C’è una differenza tra raccontare la cybersicurezza e raccontare la guerra cibernetica. La prima, in Italia, viene spesso ridotta a una sequenza di alert, patch, comunicati, slogan. La seconda richiede memoria, contesto, continuità, e soprattutto richiede una scelta: stare dentro i palazzi, o restare fuori e guardare il potere senza chiedere permessi. La storia che presento oggi è esattamente questo: tenacia e presenza lontano dai circuiti che contano, con una promessa implicita ai lettori di Matrice Digitale, che non è mai stata comoda e non ha mai cercato di esserlo: ricostruire i fatti per quello che sono, anche quando la narrazione dominante chiede di semplificare, di addolcire, di “normalizzare”.
Negli ultimi otto anni lo spazio cyber è diventato un campo di scontro stabile. Le operazioni non sono più eventi eccezionali, ma attività ricorrenti che seguono logiche geopolitiche, industriali, militari. I gruppi non sono più solo “criminali” o “hacker”, ma strumenti, estensioni, proxy, e talvolta bracci operativi di interessi statali e parastatali. Le tecniche si evolvono, i bersagli cambiano, gli equilibri si spostano, e in mezzo resta una costante: la difficoltà di leggere il quadro generale quando l’informazione arriva a frammenti, quando viene servita come intrattenimento, o quando viene filtrata da chi ha bisogno di difendere una posizione, un budget, una reputazione.
Cosa leggere
Dal 2017: raccontare il mondo moderno senza chiedere permessi
Il percorso inizia nel 2017 con un’idea che, oggi, suona persino più dura di allora: il digitale non è solo tecnologia, è una struttura di controllo, un ambiente che condiziona comportamenti, informazione, economia e sicurezza. Quella fase ha prodotto un libro, La Prigione dell’Umanità, non come punto d’arrivo ma come dichiarazione di metodo: guardare ciò che accade fuori dai salotti, fuori dalle città che contano, fuori da quella comfort zone che spesso trasforma l’analisi in un esercizio di stile.
Quel metodo, negli anni, ha avuto un prezzo preciso. Perché quando provi a raccontare i meccanismi, e non soltanto i sintomi, entri in collisione con due mondi. Da un lato c’è chi vuole la semplicità, la scorciatoia, il “siamo tutti sulla stessa barca”. Dall’altro c’è chi vive di complessità selettiva, di tecnicismi usati come barriera, di gerarchie non dichiarate. In mezzo resta l’analisi, che o è oggettiva oppure è marketing mascherato.
Matrice Digitale ha scelto di rivendicare un punto che, in un ecosistema mediatico spesso dipendente da pressioni esplicite o implicite, diventa quasi un atto politico: assenza di conflitti d’interesse. Non come parola d’ordine, ma come condizione per poter chiamare le cose con il loro nome.
2020: la cultura digitale come anticorpo, non come slogan
Nel 2020 arriva un secondo passaggio, apparentemente laterale e invece centrale, Cultura Digitale: Manuale di Sopravvivenza per Genitori e Figli. Qui la questione non è “educazione” in senso generico, ma dottrina quotidiana. Perché un Paese che non capisce i meccanismi del digitale è un Paese che non capirà mai la guerra cibernetica, e quindi resterà vulnerabile non solo agli attacchi, ma alle narrazioni sugli attacchi.
La cultura digitale, negli anni, è stata spesso trattata come un tema ornamentale. Una rubrica. Un convegno. Un progetto con un logo. Poi la vita reale arriva, e i cittadini scoprono che la sicurezza è fatta di comportamenti, di modelli mentali, di alfabetizzazione, di capacità di distinguere un fatto da una messinscena. Quando questa dottrina viene ridicolizzata, o peggio piegata agli interessi delle multinazionali, la conseguenza è una sola: l’opinione pubblica perde strumenti, e chi manovra l’informazione guadagna spazio.
Questo è il contesto in cui un atlante della guerra cibernetica non è un capriccio editoriale, ma un pezzo di infrastruttura culturale. Perché senza infrastruttura culturale, tutto diventa emergenza permanente. E l’emergenza permanente è il luogo ideale per far passare qualsiasi scelta come inevitabile.
