Finisce un altro anno e ci siamo arrivati: otto anni di Matrice Digitale, un portale nato per un’idea semplice e radicale insieme, quella dell’approfondimento costante, h24, sul mondo della sicurezza informatica. Da allora non abbiamo cambiato bussola, né linguaggio, né intenzione. Abbiamo scelto tre parole chiave, le tre C che spiegano chi siamo e cosa facciamo: cybersecurity, cybercrime e cyberwar. Non come slogan, ma come campo di battaglia quotidiano, dove le notizie non sono mai solo notizie e dove la cronaca, se la guardi bene, diventa geografia del potere.
Questa è la differenza che i lettori hanno imparato a riconoscere:
leggere Matrice Digitale non significa inseguire la notizia del giorno, né restare in superficie, né scivolare nel pettegolezzo che si traveste da attualità. Significa entrare dentro le dinamiche, perché solo le dinamiche spiegano il presente e, a volte, permettono perfino di intravedere il futuro.
È un metodo che richiede fatica, pazienza, disciplina e anche un po’ di coraggio. Richiede soprattutto una cosa che nel 2025 è diventata merce rara: indipendenza.
Questo oramai è chiaro anche a coloro che si iscrivono alle nostre newsletter settimanali su Substack o LinkedIn
Non siamo qui per marciare sopra le notizie, per spremere ogni fatto fino all’ultima goccia di indignazione, per costruire rendite di clic, per cavalcare onde che altri hanno già gonfiato. Siamo qui per dire al lettore: noi ci siamo stati, noi te l’abbiamo detto, e se oggi lo leggi sui grandi giornali sappi che spesso è l’ultimo fotogramma di una storia più lunga, fatta di segnali, di premesse, di interessi, di silenzi. E noi, quelle premesse, abbiamo provato a raccontarle quando ancora non erano “fenomeno mediatico”.
Cybersecurity, cybercrime e cyberwar non sono tre etichette. Sono tre porte che portano nello stesso edificio: quello della società digitale, dove sicurezza e libertà si inseguono e si scontrano, dove la tecnologia promette emancipazione ma spesso consegna controllo, dove l’infrastruttura diventa ideologia e dove l’algoritmo, in silenzio, decide cosa esiste e cosa no. È anche per questo che, dal 2017 a oggi, Matrice Digitale non ha insistito soltanto su informazione e prevenzione, ma anche su un punto più profondo: la cultura digitale.
Cosa leggere
La prigione dell’umanità, dal 2017 a oggi
C’è una traccia che non abbiamo mai lasciato. La traccia pubblicata dalla Prigione dell’Umanità. Un’inchiesta, un’autobiografia, e insieme una previsione del mondo che verrà: dal 2017 a oggi abbiamo visto quel mondo materializzarsi pezzo dopo pezzo, come se la cronaca non facesse altro che confermare ciò che la struttura aveva già preparato. Il concetto è rimasto sempre lo stesso: la prigione non è una metafora romantica, è un’architettura. E l’architettura ha bisogno di carcerieri.
Nel nostro vocabolario, quei carcerieri hanno un nome: carcerieri digitali. Sono piattaforme, infrastrutture, filiere di distribuzione, norme applicate a geometria variabile, sistemi di ranking, recinzioni invisibili, linee rosse che si spostano senza preavviso. Non sempre sono “cattivi” nel modo banale in cui ci piace raccontarla, e spesso non sono nemmeno consapevoli, perché in un ecosistema industriale la responsabilità si dissolve. Ma l’effetto è misurabile: spazi più chiusi, margini più stretti, informazione sempre più compressa tra interessi, paura e opportunismo.
Dentro questo quadro nasce anche un’altra scelta che ci ha accompagnati negli anni: la costruzione di strumenti e percorsi, non solo di articoli. Non è un caso che sia nato il Manuale di sopravvivenza per genitori e figli, perché la cultura digitale non è un optional, non è un corso serale, non è un tema da “settimana della sicurezza”. È una competenza di base, come leggere e scrivere. È una forma di autodifesa civile. È la grammatica necessaria per capire perché un gesto apparentemente innocuo può diventare un rischio, perché una piattaforma può trasformarsi in una trappola, perché un servizio “gratuito” spesso si paga in altro modo.
