L'Altra Bolla
Elena Basile come Orsini e Vannacci: vittime del proprio carattere
Tempo di lettura: 4 minuti. I tre fronti del dissenso vanificano le proprie tesi con un comportamento che li rende deboli agli attacchi dei detrattori
Il conflitto israelo-palestinese sfocia in una violenza atroce e la tv italiana si divide tra pacifisti e rigoristi. I pacifisti sono quelli che, attraverso le analisi degli storici e dei tecnici, argomentano una necessità diplomatica che eviti di far saltare il conflitto nella dimensione di una guerra. Dall’altra parte ci sono i giornalisti che provano a contenere un concetto che in Israele è sempre più maturo tra la popolazione, compresa quella che si definisce sionista e progressista: la necessità di comporre due stati. La soluzione per i giornalisti italiani dei grandi media è quella di una risposta forte alle atrocità di Hamas dove si sono visti attacchi gratuiti anche ai civili, alcuni neonati e bambini, su cui hanno rincarato la dose aggiungendo il dettaglio dell’usurpazione dei cadaveri dei più piccini descrivendoli come decapitati. Ad oggi, sono evidenti i segni degli orrori di Hamas, ma non quelli delle decapitazioni ai bambini nonostante siano state fornite delle foto che raccontano quanto Hamas abbia agito da terrorista e che bisogna temere l’escalation bellica. Il dettaglio dei bambini decapitati, descrive la sudditanza psicologica di molte testate internazionali a quella che sembrerebbe essere una operazione bellica di propaganda utile a giustificare non la risposta legittima di Israele, bensì una guerra totale contro la Palestina in barba a tutte le risoluzioni ONU che prevedono il divieto di punizioni collettive e che hanno superato già le morti dell’attacco di Hamas al cuore di Israele ed i decessi sono più per la popolazione under 15 che rappresenta il 41 % della popolazione palestinese.
Questo aspetto è fondamentale per descrivere la posizione in cui si sta impelagando il mondo dell’informazione italiana che ogni giorno perde di credibilità agli occhi della popolazione che ne rappresenta la sua utenza. Non è un caso che, anche questa volta, il popolo italico non vuole la guerra di Israele alla Palestina e predica una soluzione diplomatica per raggiungere la pace.
Orsini con la parrucca: le avventure di Elena Basile
Elena Basile è un ex Ambasciatrice che scrive romanzi, ma è nota al grande pubblico per essere l’Alessandro Orsini in parrucca e gonnella. Di Orsini condivide le origini napoletane e la sua posizione analitica degli eventi che cozza contro le solite frasi fatte, “chi è contro Israele è antisemita” (Costata una querela dal Movimento Cinque Stelle al referente della Comunità ebraica milanese vicina ai giornalisti di Repubblica rappresentati da Stefano Cappellini nelle tv nazionali), “c’è stato un attacco e la risposta deve essere dura” ed “esiste un invasore ed un invaso” (che però cozzano con le posizioni sull’Ucraina della stampa italiana perché il Putin adesso si chiama Netanyahu e gli storici non negano le responsabilità di Israele e l’Occidente). Elena Basile parla come un diplomatico in campo, non fa distinzione di morti ed ha analizzato chiaramente gli ostaggi per quello che sono: delle pedine di scambio.
Questi aspetti hanno trovato risposte di indignazione da chi in realtà propone la risposta di Israele in violazione dei diritti umani sanciti dall’ONU e che preoccupa la stessa Organizzazione Internazionale. Come quando il Corriere degli indignati Cazzullo e Mieli scrisse che Orsini era stato licenziato dalla Luiss, Elena Basile ha subito un attacco dal sindacato dei diplomatici che ha precisato che la signora non è mai diventata Ambasciatrice di rango, bensì si è fermata alla posizione di Ministro pluripotenziario e che quindi non può parlare da ambasciatrice. Secondo questo ragionamento Elena Basile non morirà da ambasciatrice, ma da ex ambasciatrice di Svezia e Belgio per la Repubblica Italiana. E’ chiaro che quindi può presentarsi come tale in barba ad una macchina del fango ben costruita, ma già intuita dalla massa stupida e non eletta con cui la stampa italiana crede sempre più di aver a che fare.
