L'Altra Bolla
Puglisi colpisce Fabbri, ma rischia di favorire laureati incompetenti
Tempo di lettura: 4 minuti. E’ la sfida social del momento. Il professor Puglisi attacca l’analista geopolitico Fabbri sulla laurea, ma dimentica che suoi colleghi sono peggiori e non dovrebbero essere chiamati in RAI
In questi giorni di ritorno dalle vacanze la Twitter sfera , o meglio X sfera , è stata sconvolta dall’uragano Riccardo Puglisi. Il docente di economia dell’università di Pavia ha sferrato un attacco contro l’analista geopolitico Dario Fabbri collaboratore del Domani di De Benedetti e professionista di riferimento sia di open che del TG di La 7 curato da Enrico Mentana. Quello su cui insiste il professor Puglisi è la definizione trovabile in rete di dottore, quindi di laureato, di uno degli analisti geopolitici più presenti che l’emittenza nazionale ci ha restituito negli ultimi periodi di conflitto ucraino. Non è chiaro come e se il professor Puglisi sia motivato dall’insistere nei confronti di Fabbri per sapere se sia laureato o meno, ma ci sono ombre di mistero sulle risposte che provengono dagli ambienti vicini allo stesso analista geopolitico, compresi quelli della rivista di analisi geopolitica più importante in Italia, Limes, e che ha come direttore Lucio Caracciolo: anche lui punto di riferimento della trasmissione Otto e Mezzo di Lilli Gruber dallo scoppio della guerra.
Dario Fabbri è anche, leggendo in rete, nominato professore della scuola del DIS che ha aperto le porte del mondo dell’intelligence allo stesso classe 1980 considerato da molti troppo giovane per ricoprire postazioni di visibilità all’interno del mondo televisivo e spazi accademici di tipo “sensibile”.
La battaglia di Puglisi ed il dibattito sugli esperti tv
C’è qualcosa di positivo nell’attività messa in campo da Puglisi e che tende a colpire Dario Fabbri per motivi che il professore, si spera, svelerà successivamente è lo svelare il segreto di Pulcinella del castello di carta sulla credibilità di progetti redazionali che da giornalisti si sono trasformati in fact-checking . Non è un caso che oltre ad aver interpellato Mentana, Riccardo Puglisi ha scritto una richiesta di aiuto anche al giornale Open Online e al controverso fact-checker del giornale inglobato in una collaborazione stretta con Meta e Facebook , David Puente. Al momento non c’è risposta e se non arriverà, ci troviamo dinanzi ad uno dei tanti conflitti di interesse che aleggia dietro i controllori dell’informazione del nuovo millennio.
Una laurea o una cattedra non fanno un esperto
Quello che però invece non può essere condiviso al 100 % su un ipotetico ragionamento del professor Puglisi è che una laurea o una cattedra universitaria diano un patentino di esperto a chiunque la detiene, idem un numero maggiore di ricerche pubblicate. Questo può essere una bussola, sì, ma la storia recente delle apparizioni tv e social ha distrutto la reputazione del mondo accademico unitamente a quello dei giornalisti. Premesso che la componente dell’istruzione è fondamentale, quello che ovviamente hanno dimostrato sia la guerra sia il Covid è stata l’impreparazione di molte cariche statali e accademiche, anche di natura privatistica, intervenute nei dibattiti televisivi degli ultimi anni che hanno messo da parte spesso le proprie conoscenze o i propri studi accademici di base in favore di una lettura politica. L’aspetto più interessante è che si sono utilizzate ricerche scientifiche, che per antonomasia non sono mai sicure al 100% per distribuire patentini di bravura a chi le citava avallando le tesi che spesso si sposavano con gli indirizzi politici.
La RAI dovrebbe monitorare le dichiarazioni degli esperti
Sia chiaro, questo non vuol dire demonizzare chi è docente universitario e chi ha una laurea, nemmeno minimizzarne il percorso professionale, ma sarebbe il caso in realtà di monitorare le dichiarazioni degli esperti e verificarle a distanza di un tempo stabilito e nel caso di errori non di opinione, bensì scientifici, si provveda ad una sospensione come penalità per aver disinformato il pubblico. Questo discorso dovrebbe essere un must per la RAI e le sue realtà editoriali sia televisive sia radiofoniche mentre per le tv commerciali è chiaro che c’è bisogno di assoluta libertà nello scegliere quello che pagano gli sponsor. Perché c’è una cosa che spesso passa inosservato ed è il fatto che dietro un conduttore (giornalista) o un opinionista ci siano procuratori o agenzie di comunicazione che hanno budget da investire e fanno da stakeholder di interessi commerciali e questo rende il tutto ancora più torbido e contraddittorio se consideriamo che un giornalista di provincia non può invece mettere il suo volto su un manifesto per fare pubblicità a un prodotto.