Eppure, mentre tutto questo accade, l’ecosistema informativo si polarizza: da una parte le notizie ridotte a frammenti, dall’altra l’approfondimento ridotto a format, spesso ingestibile, spesso ingessato. In mezzo ci sono i lettori che cercano qualcosa di diverso: non un catechismo, non un tifo, non un tribunale popolare, ma un racconto puntuale e verificabile. Noi abbiamo provato a stare lì. Con passione, certo. E anche con competenza, quando serve, soprattutto sul territorio, con approfondimenti che non vivono di slogan ma di sostanza.
Indipendenza non significa neutralità, significa non schierarsi con il potere
C’è un equivoco che avvelena il dibattito pubblico: l’idea che essere indipendenti significhi non avere una posizione. No. Essere indipendenti significa non schierarsi con il potere, non trattare le notizie per convenienza, non aspettare il “momento giusto” per non disturbare equilibri e amicizie, non conservare una storia in frigo finché qualcun altro la rende pubblicabile. Significa raccontare senza paura ciò che sta accadendo, anche quando sembra scomodo, anche quando non conviene, anche quando la notizia è ancora “piccola” e dunque, per molti, trascurabile.
E qui arriviamo a un punto che i nostri lettori hanno visto con chiarezza nel 2025:
la mediaticità di una notizia non coincide con la sua rilevanza. Una storia può essere enorme e restare invisibile. Una storia può essere minima e diventare un caso nazionale. E spesso la differenza non sta nei fatti, ma nel contesto: chi la spinge, chi la frena, chi la usa, chi la teme.
Noi abbiamo cercato di anticipare gli eventi prima che diventassero fenomeni. Non per vanità, non per dire “l’avevamo detto” come esercizio di ego, ma perché l’anticipo è un servizio: significa consegnare ai lettori le chiavi di lettura quando ancora si può capire, non quando ormai si può solo reagire.
Fabrizio Corona, quando il gossip nasconde industria, piattaforme e potere
L’esempio più eclatante dell’ultimo mese, nel nostro racconto di fine anno, resta il caso Fabrizio Corona. Mentre altri glissavano, mentre in tanti lo consideravano un fatto di costume, un rumore da social, un episodio da chiacchiera, il problema era già scoppiato. Eppure, nessuno ne parlava seriamente. Matrice Digitale ha dedicato due inchieste non per stabilire chi avesse ragione o torto, ma per ricostruire tutto quello che stava succedendo attorno alla notizia.
Perché il punto non era il gossip. Il punto era il meccanismo. Una vicenda che sembrava intrattenimento nascondeva livelli più profondi. Intrighi, pressioni, persino un’eco di spionaggio industriale, e soprattutto una contrapposizione che si è fatta via via più chiara: da un lato il mondo delle piattaforme, dall’altro il mondo dell’informazione tradizionale; da un lato la disintermediazione totale, dall’altro la reazione del sistema che prova a difendersi. In quella frizione, il caso Corona diventava uno specchio: non raccontava soltanto un personaggio, raccontava un’industria che ha spostato i confini del dicibile, e che spesso decide cosa esiste e cosa deve essere ridotto a rumore.
Anche qui il dato che pesa non è l’opinione, ma la fotografia del sistema: mentre molti abbassavano lo sguardo, Matrice Digitale ha scelto di guardare dentro la macchina. E questo è un tratto che ci accompagna da anni: non raccontiamo solo l’evento, raccontiamo la struttura che lo rende possibile.
Il Garante della privacy, Report e la cronaca che arriva dopo
Un’altra vicenda che ha segnato il 2025 è quella del Garante della privacy. Nel mentre Report indagava, Matrice Digitale, come tanti altri, è stata informata della notizia. Ma la differenza si è vista dopo: in tanti non hanno dato risalto alla nostra testata, e soprattutto in tanti hanno scelto di aspettare. Noi no.
Leggi l’inizio della storia del Dossier Fantasma
Dopo averne parlato con tre puntate nei mesi estivi, ottobre ha acceso definitivamente i riflettori nazionali sul caso. Ma quando l’argomento diventa “nazionale”, spesso significa che una parte del lavoro di ricostruzione è già stata fatta altrove, nei margini, nelle testate che non hanno bisogno di aspettare il via libera della corrente. È un pattern che i lettori riconoscono: la storia esplode quando diventa utile a qualcuno, oppure quando diventa inevitabile. Prima, spesso, resta in una zona grigia dove contano i rapporti, i timori, le convenienze.