Il costo dell’oggettività: quando l’analisi diventa bersaglio
Un libro può essere “flagellato” non solo per ciò che scrive, ma per ciò che rappresenta.
Un’analisi libera, senza cordate, senza “portatori di interessi”, viene percepita come una minaccia. Non perché sbagli, ma perché non si lascia addomesticare.
La guerra cibernetica non si combatte solo con exploit e zero-day. Si combatte anche sul piano del prestigio, della credibilità, dell’autorità. In Italia, troppo spesso, l’autorità viene protetta a prescindere dalla qualità delle risposte. Si costruiscono totem. Si alimenta una fiducia automatica. Si racconta al pubblico che “gli organi preposti” hanno il controllo, anche quando la realtà mostra ritardi, opacità, reazioni tardive, e una comunicazione che spesso assomiglia più a gestione reputazionale che a servizio pubblico.
Matrice Digitale ha costruito il proprio rapporto con i lettori proprio qui: nella scelta di non trattare le istituzioni come santini, né le aziende come salvatori, né le “best practice” come religione. La sicurezza non è fede. È verifica.
Dall’idea all’ostacolo: preventivi alti e soluzioni che non reggono
Matrice Digitale interpella sviluppatori, prova a costruire una mappa concettuale che contenga gli articoli scritti nel tempo sulla guerra cibernetica e sulla geopolitica. L’idea è semplice: rendere consultabile, navigabile, verificabile un archivio che, per volume e continuità, non ha equivalenti nel panorama italiano.
La risposta del mercato, però, è quella che molti conoscono: preventivi alti, progetti “chiavi in mano” promettenti ma poco efficaci, soluzioni che in demo funzionano e in produzione collassano, piattaforme che costringono l’utente a una fruizione passiva. In altre parole, tanta spesa e poca sostanza.
Qui nasce una domanda ancora più tagliente:
se la barriera è economica e strutturale, e se la soluzione proposta non risponde alla finalità, perché continuare a pagare per essere mediocri?
Perché accettare che l’atlante della guerra cibernetica debba rimanere un sogno, quando la tecnologia, teoricamente, permette di farlo?
L’intelligenza artificiale come utensile, non come feticcio
Qui l’intelligenza artificiale non viene presentata come bacchetta magica. Viene trattata come utensile, come acceleratore, come leva. Per tre anni, i primi modelli non restituiscono risultati soddisfacenti. E questa è la parte che molti non amano dire, perché rompe la propaganda opposta, quella dell’AI come soluzione a tutto.
Poi arriva la svolta: invece di insistere su patch e compromessi, si decide di costruire da zero, partendo dall’idea più semplice e più efficace: una cartografia del mondo, programmata manualmente, con logiche chiare, controllabili, aggiornabili.
Non un prodotto chiuso, ma un sistema vivo.
Dopo fallimenti triennali con ChatGPT “perché non chiedere a un altro LLM?”.
È un momento che descrive, a nostro modo, bene l’atteggiamento giusto verso questi strumenti: non idolatria, non rifiuto, ma test continuo. La scelta di interpellare Grok, e la risposta “così naturale”: creare tutto da 0 grazie all’Open Source con SimpleMaps, non è un dettaglio tecnico.
È una diagnosi: quando la soluzione è diventata troppo complicata, la via d’uscita è tornare alla radice.
E la radice era una: se vuoi un atlante, devi disegnarlo come atlante.
Quando l’istituzione non risponde, la realtà non aspetta
Si contatta informalmente l’ACN, si chiede un supporto di patrocinio ed irrisorio rispetto al budget complessivo destinato dal Governo anche per spese inutili, si ottiene un quadro che viene percepito come parziale e un rifiuto che non produce soluzione. Qui il punto non è la polemica fine a sé stessa.
