Soddisfatto o cancellato?
Questa settimana il punto non è “che notizia è uscita”, ma che tipo di potere si è mosso quando qualcuno ha provato a raccontare, analizzare, o anche solo esistere fuori dal copione. Perché lo schema torna sempre uguale: appena il racconto diventa scomodo, la reazione non è confutare, è delegittimare.
Nel caso Limes, le dimissioni e la polemica non parlano soltanto di una rivista. Parlano di un clima in cui l’analisi viene scambiata per propaganda e l’ascolto delle fonti diventa colpa. O stai nella tribù, o sei “contaminato”. E sui social la sentenza arriva prima dei fatti, con la stessa velocità con cui un frame cancella anni di metodo.
Dentro lo stesso blocco, la storia Corona–Signorini è la fotografia di un’altra pressione: quella dell’emittenza e del sistema mediatico che si regge su silenzi, relazioni, protezioni e paure. Qui non è questione di simpatia o antipatia: il punto è che quando un’inchiesta passa da YouTube perché altrove non passerebbe, non stai guardando un contenuto “pop”. Stai guardando un segnale: il perimetro del dicibile si sta spostando, e spesso non lo decide il pubblico ma la rete di interessi attorno al palco.
E poi c’è l’Europa contro Musk: la pressione su X, le indagini, le sanzioni, il conflitto politico e commerciale mascherato da battaglia morale. Qui il tema non è difendere Musk o difendere Bruxelles. Il tema è capire che la libertà di espressione è diventata una leva geopolitica, e che le piattaforme non sono più solo spazi: sono infrastrutture di potere. Quando l’Europa stringe, quando Washington oscilla, quando un proprietario alza il volume, la posta in gioco non è un social: è chi controlla il flusso della realtà pubblica.
In mezzo a tutto questo arriva anche l’editoria: l’ingresso di Leonardo Maria Del Vecchio ne Il Giornale dopo il rumore di Equalize è un altro pezzo dello stesso mosaico. Perché oggi la stampa non vive solo di copie, vive di posizionamento, di reti, di accesso, di influenza. E quando cambiano i capitali, quasi sempre cambia anche il modo in cui una testata decide cosa può permettersi di raccontare.
Sul fondo scorre la guerra vera, quella invisibile: furti crypto che finanziano apparati statali, phishing che aggira l’MFA con token e consenso “guidato”, campagne APT che colpiscono università e ricerca perché la conoscenza, ormai, è un obiettivo strategico. Qui non c’è tifo possibile: c’è solo una certezza. Se perdi l’analisi, perdi la difesa.
Per questo il filo unico è semplice e brutale: oggi si fa guerra all’analisi perché l’analisi rallenta le narrazioni, rompe i recinti, toglie ossigeno agli slogan. E quando l’analisi diventa il nemico, la domanda non è più “chi ha ragione”, ma chi resta libero di capire.
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Saluti dal Dark Web dell’informazione: quello che Google non mostra, YouTube censura e Meta epura.