Si apre un’altra riflessione e riguarda Wikipedia Italia che ha rimosso la pagina dell’ex ambasciatrice in seguito a questo comunicato, così come ha provato a cancellare più volte le radici naziste di alcuni ucraini che vengono ancora oggi commemorati da Zelensky e l’Occidente, che di ebrei ne ha fatti fuori tanti, anche oltre i confini germanici. Per fortuna che nella versione inglese è stato precisato, ma la sostanza non cambia.
Un’ambasciatrice vittima del suo carattere
Il difetto della Basile, però, è quello emerso dalla puntata di Formigli a Piazza Pulita dove ha avuto largo spazio, ma i nemici Calabrese e Tocci, forse sapendo dei limiti caratteriali che sono stati sussurrati alla redazione di Matrice Digitale prim’ancora della presa di distanze dei suoi ex colleghi, hanno preferito stare in silenzio per consentirle di dare uno show che ne ha impoverito la preparazione tecnica, mostrando una figura che si è autoprocalamata come voce del dissenso, ma che mette davanti ai morti palestinesi il suo ego da agiatissima signora della Napoli bene. Come Orsini, anche lei vittima del suo carattere su cui dovrà lavorare molto se vuole continuare a rappresentare coloro che in fondo non sono rappresentati dalle elite occidentali.
Orsini, Vannacci e Basile cosa hanno in comune
Un paragone che s’ha da fare direbbe qualcuno e che non risiede nelle capacità indiscusse e nei titoli, ma nel fatto che il professore di Sociologia del Terrorismo alla Luiss è emerso quando già sapeva che l’ENI gli avrebbe tagliato il centro studi, *ricostruzione smentita dallo stesso prof. Orsini in una mail alla redazione nella quale ci ha tenuto a precisare che “ENI ha tagliato i fondi dopo il mio intervento sulla guerra in Ucraina e non prima. Al contrario di ciò che scrivete, i vertici Eni, poco prima della guerra, avevano espresso il massimo apprezzamento per il lavoro del mio Osservatorio e avevano annunciato il rinnovo del contratto di collaborazione con una nota di plauso per il lavoro svolto“.
Il Generale pluristellato Vannacci ha scritto il libro quando gli è stato fatto capire che il Corpo d’Armata lo avrebbe visto dal binocolo e l’ex ambasciatrice è stata congedata dal Ministero senza diventarlo. Qui sorge una domanda d’obbligo: se il destino di tutti e tre i protagonisti del dissenso fosse stato roseo all’interno dei loro percorsi professionali, oggi sarebbero dalla parte dei più deboli contro l’evidente sistema di potere che li combatte con ogni mezzo quotidianamente?
Dal narcisismo che hanno dimostrato, qualche dubbio è legittimo.
*articolo modificato in data 16/10/2023 con l’aggiunta della richiesta di rettifica giunta dal prof. Orsini alla redazione.
L'Altra Bolla
Otto creator TikTok fanno causa contro ban USA: paura in Canada
Tempo di lettura: 3 minuti. Otto creator di TikTok fanno causa contro la legge statunitense “divest-or-ban”, sostenendo che viola il Primo Emendamento e minaccia la libertà di espressione.
Otto creator di TikTok hanno intentato una causa contro la legge statunitense “divest-or-ban”, sostenendo che la legge viola il Primo Emendamento. Questa legge, che richiede a TikTok di separarsi dalla sua società madre cinese ByteDance o di essere bandita negli Stati Uniti, ha sollevato preoccupazioni sulla libertà di espressione e l’accesso alle piattaforme di social media.