Matrice Digitale ha scelto di non trattare quella zona grigia come un limite, ma come un campo di indagine. Perché la privacy, oggi, non è un tema tecnico, è un tema politico e industriale. È un pezzo di sovranità. È un dispositivo di potere. È un terreno dove le istituzioni si misurano, e dove le piattaforme testano la loro capacità di resistere.
Aiwashing, Luciano Floridi e l’etica dell’intelligenza artificiale come marketing
Nel 2025 abbiamo visto anche un’altra dinamica diventare quasi sistematica: l’uso dell’etica dell’intelligenza artificiale come arma di posizionamento, come passaporto per sedersi ai tavoli che contano, come certificato di rispettabilità per chi vende tecnologia e influenza. Matrice Digitale è stata la prima e l’unica a sbugiardare questo schema, perché lo schema era già visibile:
parlare di “etica” non significava automaticamente fare etica. Spesso significava fare marketing.
Qui entra un nome che nel nostro percorso è diventato un punto di riferimento concettuale: Luciano Floridi, che ha descritto in un paper l’attività di AIwashing, cioè l’uso dell’AI e del linguaggio etico come vernice reputazionale, come strumento per presentarsi come portatori di interesse legittimi, anche quando l’interesse è semplicemente sedersi dove si decide.
Non si tratta di negare la necessità di un’etica dell’AI. Si tratta di difenderla dal suo abuso. Perché quando l’etica diventa brand, smette di essere barriera e diventa tappeto rosso. E noi abbiamo insistito su questa differenza, perché è lì che passa la linea tra cultura digitale e propaganda.
Paolo Benanti, le caselle di potere e l’Università LUISS
Dentro questa stessa traiettoria si colloca il fenomeno Paolo Benanti. Nato nel racconto pubblico come figura salvifica, come voce capace di rassicurare l’opinione pubblica di fronte all’ansia da robot e automazione, Benanti è diventato progressivamente un attore di sistema, fino a occupare caselle di potere e sedere a tavoli di governo nonostante rappresenti uno Stato stranierio. Il punto non è la persona come bersaglio, il punto è il meccanismo: chi viene legittimato, come viene legittimato, e soprattutto perché.
Matrice Digitale ha analizzato questo fenomeno prima che diventasse un fatto consolidato, e i lettori hanno visto un elemento che per noi è cruciale: le traiettorie si possono prevedere quando osservi la struttura che le produce. E infatti abbiamo scritto, già prima, che Benanti avrebbe occupato spazi ulteriori, fino alla cattedra all’Università LUISS. Non è profezia. È lettura del sistema.
E quando un sistema preferisce alcune figure ad altre, spesso non lo fa perché sono “le più preparate”, ma perché sono le più funzionali: al racconto, alla mediazione, alla negoziazione, alla pacificazione, alla comunicazione.
È un’altra forma di aiwashing, più sottile: non vendi tecnologia, vendi interpretazione. E l’interpretazione, quando diventa monopolio, smette di essere servizio.
Cyberwar, proclami e realtà: Guido Crosetto e la scena pubblica
Sulla guerra cibernetica abbiamo visto nel 2025 un accumulo di proclami e posture. L’argomento è diventato un palcoscenico: social network pieni di “esperti” improvvisati, toni apocalittici, analisi che spesso ripetono slogan senza dati. Dentro questo rumore, Matrice Digitale ha scelto un gesto opposto: costruire e mettere a disposizione una mappa.
Lo abbiamo fatto pubblicando un atlante vivo, il primo in Italia nel nostro genere: un atlante autoalimentato dalle notizie pubblicate in otto anni sul mondo della cyberwar, sugli attori statali, sulle campagne, sui segnali, sulle ricorrenze. È uno strumento consultabile, un archivio ragionato che non chiede fede ma chiede lettura.
Leggi, studia e consulta l’atlante vivo di Matrice Digitale
Dentro questo dibattito si è inserito anche un nome che nel discorso pubblico pesa, perché rappresenta una funzione istituzionale e una postura politica: Guido Crosetto. Al di là di come ciascuno giudichi i toni e le scelte, ciò che conta è la dinamica: quando la cyberwar entra nel lessico politico, diventa un campo dove si misurano competenze reali e narrazioni opportunistiche. E noi, su questo, non abbiamo mai smesso di dire una cosa: la guerra cibernetica non si racconta con i proclami, si racconta con i fatti, le infrastrutture, le catene di responsabilità, le fragilità.
