Editoriali
Facebook licenzia 11000 dipendenti: giusto perché non è stato Musk?
Tempo di lettura: 3 minuti. Meta licenzia 11000 dipendenti smentendo di fatto i detrattori di Musk. La crisi economica non ha colore politico e dovrebbe iniziare a preoccupare gli esperti da tastiera
Per chi ha fretta:
- Elon Musk è stato bersagliato per i suoi licenziamenti appena entrato in Twitter come nuovo proprietario
- Facebook aveva annunciato tagli nel silenzio generale, ma nessuno ha protestato ed in questi giorni ha mandato a casa 11.000 dipendenti
- Ancora una volta c’è l’esposizione di un mondo polarizzato e divisivo che contestava Musk per motivi politici e non strettamente tecnici ed è stato sconfessato dalla decisione di Zuckerberg. Adesso si metteranno a confronto i piani di liquidazione e si vedrà se anche Zuckerberg offrirà il 50 per cento, 20 in più dal minimo di legge, la quota di liquidazione ai suoi ex dipendenti.
- I problemi che derivano da questa crisi sono quelli della mancanza di materie prime, crisi nel settore della logistica e inflazione alle stelle sui beni di prima necessità
- Mentre c’è chi gioca in Italia alle elezioni di MidTerm americane come se fosse in ballo una partita di calcio, gli analisti a livello globale temono il crollo del sistema economico se l’inflazione non si ridurrà entro marzo 2023
Facebook ha licenziato 11000 dipendenti e la notizia è passata in sordina rispetto all’azione di Musk di rimuovere il 30 per cento della sua forza lavoro che corrisponde a 3500 unità circa. Nonostante fossero annunciati i tagli al personale, in questi giorni non sono mancate delle diversità nel trattare due notizie simili. In primo luogo i tagli previsti da Musk sono stati annunciati come il primo modo per tamponare le 4 milioni di perdite al giorno che in un anno equivalgono a 1,2 miliardi circa. Solo l’un percento di forza lavoro adesso è richiesto dalla stessa Twitter che sul suo profilo LinkedIn ha ancora 300 posizioni di lavoro circa aperte.
Zuckerberg ha invece perso in poco tempo l’80 per cento del suo valore e questo ha dato il la ai licenziamenti di massa che secondo alcune indiscrezioni sono a macchia di leopardo su tutti gli uffici, mostrando una riduzione della capacità produttiva mantenendo in essere, almeno in questo momento, tutti i progetti previsti dai piani aziendali.
Analisi dei crolli
Il giornalista di Fanpage, Valerio Berra, ha pubblicato i rendimenti delle big tech americane negli ultimi mesi ed ha evidenziato come ci sia stato un crollo in Amazon, Facebook, Microsoft con Twitter ed Apple che invece resistono seppur siano a rischio.
La motivazione di questa crisi può essere multipla ed inizia dal problema strutturale della mancanza di materie prime e della logistica.
L’assenza di materie prime, totalmente possedute dai paesi produttori, apre ad uno scenario di stallo delle vendite per mancanza di prodotti tecnologici. Il caso dell’iPhone 14 è eclatante: si allungano i tempi di consegna tanto da mettere Apple nella condizione di applicare 80 dollari di sconto su alcuni prodotti della nuova linea.
Questo ci porta quindi al secondo problema che riguarda invece l’inflazione. L’inflazione sui prodotti sta riducendo la capacità di acquisto delle persone riducendo i consumi e cosa ancora più preoccupante è che sta colpendo anche i beni di prima necessità. Questo vuol dire che su uno stipendio di 1000 dollari, i 200 dollari di potere di acquisto che si sono persi per l’aumento dei prezzi sui beni di acquisto pesano non solo sui consumatori ma sulle aziende di cui si può fare a meno ed ecco che subentrano le big tech. Se devo risparmiare non ordinerò più cose inutili su Amazon, se la gente non compra prodotti di un determinato settore perché impegnata su gas, cibo e medicinali, non converrà fare pubblicità online così come anche l’acquisto di un pc sarà impossibile per dei prezzi elevati e la mancanza di materie prime nelle catene di montaggio. Se i mercati prima si compensavano tra di loro, oggi la recessione sembra essere globale a causa del conflitto ucraino e dell’inflazione.
