Nel pieno della tempesta che ha travolto il Garante per la protezione dei dati personali, l’inchiesta televisiva di Report ha riportato elementi che, se confermati, cambierebbero la percezione pubblica dell’Autorità. Il racconto include una presunta operazione di “bonifica” interna negli uffici del garante, sospetti di accesso ai server, la gestione controversa del caso Meta, denunce ignorate, fratture sindacali, pressioni politiche e il tema più ampio della sovranità digitale italiana. Il risultato è un quadro istituzionale in cui il potere delle piattaforme sembra superare quello delle Autorità, mentre le dinamiche di sicurezza nazionale e tutela dei dati restano sullo sfondo, lasciando aperta una domanda cruciale: chi protegge davvero cittadini, informazione e infrastrutture digitali del Paese?
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L’operazione del primo novembre negli uffici del Garante
Secondo la ricostruzione, il 1° novembre, in un giorno festivo, soggetti esterni sarebbero stati introdotti negli uffici del Garante Privacy. La presenza di figure non appartenenti al personale, unita al sospetto che possano aver avuto accesso a server e postazioni di lavoro, delinea un’azione che somiglia a una attività di intelligence interna condotta senza il normale presidio dei dipendenti e dei rappresentanti sindacali. L’Autorità ha fornito una smentita immediata, così come ha fatto Guido Scorza, indicato come presente nella sede romana, ma il contesto in cui la vicenda emerge alimenta dubbi profondi.
Quando un’istituzione deputata alla tutela dei dati apre i propri spazi in modo straordinario e non chiarito, la fiducia pubblica vacilla e il tema diventa inevitabilmente quello di chi controlla il controllore.
La smentita formale non elimina gli interrogativi sul metodo, sul perché dell’intervento e su quali procedure di sicurezza siano state seguite.
Immobilismo, sindacati e la crisi di credibilità del Garante
Nei giorni precedenti, l’avvocato Aliprandi ha denunciato pubblicamente un forte immobilismo del Garante nell’ultimo mese, accusandolo di ritardi nell’adozione di provvedimenti importanti. A questo si è aggiunta, secondo le ricostruzioni, una forma di protesta sindacale non violenta, che avrebbe rallentato le normali attività. Il quadro che emerge è quello di un’Autorità attraversata da tensioni interne, con un clima di sfiducia che si riflette sulla sua capacità operativa.
Una struttura che dovrebbe vigilare sui dati dei cittadini non può permettersi fratture interne, perché ogni segnale di disordine istituzionale si traduce in vulnerabilità esterne. In questo contesto, l’ipotesi di un intervento straordinario negli uffici diventa ancora più delicata: smentita o meno, l’effetto è una ulteriore erosione della credibilità.
La PEC ignorata e l’archiviazione lampo sul caso Meta
Una PEC inviata alle istituzioni nel mese di ottobre da Matrice Digitale per chiedere aiuto e supporto dopo l’evento della chiusura dei profili Meta alle Istituzioni, ha ricevuto una sola risposta: quella del Garante, che ha archiviato il caso con rapidità insolita, soprattutto considerando lo stallo su altri dossier secondo le ricostruzioni di immobilismo appena osservate. Nello stesso giorno, lo studio legale di Meta ha comunicato che ogni contestazione deve essere indirizzata alla sede irlandese.

La simultaneità tra la comunicazione di Meta e l’archiviazione del Garante delinea un rapporto squilibrato, in cui la piattaforma stabilisce il perimetro e le Autorità si adeguano.
Il ruolo di Stanzione, le ombre politiche e la figura più esposta
La puntata di Report ha puntato l’attenzione anche su Pasquale Stanzione, presidente del garante, e sulle dinamiche politiche legate alla sua nomina e alla percezione dell’indipendenza dell’Autorità. Alcune scelte sono state interpretate come vicine a interessi politici specifici, alimentando l’idea che il Garante sia un organismo formalmente indipendente, ma sostanzialmente esposto a logiche di partito come è stato per tutti gli altri Garanti preceduti. In questo quadro, la figura di Guido Scorza emerge come “persona più esposta” mediaticamente sugli scandali del Garante, nonostante le smentite puntuali attraverso i social media come LinkedIn sulle ipotesi di accesso agli uffici e la sua attività di contrasto alle tesi in anticipo alle puntate di Report sul tema. A Scorza non viene contestata l’appartenenza politica, ma una presunta attività di lobbying con i poteri forti delle Big Tech, Meta in particolare, fino ad arrivare alla tessera ITA Airways dal valore superiore a quello consentito dalla norma che disciplina le regalie nella PA. A complicare la scena politica, il Partito Democratico, responsabile della nomina di Stanzione, che ha chiesto apertamente le sue dimissioni attraverso Sandro Ruotolo.
Quando la forza politica che ha designato un presidente ne chiede l’uscita, il tema non è più la gestione dei dossier, ma la sopravvivenza dell’istituzione stessa come organismo credibile agli occhi dei cittadini.
E la motivazione del PD, soprattutto dell’ala oltranzista capitanata da Sandro Ruotolo risiede nel fatto che l’attività di Stanzione abbia favorito la riabilitazione di Gennaro Sangiuliano dopo l’affaire Boccia ed abbia punito una trasmissione televisiva che bastona per la maggiore la maggioranza al Governo ed .
