Cosa può fare il cervello umano che l’AI non può? Le differenze cognitive

di Maria Silvano
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Un nuovo studio condotto dal team di neuroscienze cognitive dell’Università di Amsterdam (UvA) mette in luce le profonde differenze tra il cervello umano e i sistemi di intelligenza artificiale più avanzati. L’analisi, pubblicata nel giugno 2025, va oltre il confronto superficiale tra “uomo e macchina”, esplorando i limiti strutturali e funzionali che distinguono la mente umana dagli algoritmi, nonostante i recenti progressi dell’AI generativa.

Plasticità e apprendimento generalizzato: la marcia in più del cervello

Secondo il gruppo di ricerca UvA, la principale differenza risiede nella plasticità cerebrale e nella capacità di apprendere in modo generalizzato. Il cervello umano può adattarsi rapidamente a nuove situazioni, trasferire conoscenze tra contesti diversi e creare collegamenti originali a partire da esperienze minime. Gli algoritmi di intelligenza artificiale, invece, restano altamente specializzati: apprendono in modo efficace solo su grandi quantità di dati omogenei e faticano a trasferire competenze tra domini differenti, spesso soffrendo di “catastrofiche dimenticanze” quando tentano di integrare nuove informazioni.

Intuizione, creatività e comprensione contestuale

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Lo studio sottolinea come l’essere umano disponga di intuizione e creatività genuine: il cervello è in grado di interpretare segnali deboli, colmare lacune logiche, comprendere metafore e produrre insight che sfuggono alla logica deterministica degli algoritmi. Mentre l’AI può generare testi o immagini “originali” a partire da esempi pregressi, fatica a produrre veri salti concettuali o a risolvere problemi mai visti prima in assenza di dati strutturati. L’essere umano integra emozioni, motivazioni e aspettative nell’elaborazione cognitiva, elementi che guidano l’adattamento e la scoperta.

Memoria dinamica e flessibilità cognitiva

Un’altra differenza chiave riguarda la memoria: il cervello umano possiede una memoria dinamica, capace di riorganizzare i ricordi, aggiornare continuamente le rappresentazioni mentali e gestire ambiguità o informazioni incomplete. L’AI, al contrario, opera su parametri e pesi statici, richiedendo lunghe fasi di addestramento per ogni variazione significativa, e non può ancora replicare l’efficienza delle “scorciatoie cognitive” evolutesi nel corso di milioni di anni.

Cos’è davvero unico nell’intelligenza umana?

Per il team UvA, ciò che resta inarrivabile per l’AI – almeno nel prossimo futuro – è la capacità di contestualizzare informazioni in ambienti complessi e mutevoli, cogliere implicazioni non esplicite e innovare a partire dall’imprevisto. La collaborazione sociale, la coscienza di sé, la costruzione di significato condiviso e la “lettura” delle intenzioni altrui sono processi radicati nell’esperienza umana e tuttora fuori portata per qualsiasi sistema computazionale.

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