Paragon, Elisabetta Belloni e il prezzo delle dimissioni
Ci sono poi storie che, per come si muovono, ti dicono quanto il potere sia un sistema nervoso più che un sistema razionale. La vicenda Paragon è stata una di queste. Matrice Digitale ha anticipato un punto che molti avrebbero preferito ignorare: l’aspetto delle dimissioni di Elisabetta Belloni e il bubbone che sarebbe scoppiato dentro il mondo dell’intelligence italiana.
Anche qui il tema non è l’anticipazione come trofeo. Il tema è la funzione del giornalismo quando fa davvero il suo mestiere: non aspettare che la versione ufficiale arrivi già impacchettata, ma ricostruire i pezzi, leggere le fratture, collegare i segnali. Perché le dimissioni, quando arrivano, spesso non sono un fulmine: sono l’ultimo atto di una crisi che ha covato.
Andrea Giambruno, Presidenza del Consiglio e la fragilità delle infrastrutture
Il 2025 ha confermato anche un’altra verità scomoda: le infrastrutture del potere sono fragili quanto quelle di qualsiasi organizzazione, e a volte anche di più, perché l’esposizione non è solo tecnica, è anche politica. Nel racconto pubblico si sono affacciate conferme e ricostruzioni su casi come quello di Andrea Giambruno, e su episodi che hanno lambito direttamente la Presidenza del Consiglio.
Qui Matrice Digitale ha insistito su un punto che per molti resta indigesto: la sicurezza non è una questione di comunicati, è una questione di processi. E quando un sistema si racconta invulnerabile, spesso sta solo nascondendo le sue crepe. Le crepe non spariscono perché non se ne parla. Crescono. E quando emergono, diventano scandalo, e lo scandalo diventa arma. Noi abbiamo cercato di trattare quelle crepe come materia di comprensione, non come materiale da tifoseria.
La riflessione sul giornalismo che diventa propaganda
Nel corso dell’anno Matrice Digitale ha aperto anche una riflessione che riguarda direttamente il nostro mestiere: il mondo dell’editoria e ciò che viene definito “giornalismo di qualità”. Perché spesso, quello che viene venduto come qualità non è qualità: è propaganda, a volte bece, a volte sofisticata, spesso finanziata e coperta da sovrastrutture internazionali che rendono difficile perfino nominare i conflitti di interesse.
Nelle ricostruzioni che si sono avvicendate sul fenomeno Equalize, e nelle dinamiche che hanno attraversato il dibattito pubblico, è emersa una cosa che i lettori hanno percepito con chiarezza: il sistema dell’informazione non è un monolite, ma ha gerarchie, filtri, linee di prudenza e linee di aggressività. E la prudenza, troppo spesso, non nasce dall’etica: nasce dal timore di toccare i fili sbagliati.
Matrice Digitale ha affrontato questi temi pezzo dopo pezzo, non per proclamare superiorità. Nessuno è migliore degli altri per definizione. Ma c’è un dato di fatto:
molte notizie le abbiamo trattate prima perché, quando una notizia c’è, va data. Non va conservata. Non va raffreddata. Non va aspettata per non infastidire il potere.
E questo denota, non di poco, il ricatto a cui costantemente sono soggetti gli Editori da parte di Google che garantisce al Governo di turno tranquillità in cambio di palesi violazioni costituzionali nel segmento della libertà di stampa e di espressione.
Meta, YouTube e la scarsa reattività delle piattaforme: il crimine che prospera nell’ecosistema
Il crimine informatico non prospera nel vuoto. Prosperano le truffe, prosperano le campagne, prosperano le manipolazioni quando l’ecosistema è permissivo, quando la reattività è lenta, quando l’interesse economico pesa più del danno sociale. Nel 2025 è tornato con forza un punto che Matrice Digitale ripete da tempo: a sostenere il cybercrime non c’è solo l’abilità dei criminali, c’è anche la scarsa reattività delle piattaforme social, e a volte perfino la convenienza.