Informazione o narrativa politica?
Il nocciolo del problema è che l’informazione oggi dà l’impressione di portare avanti narrative politiche e questo mette in difficoltà la ricerca della verità ed il trovare persone “limpide” quando si fa informazione giornalistica e scientifica. Se qualcuno ha previsto l’esistenza della post verità è proprio per questo motivo. C’è bisogno che quest’ultima abbia il giusto riconoscimento sociale proprio per la meritocrazia che tanto si millanta nelle ospitate televisive. O hai una cattedra oppure sei nessuno o hai una laurea oppure non puoi rivolgerti agli italiani parlando nei media. Nemmeno questo concetto però sembra passare come legge divina perché è chiaro che, quando ci si trova dinanzi a persone accreditate anche a livello scientifico che sostengono delle tesi in antitesi alla narrazione politica necessaria del momento, gli stessi accademici diventano dei brocchi e partono liste di proscrizione e strani articoli di quotidiani internazionali a screditare chi non la pensa come dovrebbe.
Dario Fabbri e Riccardo Puglisi chi vince?
Dario Fabbri non risponde alle “stimolazioni” di Puglisi e sbaglia. Nel caso Fabbri non fosse laureato, dovrebbe dirlo proprio per dimostrare la tesi che una laurea o una cattedra non fanno la competenza. Se facciamo un’analisi degli analisti geopolitici presenti in Italia, Fabbri ha comunque una marcia in più perché ospitato da Mentana, fornisce tra i denti spiegazioni corrette, riscontrabili, e non sempre come vorrebbe il direttore del Tg di La7 spesso colto in fallo a diffondere notizie false sulla guerra come nel caso delle attribuzioni degli attentati al Nord Stream e a Kramatorsk che rischiava di far scoppiare la terza guerra mondiale. Il rischio è che Puglisi dimentichi l’altra parte dei suoi colleghi accademici come la Tocci, Parsi, che hanno dimostrato di essere il braccio armato di una certa narrazione che con la geopolitca nulla ha a che vedere. Così come c’è qualcuno che vuole entrare nelle università e fare piazza pulita di chi in questo periodo non è stato fedele alla causa atlantista: è questo il rischio che l’attacco a Fabbri può generare nella percezione di un mondo universitario che non ha dimostrato indipendenza attraverso i suoi esperti chiamati in tv. Puglisi tra i suoi tweet sull’affaire Fabbri cita Roberto Burioni che sul Covid, secondo lo schema delle verifiche sulle dichiarazioni “invecchiate male”, non rischierebbe una sospensione, bensì un ban a vita dalle televisioni pubbliche.
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Otto creator TikTok fanno causa contro ban USA: paura in Canada
Tempo di lettura: 3 minuti. Otto creator di TikTok fanno causa contro la legge statunitense “divest-or-ban”, sostenendo che viola il Primo Emendamento e minaccia la libertà di espressione.
Otto creator di TikTok hanno intentato una causa contro la legge statunitense “divest-or-ban”, sostenendo che la legge viola il Primo Emendamento. Questa legge, che richiede a TikTok di separarsi dalla sua società madre cinese ByteDance o di essere bandita negli Stati Uniti, ha sollevato preoccupazioni sulla libertà di espressione e l’accesso alle piattaforme di social media.
Argomenti della causa
La causa dei creator si basa su argomenti simili a quelli presentati dalla stessa TikTok in una causa separata. Entrambe le cause sostengono che le preoccupazioni dei legislatori riguardo l’app siano speculative e ricordano che i tribunali hanno già bloccato altri tentativi di vietare TikTok, inclusi un ordine esecutivo dell’ex presidente Donald Trump e una legge statale del Montana.
Impatti sulla libertà di espressione
I creator, tra cui il rancher Brian Firebaugh, la recensitrice di libri Talia Cadet e l’allenatore di football universitario Timothy Martin, affermano che TikTok è unico come mezzo di espressione, con caratteristiche distintive come l’algoritmo di raccomandazione, la funzione green screen e la capacità di fare duetti. Questi elementi, secondo la causa, conferiscono a TikTok una cultura e un’identità distintive che non sono replicabili su altre piattaforme.