Il punto è la struttura: quando la risposta istituzionale si limita a un perimetro di comunicazione, e non si traduce in strumenti realmente utili al cittadino e agli studiosi, il vuoto viene riempito da qualcun altro e quel qualcun altro è un privato cittadino, un professionista libero da interessi di cordata e soprattutto più vicino all’interesse nazionale di un qualsiasi portatore di interessi.
Quel “qualcun altro” può essere propaganda, può essere improvvisazione, può essere fuffa. Oppure può essere un lavoro indipendente che decide di colmare la lacuna. Matrice Digitale sceglie la seconda via, e lo fa con una frase che, nel panorama italiano, suona quasi eretica: preferire oggettività e integrità morale a ciò che potrebbe arrivare dalla concessione di fondi pubblici, se quei fondi implicano condizionamenti, filtri, compromessi.
Dieci giorni per iniziare, otto anni per renderla necessaria
“dopo dieci giorni di duro lavoro nasce la mappa della guerra cibernetica italiana”.
Qui va compreso bene cosa significa “nascere”. Non è il risultato finale. È l’avvio concreto di un percorso che fino a quel momento era rimasto intrappolato tra costi, promesse e inefficienze.
La mappa nasce come mappa, ma viene subito definita per ciò che davvero è: un atlante. E la parola atlante, per Matrice Digitale, non è retorica. Un atlante non mostra solo punti. Mostra relazioni. Mostra percorsi. Mostra collisioni. Mostra ripetizioni. Permette di riconoscere schemi.
La differenza, quindi, non è solo nella grafica che ricorda anche l’Internet degli anni 90 a dire il vero. È nella struttura concettuale: migliaia di articoli scritti nel tempo, che oggi trovano una dimensione coerente e consultabile. Un archivio che smette di essere “archivio” e diventa mappa mentale collettiva.
Che cosa contiene l’atlante: operazioni, tecniche, attori, collisioni
Un atlante della guerra cibernetica, se vuole essere utile, deve rispondere a domande reali. Chi colpisce chi. Dove. Con quali tecniche. Con quali obiettivi. In quali periodi. E soprattutto cosa cambia quando cambiano le condizioni geopolitiche.
Da oggi si può monitorare H24 attacchi, tecniche e gruppi politici o statali che si scontrano nello spazio cyber.
Non è un linguaggio “da brochure”. È un impegno editoriale che richiede continuità e memoria. Perché la guerra cibernetica è fatta di persistenze, non di episodi.
Ci sono campagne che riemergono a distanza di anni. Ci sono TTP che cambiano forma ma restano riconoscibili. Ci sono infrastrutture che migrano e si riutilizzano. Ci sono periodi di escalation che coincidono con crisi diplomatiche, con votazioni, con shock energetici, con blocchi industriali. Chi riduce tutto a “hanno bucato un sito” sta solo guardando il rumore.
L’atlante serve proprio a togliere il rumore e lasciare il segnale.
Il nodo italiano: tra retorica della sicurezza e realtà operativa
Ancora una volta, questa Mappa è la denuncia di una sopravvalutazione di apparati che vengono percepiti come carrozzoni politici, e nei fatti lo sono, ed è la critica a collaborazioni con mediocrità aziendali elevate a eccellenze per ragioni che non sempre coincidono con la qualità.
Qui, la questione va detta in modo netto ma rigoroso: il problema non è “attaccare” le istituzioni. Il problema è pretendere che la sicurezza non venga raccontata come teatro, e che gli strumenti di comprensione non siano riservati a chi sta dentro i circuiti.
Sono tanti gli episodi (No Name – KillNet), le percezioni (incapacità nell’implementazione autonoma di dispositivi efficienti senza far riferimento a strutture straniere), errori, figuracce, narrazioni che attecchiscono solo nell’autoreferenzialità di LinkedIn dove i competenti stanno in silenzio e i fuffa guru istituzionali parlano con i like dalla parte della riverenza al potere che rappresentano, ritardi, e un perimetro nazionale che viene attraversato da incidenti e data breach.
Tutto questo, letto insieme, produce una domanda:
la comunicazione istituzionale è costruita per far capire, o per far stare tranquilli?