In questo quadro, il caso di Meta è stato evocato in modo diretto e brutale: l’idea che una quota rilevante del fatturato, si è parlato perfino di un 10%, sia legata a dinamiche criminali che attraversano l’ecosistema. Al di là delle cifre, ciò che conta è la direzione del ragionamento: se l’economia dell’attenzione produce profitto anche dal degrado, allora il degrado non è un bug, è una feature tollerata.
E qui entra anche la nostra esperienza concreta: i ban dalle piattaforme, i blocchi, le chiusure, le riaperture. I lettori lo sanno: quando un’informazione non è addomesticata, può diventare scomoda. E quando diventa scomoda, il rischio non è solo essere contestati. Il rischio è essere semplicemente resi invisibili. È un’altra forma di prigione: non ti arrestano, ti spengono.
Dobbiamo però dare atto a Meta che dopo 2 mesi il profilo è stato ripristinato: leggi la storia
Quantum e la fine dell’anno: non fantascienza, ma scontro politico sul territorio
Il futuro, in realtà, non deve arrivare: è già iniziato. E verso fine anno lo abbiamo visto con la nostra inchiesta sul Quantum, che apre uno scenario diverso da quello che piace a chi ama fantasticare su domani fatto di promesse e proclami. Qui non c’era la fantascienza. C’era lo scontro politico sul territorio. C’era la lettura dei meccanismi. C’era la domanda di fondo: chi decide, con quali leve, e perché.
In vista delle elezioni in Lombardia, quel quadro racconta una cosa che ci riguarda da vicino: il nome Matrice Digitale non è casuale. Da anni sosteniamo che la prigione dell’umanità si è costruita anche grazie a carcerieri digitali, e che gli spazi si sono chiusi non con un solo atto, ma con una somma di piccoli atti, di compromessi, di accettazioni, di abitudini.
Non possiamo aprire quegli spazi con una bacchetta magica. Non possiamo liberarvi dalla prigione.
Ma possiamo fare una cosa, e la facciamo da otto anni: informarvi del fatto che siamo tutti carcerati, e che questa epoca sempre più distopica non va raccontata con i toni del romanzo, ma con la precisione del giornalismo. Un giornalismo senza peli, senza filtri e soprattutto senza paura. Un giornalismo che non confonde la rilevanza con la tendenza, e che non scambia l’approvazione delle piattaforme per legittimazione.
Il saluto ai lettori: la comunità che riconosce il valore dell’approfondimento
Questo articolo di fine anno lo dedichiamo ai lettori che hanno compreso la differenza tra consumare notizie e costruire comprensione. A chi ha capito che Matrice Digitale non è il posto dove si viene a prendere “l’ultimo titolo”, ma il posto dove si prova a capire perché quel titolo è apparso proprio oggi, perché è apparso in quel modo, perché altri lo hanno ignorato ieri e lo spingono domani.
A chi, in questi anni, ha scelto di restare con noi anche quando è più comodo voltarsi dall’altra parte. A chi ci ha letto quando parlare di certe cose era fuori moda, e ci ha dato ragione non per fede, ma perché i fatti hanno seguito la traiettoria che avevamo descritto. A chi ci ha seguito nella cybersecurity concreta, quella delle persone e delle famiglie, nella cultura digitale che si fa responsabilità quotidiana. A chi ha capito che il cybercrime non è solo una categoria di reato, ma un riflesso di un’economia che premia l’abuso. A chi ha guardato con noi la cyberwar non come spettacolo, ma come infrastruttura del conflitto contemporaneo.
E soprattutto a chi ha compreso la nostra tesi più scomoda: non siamo qui per liberarvi dalla prigione. Siamo qui per dirvi che esiste, che ha mura invisibili, che ha carcerieri digitali, e che la prima forma di resistenza possibile è non farsi trovare impreparati. La cultura digitale è la chiave, la prevenzione è l’abitudine, l’informazione è l’antidoto alla manipolazione.
Buon fine anno, allora.
Non come formula, ma come impegno reciproco: noi continueremo a raccontare con precisione ciò che accade, con nomi e cognomi quando i nomi e i cognomi sono fatti, con disciplina quando il rumore cresce, con ostinazione quando il silenzio diventa complice.
E voi continuate a leggere non per indignarvi un minuto, ma per capire davvero in che mondo stiamo vivendo. Perché se la Prigione dell’Umanità è il contesto, la consapevolezza è l’unico spazio che possiamo ancora allargare.