Preoccupazioni per il cambio di proprietà
I creator sostengono che il cambio di proprietà potrebbe alterare drasticamente l’esperienza di TikTok, analogamente a come l’acquisizione di Twitter da parte di Elon Musk ha modificato quella piattaforma. La loro preoccupazione principale è mantenere le pratiche editoriali attuali di TikTok, che considerano essenziali per la loro capacità di creare e accedere a contenuti espressivi.
Richiesta alla corte
La causa è stata presentata alla Corte d’Appello federale di Washington, DC, che ha giurisdizione esclusiva sulle sfide alla legge di disinvestimento forzato. I creator chiedono alla corte di dichiarare incostituzionale la legge e di impedirne l’applicazione.
Implicazioni future
Questa causa rappresenta un passo significativo nella lotta per la libertà di espressione sulle piattaforme di social media e potrebbe avere implicazioni di vasta portata per l’industria tecnologica e i diritti dei creator digitali.
L’agenzia di intelligence canadese contro TikTok: dati a rischio
Il direttore dell’intelligence canadese, David Vigneault, ha lanciato un severo avvertimento contro l’uso di TikTok, affermando che l’app rappresenta un “rischio” per i dati di adulti e adolescenti. Vigneault ha dichiarato che la Cina utilizza “analisi di big data” e server di elaborazione per raccogliere informazioni, sollevando preoccupazioni sulla sicurezza dei dati personali.
Dichiarazioni di vigneault
Durante un’intervista con la CBC, Vigneault ha affermato: “Come individuo, direi che non consiglierei assolutamente a nessuno di avere TikTok”. Ha aggiunto che la Cina ha una strategia molto chiara per utilizzare TikTok per ottenere dati da persone in tutto il mondo. L’uso di analisi di big data e computer farm per elaborare e raccogliere dati è stato indicato come il principale motivo di preoccupazione.
Preoccupazioni sulla privacy
Vigneault ha sottolineato che TikTok è particolarmente rischioso per gli adulti e gli adolescenti in Canada. Le preoccupazioni riguardano il modo in cui la Cina potrebbe utilizzare i dati degli utenti catturati in Canada e in altri paesi per creare intelligenza artificiale. Questo potrebbe includere dati personali raccolti da adolescenti che potrebbero essere utilizzati in futuro.
Critiche alla raccolta dei dati
Sami Khoury, capo del Centro Canadese per la Sicurezza Informatica della Comunicazione, ha anche espresso preoccupazioni l’anno scorso, chiedendo perché un’applicazione dovrebbe avere accesso all’elenco dei contatti, al calendario, alle email e ai record telefonici degli utenti. Khoury ha sollevato il problema dell’aggregazione dei dati, temendo che la Cina possa confrontare gli elenchi di contatti di due utenti per vedere dove si sovrappongono.
Situazione negli Stati Uniti
Negli Stati Uniti, il governo ha approvato una legge che costringe ByteDance, la società madre di TikTok, a vendere l’app o affrontare un divieto. Questa mossa ha portato TikTok a intentare una causa, sostenendo che il divieto proposto è “incostituzionale”. Il CEO di TikTok, Shou Chew, ha affermato che l’app non andrà da nessuna parte e che TikTok ha costruito salvaguardie che nessun’altra azienda ha fatto. Tuttavia, il futuro di TikTok negli Stati Uniti rimane incerto. Le preoccupazioni sulla sicurezza dei dati di TikTok continuano a crescere, con le autorità canadesi che avvertono gli utenti di essere cauti nell’utilizzo dell’app. Mentre TikTok affronta una pressione crescente negli Stati Uniti per separarsi dalla sua società madre cinese, il dibattito sulla privacy e la sicurezza dei dati è destinato a continuare.
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BlockOut 2024: blocco delle celebrità per supportare la Palestina
Tempo di lettura: 2 minuti. Gli utenti dei social media lanciano “Blockout 2024”, una campagna per bloccare celebrità e influencer per supportare la Palestina.
Negli ultimi sette mesi, il conflitto in Gaza ha intensificato l’attività degli utenti dei social media, che cercano di sensibilizzare e sostenere la popolazione palestinese. In questo contesto, è emersa una campagna chiamata “Blockout 2024”, che mira a bloccare celebrità e influencer su piattaforme come TikTok e Instagram per ridurre la loro visibilità e i guadagni derivanti da contenuti sponsorizzati.
