che pesa come una garanzia di potere. Nel racconto entrano anche i nomi che fanno capire la temperatura: la leva delle scelte interne attribuite ad Arianna Meloni, sorella della premier, il nome già bruciato di Pesenti vicino alla Confindustria “rimpinguata” dall’ultima finanziaria con a capo un commosso presidente Emanuele Orsini, e figure come Carlo Fidanza che aspettano la nomina al posto di un ambizioso Butti.

C’è poi il punto che rende tutto più nervoso: le candidature vanno e vengono e, secondo fonti di partito, Alessio Butti ad oggi non avrebbe la certezza di una nuova collocazione parlamentare e che, in un quadro di equilibri mobili, la partita del digitale diventa anche un modo per consolidare visibilità e utilità interna. Qui il quantum diventa utile perché è perfetto per la politica: è abbastanza complesso da non poter essere smentito con facilità, abbastanza prestigioso da sembrare inevitabile, abbastanza futuribile da consentire di parlare di domani mentre l’oggi resta irrisolto.