Gli archivi delle istituzioni in vendita: le accuse di Andrea Mavilla
Durante la trasmissione è intervenuto Andrea Mavilla, che denuncia da tempo la presenza di database delle istituzioni italiane – inclusi presunti dati legati agli apparati di sicurezza – venduti all’interno di archivi commerciali accessibili all’estero. Queste accuse sono state più volte minimizzate, soprattutto in ambienti vicini all’Agenzia per la cybersicurezza nazionale (ACN), gli stessi megafoni autoreferenziali che circolano attorno al Garante Privacy su LinkedIn, che le ha definite allarmistiche. La Polizia Postale, invece, ha aperto un’indagine, confermando che almeno una parte delle segnalazioni è considerata meritevole di approfondimento.
Un cittadino che segnala falle strutturali ottiene attenzione da chi ha competenza investigativa, mentre l’agenzia specializzata resta defilata: questo squilibrio mette in evidenza un problema di cultura istituzionale prima ancora che tecnologica.
La sovranità digitale gestita dall’estero
Dalle denunce sui database al ruolo delle piattaforme globali, emerge un filo comune: la sovranità digitale italiana appare fragile e spesso subordinata a decisioni prese altrove. Nel frattempo, si diffonde l’idea che il rischio cyber debba essere affrontato con strumenti assicurativi, trasformando una vulnerabilità sistemica in un prodotto da acquistare. Le dinamiche mostrano un Paese che fatica a presidiare il proprio perimetro digitale mentre gli attori esteri continuano a dettare tempi e modalità di risposta.
Se i dati italiani circolano in piattaforme commerciali straniere e le misure correttive dipendono dall’estero, significa che la sovranità digitale non è indebolita: è già stata esternalizzata.
Da Sanremo a Meta: Ferragni, Mattarella e il lobbismo delle piattaforme
Il racconto si intreccia con episodi già noti, come la vicenda di Sanremo, del caso Ferragni e della gestione comunicativa legata a Meta, che sarebbe arrivata a coinvolgere persino il Presidente Sergio Mattarella in una narrazione promozionale. Mentre il pubblico celebrava la strategia social, Matrice Digitale evidenziava le ombre legate a queste dinamiche. Con l’arrivo della multa al Festival per la partnership con la piattaforma, sono stati certificati i rischi di un ecosistema in cui le big tech agiscono come attori politici oltre che commerciali.
Quando una piattaforma influenza la narrazione pubblica fino a condizionare eventi nazionali, la questione non riguarda più lo spettacolo ma la trasparenza democratica.
Questo lo denuncia Matrice Digitale dai tempi della Prigione dell’Umanità mentre politici, giornalisti ed editori ne traevano i benefici dei like.
Istituzioni-influencer e competizione con chi denuncia gli abusi
Le istituzioni che dovrebbero regolamentare le piattaforme finiscono progressivamente per somigliare ai loro stessi strumenti di visibilità. Le massime cariche pubbliche utilizzano i social come vetrine personali, mentre ignorano o minimizzano le denunce di abusi, vulnerabilità e conflitti di interesse portate avanti da divulgatori e giornalisti.
Se chi dovrebbe controllare le piattaforme preferisce competere sul terreno dei like, la vigilanza rischia di trasformarsi in dipendenza culturale e narrativa.
Il Ministro, la guerra ibrida e le chiusure dei profili
Il discorso sulla guerra ibrida, spesso evocato dal ministro della Difesa addirittura in un non paper da lui pubblicato, suggerirebbe una necessità di fermezza verso le piattaforme digitali. Tuttavia, gli utenti si ritrovano con profili chiusi sulla base di sospetti di truffa, anche quando documentano truffe reali, mentre le piattaforme continuano a essere colpite da violazioni su larga scala, come le esposizioni di numeri di telefono su WhatsApp.
Il disallineamento tra la retorica della minaccia e l’assenza di interventi concreti verso chi gestisce i flussi informativi del Paese evidenzia una fragilità strutturale.
Mettiamoci anche il fatto che Guido Crosetto è parte della triade di comando in Fratelli d’Italia ed è direttamente responsabile della mancata promessa elettorale mantenuta fatta da Meloni proprio sulla riforma dei social media e sulla centralità dello spazio italiano e della relativa sovranità sui giganti delle big tech.
Un perimetro cibernetico fragile e un sistema che isola chi denuncia
Il quadro complessivo restituisce un perimetro cibernetico vulnerabile, con dati che circolano all’estero, piattaforme che agiscono come arbitri dell’informazione e istituzioni che oscillano tra inerzia, smentite e reazioni tardive. Nel frattempo, realtà come Matrice Digitale vengono isolate dai social proprio perché denunciano le criticità del sistema.
Quando chi evidenzia vulnerabilità e conflitti viene estromesso invece di essere ascoltato, non è un problema di tecnologia: è un problema culturale e istituzionale.
La domanda finale resta aperta: chi tutela davvero i cittadini in un Paese in cui le Autorità indipendenti sono sotto pressione politica, le agenzie specializzate ignorano le denunce e le piattaforme globali dettano le regole del gioco? Crosetto continui pure a parlare di allarme guerra ibrida.