La campagna “Blockout 2024”
L’iniziativa “Blockout 2024” è partita da un video su TikTok in cui un utente proponeva di bloccare celebrità in risposta alla percepita indifferenza di queste figure verso il conflitto in Palestina. La campagna è cresciuta rapidamente, con migliaia di post su TikTok e Instagram che utilizzano l’hashtag #blockout per promuovere il blocco delle celebrità. Celebrità come Kim Kardashian, Tom Brady, Beyoncé, Taylor Swift e Selena Gomez sono state frequentemente citate nelle “block lists” che circolano online. L’obiettivo della campagna è quello di limitare l’influenza e il guadagno di queste celebrità, che molti utenti percepiscono come insensibili alle sofferenze dei palestinesi. Già abbiamo visto come i food blogger, censurati dalle piattaforme, hanno promosso la cultura palestinese con le loro ricette.
Reazioni e supporto
La campagna ha suscitato diverse reazioni, con alcuni utenti dei social media che vedono il blocco delle celebrità come un modo efficace per esprimere il loro sostegno alla Palestina e per sensibilizzare l’opinione pubblica. Oltre al blocco delle celebrità, gli utenti stanno esercitando pressione affinché queste figure influenti promuovano sforzi di aiuto diretto come Operation Olive Branch, un’iniziativa per raccogliere fondi destinati alle famiglie palestinesi. Alcuni artisti e creatori, tra cui Lizzo e Hank Green, hanno pubblicamente supportato tali organizzazioni, rispondendo alle richieste degli utenti di social media di utilizzare la loro influenza per una causa umanitaria.
Sfide e impatto
L’attivismo sui social media può essere effimero, con l’interesse degli utenti che tende a diminuire e la portata dei movimenti limitata dagli algoritmi delle piattaforme. Tuttavia, “Blockout 2024” rappresenta una risposta significativa alla frustrazione e all’urgente bisogno di sostegno per la Palestina. La campagna dimostra come i social media possano essere utilizzati non solo per la condivisione di contenuti personali, ma anche come piattaforma per il cambiamento sociale e la mobilitazione collettiva.
Coincidenza con altre forme di attivismo
Il “Blockout 2024” si inserisce in un contesto più ampio di attivismo sui social media, dove le piattaforme digitali sono diventate un battleground per influenzare l’opinione pubblica e promuovere cause sociali. Durante la crisi di Gaza, Instagram e TikTok sono stati inondati di infografiche, immagini e video che documentano la violenza e la distruzione, offrendo un’istantanea cruda della realtà sul campo. Questi contenuti hanno contribuito a informare e mobilitare gli utenti, molti dei quali hanno utilizzato le loro piattaforme per esprimere solidarietà e promuovere raccolte fondi.
Il futuro della campagna
Sebbene sia ancora presto per determinare l’impatto a lungo termine di “Blockout 2024”, la campagna ha già dimostrato la sua capacità di attirare l’attenzione e stimolare la discussione. Il movimento potrebbe ispirare ulteriori forme di attivismo digitale, mentre le celebrità e gli influencer potrebbero dover affrontare una maggiore responsabilità nelle loro azioni e dichiarazioni pubbliche. In un’epoca in cui i social media giocano un ruolo cruciale nel plasmare le narrative globali, iniziative come “Blockout 2024” mostrano il potere collettivo degli utenti di fare la differenza.
L'Altra Bolla
Twitter diventa ufficialmente X.com, ma con alcune incongruenze
Tempo di lettura: < 1 minuto. Elon Musk ha completato il rebranding di Twitter in X, cambiando l’URL in x.com, ma con alcune incongruenze nel reindirizzamento.
Elon Musk ha completato il rebranding di Twitter in X, cambiando anche l’URL ufficiale da twitter.com a x.com. Gli utenti che accedono al sito web ora vedono gli indirizzi twitter.com reindirizzati a x.com, anche se i reindirizzamenti sono attualmente incoerenti a seconda del browser utilizzato e se l’utente è loggato o meno.
Annuncio e implementazione
Musk ha annunciato la migrazione su X, affermando che tutti i sistemi principali sono ora su x.com. Tuttavia il reindirizzamento non funziona ancora perfettamente in tutti i casi.
Rebranding e storia
Non è la prima volta che Musk tenta di cambiare il nome di un marchio noto in X. Già nel 1999, Musk lanciò una compagnia chiamata X con il dominio x.com, che poi si fuse con Confinity di Peter Thiel per diventare PayPal. Musk tentò di rinominare PayPal in X, ma il suo tentativo fallì e fu estromesso dalla compagnia.
Reazioni degli utenti
Gli utenti social non sembrano impressionati dal cambiamento, con molti che dichiarano di continuare a chiamare il sito Twitter e fare battute sul fatto che x.com suona come un sito NSFW.
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