Argomenti della causa
La causa dei creator si basa su argomenti simili a quelli presentati dalla stessa TikTok in una causa separata. Entrambe le cause sostengono che le preoccupazioni dei legislatori riguardo l’app siano speculative e ricordano che i tribunali hanno già bloccato altri tentativi di vietare TikTok, inclusi un ordine esecutivo dell’ex presidente Donald Trump e una legge statale del Montana.
Impatti sulla libertà di espressione
I creator, tra cui il rancher Brian Firebaugh, la recensitrice di libri Talia Cadet e l’allenatore di football universitario Timothy Martin, affermano che TikTok è unico come mezzo di espressione, con caratteristiche distintive come l’algoritmo di raccomandazione, la funzione green screen e la capacità di fare duetti. Questi elementi, secondo la causa, conferiscono a TikTok una cultura e un’identità distintive che non sono replicabili su altre piattaforme.
Preoccupazioni per il cambio di proprietà
I creator sostengono che il cambio di proprietà potrebbe alterare drasticamente l’esperienza di TikTok, analogamente a come l’acquisizione di Twitter da parte di Elon Musk ha modificato quella piattaforma. La loro preoccupazione principale è mantenere le pratiche editoriali attuali di TikTok, che considerano essenziali per la loro capacità di creare e accedere a contenuti espressivi.
Richiesta alla corte
La causa è stata presentata alla Corte d’Appello federale di Washington, DC, che ha giurisdizione esclusiva sulle sfide alla legge di disinvestimento forzato. I creator chiedono alla corte di dichiarare incostituzionale la legge e di impedirne l’applicazione.
Implicazioni future
Questa causa rappresenta un passo significativo nella lotta per la libertà di espressione sulle piattaforme di social media e potrebbe avere implicazioni di vasta portata per l’industria tecnologica e i diritti dei creator digitali.
L’agenzia di intelligence canadese contro TikTok: dati a rischio
Il direttore dell’intelligence canadese, David Vigneault, ha lanciato un severo avvertimento contro l’uso di TikTok, affermando che l’app rappresenta un “rischio” per i dati di adulti e adolescenti. Vigneault ha dichiarato che la Cina utilizza “analisi di big data” e server di elaborazione per raccogliere informazioni, sollevando preoccupazioni sulla sicurezza dei dati personali.
Dichiarazioni di vigneault
Durante un’intervista con la CBC, Vigneault ha affermato: “Come individuo, direi che non consiglierei assolutamente a nessuno di avere TikTok”. Ha aggiunto che la Cina ha una strategia molto chiara per utilizzare TikTok per ottenere dati da persone in tutto il mondo. L’uso di analisi di big data e computer farm per elaborare e raccogliere dati è stato indicato come il principale motivo di preoccupazione.
Preoccupazioni sulla privacy
Vigneault ha sottolineato che TikTok è particolarmente rischioso per gli adulti e gli adolescenti in Canada. Le preoccupazioni riguardano il modo in cui la Cina potrebbe utilizzare i dati degli utenti catturati in Canada e in altri paesi per creare intelligenza artificiale. Questo potrebbe includere dati personali raccolti da adolescenti che potrebbero essere utilizzati in futuro.
Critiche alla raccolta dei dati
Sami Khoury, capo del Centro Canadese per la Sicurezza Informatica della Comunicazione, ha anche espresso preoccupazioni l’anno scorso, chiedendo perché un’applicazione dovrebbe avere accesso all’elenco dei contatti, al calendario, alle email e ai record telefonici degli utenti. Khoury ha sollevato il problema dell’aggregazione dei dati, temendo che la Cina possa confrontare gli elenchi di contatti di due utenti per vedere dove si sovrappongono.