Conclusioni
In poche parole, bollare la crisi del settore big tech ed i licenziamenti come un problema di Musk il repubblicano, non solo è superficiale, ma denota l’onestà intellettuale e la lucidità di coloro che invece di analizzarne i problemi, sono ad oggi divisivi e strumentali ad idee politiche quando dovrebbero iniziarsi a preoccupare in prima persona degli effetti devastanti di un perdurare della situazione attuale soprattutto dal punto di vista dell’inflazione nelle società occidentali.
Editoriali
Chip e smartphone cinesi ci avvisano del declino Occidentale
Tempo di lettura: < 1 minuto. Un declino quasi annunciato facendo un’analisi geopolitica degli ultimi eventi nel settore dei semiconduttori
Dopo mesi di sanzioni alla Russia si scopre che l’approvvigionamento di Mosca dei processori è ritornato al livello di normalità Questo vuol dire che su 140 paesi nel mondo, le sanzioni anglo-euro-nato non sono state efficaci a costringere i russi a “rubare le lavatrici per utilizzare i chip“.
La Russia, sta costruendo in casa sua i processori, ma non hanno molto successo se consideriamo il fatto che molti sono difettosi. Quindi li prende dalla Cina che attraverso Huawei è entrata silenziosamente nel Mercato Europeo con la sua ultima creatura: la Serie Pura 70 non solo è uno smartphone potente, ma allo stesso tempo è l’evoluzione in stile Apple di quella che un tempo era considerata una cinesata.
Oggi questa cinesata è prodotta al 90% in Cina con materiali cinesi e questo dovrebbe far comprendere a noi Europei che se non facciamo i bravi, saremmo costretti ad usare i chip delle friggitrici ad aria e le plastiche delle bici per produrre degli smartphone.
Chiudiamo l’analisi, che difficilmente leggerete altrove per tanti motivi, tra cui la lesa maestà. La chiusura della fabbrica di Intel in Russia coincide con risultati economici disastrosi del gigante tecnologico.
Indovinate chi sta sopperendo a questa perdita con fondi pubblici: l’Europa.
Editoriali
MITRE vittima di zero day Ivanti: anche i migliori le prendono
Tempo di lettura: 2 minuti. Anche le organizzazioni ben preparate come MITRE possono essere vulnerabili a minacce cibernetiche avanzate
Nel contesto della sicurezza informatica, anche le organizzazioni più preparate possono trovarsi vulnerabili di fronte a minacce persistenti e avanzate, come dimostrato dagli attacchi recentemente subiti da MITRE. Questo caso sottolinea l’importanza di adottare un approccio informato sulle minacce per la difesa contro gli attacchi cyber sempre più sofisticati.
Cos’è MITRE?
MITRE è una corporazione senza scopo di lucro americana con sede principale a Bedford, Massachusetts, e una secondaria a McLean, Virginia. Fondata nel 1958, l’organizzazione opera centri federali di ricerca e sviluppo (FFRDCs) per conto del governo degli Stati Uniti. MITRE è dedicata all’interesse pubblico e lavora su una vasta gamma di questioni di sicurezza nazionale, aviazione, sanità, cybersecurity e innovazione del governo.
La missione principale di MITRE è quella di risolvere problemi complessi per un mondo più sicuro, fornendo ricerca, sviluppo e consulenza strategica ai vari enti governativi per aiutarli a prendere decisioni informate e implementare soluzioni tecnologiche avanzate. Uno degli aspetti notevoli del lavoro di MITRE è il suo impegno nella sicurezza informatica, attraverso lo sviluppo di framework e strumenti come il Common Vulnerabilities and Exposures (CVE) e l’ATT&CK framework, che sono largamente utilizzati a livello internazionale per la gestione delle minacce e la protezione delle infrastrutture critiche. Per ulteriori informazioni, puoi visitare il sito ufficiale.