Perché quando l’obiettivo è la tranquillità, il cittadino viene trattato come soggetto passivo. E un soggetto passivo difende nulla.
Matrice Digitale, invece, ha scelto un’altra postura: trattare il lettore come adulto. Non come pubblico da gestire.
Un atlante è uno strumento da adulti, perché non offre una morale pronta. Offre dati, contesto, e lascia al lettore la responsabilità delle conclusioni.
Perché questa mappa parla italiano in un mondo che parla per sigle
Un altro punto centrale del testo è la lingua. La guerra cibernetica, in Italia, soffre di una doppia distorsione. Da un lato viene banalizzata. Dall’altro viene iper tecnicizzata, trasformata in un recinto. In entrambi i casi, il risultato è lo stesso: l’accesso alla comprensione viene limitato.
L’atlante nasce anche per rompere questa barriera. Non perché rifiuti i tecnicismi, ma perché li rimette al loro posto. La tecnica deve servire la comprensione, non sostituirla.
E la comprensione, se vuole diventare cultura, DEVE essere disponibile.
E noi abbiamo realizzato “una mappa disponibile per tutti” che nasce da un’idea profondamente politica, nel senso, si spera, più nobile del termine:
Democratizzare la lettura dello scontro cyber, togliendo alla propaganda l’arma più potente, che è l’opacità.
La mappa come sostituzione del libro: quando l’opera non è più un volume, ma un sistema vivo
Questo progetto “sostituisce la necessità di scrivere un libro”. È una frase che potrebbe sembrare provocatoria, ma in realtà descrive un cambiamento strutturale nel modo in cui si produce conoscenza.
Un libro è un oggetto finito.
Una mappa, se costruita bene, è un sistema vivo.
E la guerra cibernetica, per definizione, non rispetta i tempi dell’editoria tradizionale. Cambia ogni giorno. Cambia con i conflitti, con le elezioni, con le sanzioni, con le crisi industriali. Se vuoi raccontarla davvero, devi aggiornare, collegare, archiviare, comparare. Devi costruire un meccanismo di lettura che non scada dopo tre mesi.
In questo senso l’atlante è un atto editoriale più ambizioso di un libro, perché richiede una disciplina costante. E soprattutto perché obbliga a una coerenza che pochi possono permettersi:
se dici A oggi, e domani cambia, devi tornare sul punto.
Devi mostrare il cambiamento.
Devi assumerti il rischio di essere smentito dai fatti e correggere.
Questa è la differenza tra propaganda e informazione.
Cosa cambia per i lettori: dalla dipendenza all’autonomia
Arriviamo al cuore: “da oggi potrete leggere quello che nessuno vi dirà in forma completa”.
Anche qui, non è una frase da marketing. È una promessa verificabile, e proprio per questo è pericolosa per chi vive di narrazione selettiva.
Perché un lettore che può consultare un atlante non aspetta il titolo del giorno per farsi un’idea.
Un lettore che può seguire la continuità non si fa impressionare dal caso isolato.
Un lettore che può vedere le relazioni non si fa portare dove vuole la propaganda. In altre parole, l’atlante sposta potere cognitivo dal sistema al cittadino.
E questa è la parte che, in Italia, genera fastidio. Perché siamo abituati a un modello dove l’informazione viene consegnata come pacchetto chiuso:
“questo è il fatto, questa è la lettura corretta, questo è il nemico, questo è l’amico”.
La guerra cibernetica, però, non funziona così. Non ha buoni e cattivi fissi. Ha interessi. Ha collisioni. Ha proxy. Ha grigio. Ha momenti in cui perfino il concetto di attribuzione diventa una guerra nella guerra.
L’atlante non elimina l’ambiguità, ma la rende leggibile.
L’oggettività come unica protezione contro la guerra informativa
La forza di Matrice Digitale è aver raccontato le cose “per quello che sono e non per quello che vogliono farvi sapere”.
Anche questa è una frase che può sembrare assoluta, ma in realtà è un impegno metodologico: non promettere infallibilità, promettere onestà nell’analisi.