Dettagli dell’attacco subito da MITRE
MITRE, un’organizzazione che si impegna a mantenere elevati standard di sicurezza cibernetica, ha recentemente rivelato di essere stata vittima di un attacco informatico significativo. Nonostante la solidità delle sue difese, MITRE ha scoperto vulnerabilità critiche che sono state sfruttate dagli attaccanti, segnalando un tema di sicurezza concentrato sulla compromissione di dispositivi di protezione perimetrale.
L’incidente e le sue conseguenze
L’attacco ha avuto inizio con un’intensa attività di ricognizione da parte degli attaccanti nei primi mesi del 2024, culminata nell’uso di due vulnerabilità zero-day nel VPN di Ivanti Connect Secure, bypassando l’autenticazione multifattore tramite session hijacking. Questo ha permesso agli attaccanti di muoversi lateralmente e infiltrarsi profondamente nell’infrastruttura VMware di MITRE, utilizzando account amministrativi compromessi e un mix di backdoor sofisticate e web shell per mantenere la persistenza e raccogliere credenziali.
Risposta di MITRE all’incidente
La risposta all’incidente ha incluso l’isolamento dei sistemi colpiti, la revisione completa della rete per impedire ulteriori diffusione dell’attacco, e l’introduzione di nuove suite di sensori per monitorare e analizzare i sistemi compromessi. Inoltre, l’organizzazione ha avviato una serie di analisi forensi per determinare l’entità del compromesso e le tecniche utilizzate dagli avversari.
Lezioni apprese e miglioramenti futuri
Questo incidente ha rafforzato per MITRE l’importanza di comprendere i comportamenti degli hacker come mezzo per sconfiggerli, spingendo l’organizzazione a creare tassonomie comportamentali che catalogano le TTP (tattiche, tecniche e procedure) degli avversari, che hanno portato alla creazione di MITRE ATT&CK®. Questo evento ha anche stimolato l’adozione del concetto di difesa informata dalle minacce, culminando nella creazione del Center for Threat-Informed Defense. L’incidente di sicurezza subito serve da monito per tutte le organizzazioni sulla necessità di mantenere sistemi di difesa aggiornati e proattivi, utilizzando le risorse come il MITRE ATT&CK, costantemente monitorato anche da CISA i cui bollettini sono riportati puntualmente da Matrice Digitale, per rimanere informati sulle ultime strategie degli avversari e su come contrastarle efficacemente.
Editoriali
Università, Israele e licenziamenti BigTech
Tempo di lettura: < 1 minuto. Una riflessione sull’eventualità di sospendere gli accordi nelle università italiane con progetti di ricerca israeliani
A distanza di un mese, l’Italia scopre il progetto Nimbus, di cui Matrice Digitale ne parla da più di un anno, dove Google fornisce un cloud ad Israele per il riconoscimento facciale di tutta la striscia di Gaza.
Essendo #Google una multinazionale, come tante altre #bigtech, si vanta di avere dipendenti maschi, femmine, gender fluid, cristiani, buddisti e pure musulmani.
Poi però licenzia i musulmani ed i bianchi pacifisti perchè partecipano a manifestazioni contro i progetti militari dell’azienda.
Vi sorprenderò: è giusto che lo faccia perchè sono interessi privati e se uno vuole vendere armi, anche quelle non convenzionali, può farlo.
Qui però entriamo nel merito delle Università che protestano per non sviluppare progetti di ricerca militari con l’una e l’altra nazione: questo dovrebbe sollecitare i rettorati ad aprire una riflessione sui progetti militari e l’art. 11 della ns Costituzione che tanto ripudia la guerra.
Quindi se sospendiamo i progetti militari dalle università, si risolve il problema?
NO, e sapete perchè?
E la cosa vera l’ha detta Bersani in questi giorni ad Otto e Mezzo: esistono tanti progetti accademici di secondo livello che propongono buoni propositi, ma in realtà chi li gestisce ha già presente il fine e l’impiego militare.
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