La guerra informativa, oggi, è un’estensione naturale della guerra cibernetica.
Le campagne cyber vengono usate per alimentare narrazioni. Le narrazioni vengono usate per giustificare scelte. Le scelte vengono usate per distribuire risorse e potere. Se il cittadino non ha strumenti per collegare i punti, resterà intrappolato in questo circuito.
L’atlante spezza il circuito in un modo semplice: conserva la memoria e la rende navigabile.
E quando conservi la memoria, puoi confrontare. Puoi chiedere coerenza. Puoi vedere chi cambia versione.
Puoi vedere chi si prende meriti e scarica responsabilità. Puoi misurare il tempo di risposta, non solo la qualità della dichiarazione.
Questo è il motivo per cui un atlante non è un “di più”. È una forma di difesa civile.
Perché un atlante “che altri non possono permettersi” non è arroganza, ma constatazione
“Una mappa che l’ACN non si può permettere e nessun altro sito in Italia”.
È una frase che può irritare, ma va letta con il metro giusto. Non è la rivendicazione di superiorità morale.
È la constatazione di una differenza strutturale.
Un ente pubblico ha vincoli, tempi, perimetri, comunicazione istituzionale, compromessi.
Un sito generalista ha click, urgenze, e una memoria spesso corta.
Un progetto indipendente, se decide di farlo, può assumersi un rischio: investire tempo e metodo in qualcosa che non genera ritorno immediato, ma genera valore culturale.
Matrice Digitale ha fatto questo, e lo ha fatto nel modo più controintuitivo: non cercando l’ennesimo fornitore, non affidandosi al preventivo più rassicurante, ma costruendo una soluzione che nasce dall’analisi e torna all’analisi.
La mappa, qui, non è un fine. È un mezzo per continuare a fare ciò che Matrice Digitale fa da anni: raccontare la guerra cibernetica come fenomeno globale, continuo, stratificato.
Come si usa un atlante della guerra cibernetica senza farsi ingannare
Un atlante serve se lo tratti come strumento di lavoro, non come intrattenimento. Serve se lo usi per verificare, per confrontare, per seguire le ricorrenze. Serve se lo usi per capire che un attacco non è mai solo un attacco, ma spesso è un messaggio, un test, una pressione, una preparazione, una dimostrazione di forza.
Serve anche per capire che la geopolitica, oggi, non è solo carri armati e gasdotti. È supply chain, è telecomunicazioni, è cloud, è accesso a dati, è pressione su infrastrutture. Lo spazio cyber è il luogo dove tutto questo si traduce in operazioni reali, spesso invisibili al pubblico finché non esplodono.
Qui la promessa è chiara: non vi viene chiesto di credere.
Vi viene chiesto di osservare. Di leggere. Di collegare. Di costruire un’autonomia di giudizio che, in un Paese abituato a delegare, è già una forma di resistenza.
Da oggi: meno slogan, più capacità di leggere il presente
Si spendono soldi per consulenze e teleimbonitori utili a raccontare storie di propaganda. Al netto delle formule, il punto resta: esiste una distanza tra spesa e capacità reale di orientare i cittadini. E quella distanza, nella guerra cibernetica, è un rischio operativo, non un problema di comunicazione.
Questo atlante nasce per ridurre quella distanza. Nasce per restituire al lettore ciò che spesso viene sottratto: il CONTESTO.
Nasce per far emergere la continuità dietro l’emergenza. Nasce per mostrare che la cultura digitale non è un capitolo del passato, ma una necessità urgente nel presente.
E se oggi presento la mappa della guerra cibernetica, non lo faccio per dire “guardate cosa abbiamo fatto”. Lo faccio per dire qualcosa di più scomodo: da oggi avete meno scuse per farvi raccontare la guerra cibernetica da chi la usa come strumento di potere. Perché, finalmente, avete una cartografia consultabile. E quando la cartografia esiste, la propaganda perde terreno.
Saluti dal Dark Web dell’informazione: quello che Google non mostra, YouTube censura e Meta epura.