Situazione negli Stati Uniti
Negli Stati Uniti, il governo ha approvato una legge che costringe ByteDance, la società madre di TikTok, a vendere l’app o affrontare un divieto. Questa mossa ha portato TikTok a intentare una causa, sostenendo che il divieto proposto è “incostituzionale”. Il CEO di TikTok, Shou Chew, ha affermato che l’app non andrà da nessuna parte e che TikTok ha costruito salvaguardie che nessun’altra azienda ha fatto. Tuttavia, il futuro di TikTok negli Stati Uniti rimane incerto. Le preoccupazioni sulla sicurezza dei dati di TikTok continuano a crescere, con le autorità canadesi che avvertono gli utenti di essere cauti nell’utilizzo dell’app. Mentre TikTok affronta una pressione crescente negli Stati Uniti per separarsi dalla sua società madre cinese, il dibattito sulla privacy e la sicurezza dei dati è destinato a continuare.
L'Altra Bolla
BlockOut 2024: blocco delle celebrità per supportare la Palestina
Tempo di lettura: 2 minuti. Gli utenti dei social media lanciano “Blockout 2024”, una campagna per bloccare celebrità e influencer per supportare la Palestina.
Negli ultimi sette mesi, il conflitto in Gaza ha intensificato l’attività degli utenti dei social media, che cercano di sensibilizzare e sostenere la popolazione palestinese. In questo contesto, è emersa una campagna chiamata “Blockout 2024”, che mira a bloccare celebrità e influencer su piattaforme come TikTok e Instagram per ridurre la loro visibilità e i guadagni derivanti da contenuti sponsorizzati.
La campagna “Blockout 2024”
L’iniziativa “Blockout 2024” è partita da un video su TikTok in cui un utente proponeva di bloccare celebrità in risposta alla percepita indifferenza di queste figure verso il conflitto in Palestina. La campagna è cresciuta rapidamente, con migliaia di post su TikTok e Instagram che utilizzano l’hashtag #blockout per promuovere il blocco delle celebrità. Celebrità come Kim Kardashian, Tom Brady, Beyoncé, Taylor Swift e Selena Gomez sono state frequentemente citate nelle “block lists” che circolano online. L’obiettivo della campagna è quello di limitare l’influenza e il guadagno di queste celebrità, che molti utenti percepiscono come insensibili alle sofferenze dei palestinesi. Già abbiamo visto come i food blogger, censurati dalle piattaforme, hanno promosso la cultura palestinese con le loro ricette.
Reazioni e supporto
La campagna ha suscitato diverse reazioni, con alcuni utenti dei social media che vedono il blocco delle celebrità come un modo efficace per esprimere il loro sostegno alla Palestina e per sensibilizzare l’opinione pubblica. Oltre al blocco delle celebrità, gli utenti stanno esercitando pressione affinché queste figure influenti promuovano sforzi di aiuto diretto come Operation Olive Branch, un’iniziativa per raccogliere fondi destinati alle famiglie palestinesi. Alcuni artisti e creatori, tra cui Lizzo e Hank Green, hanno pubblicamente supportato tali organizzazioni, rispondendo alle richieste degli utenti di social media di utilizzare la loro influenza per una causa umanitaria.
Sfide e impatto
L’attivismo sui social media può essere effimero, con l’interesse degli utenti che tende a diminuire e la portata dei movimenti limitata dagli algoritmi delle piattaforme. Tuttavia, “Blockout 2024” rappresenta una risposta significativa alla frustrazione e all’urgente bisogno di sostegno per la Palestina. La campagna dimostra come i social media possano essere utilizzati non solo per la condivisione di contenuti personali, ma anche come piattaforma per il cambiamento sociale e la mobilitazione collettiva.
Coincidenza con altre forme di attivismo
Il “Blockout 2024” si inserisce in un contesto più ampio di attivismo sui social media, dove le piattaforme digitali sono diventate un battleground per influenzare l’opinione pubblica e promuovere cause sociali. Durante la crisi di Gaza, Instagram e TikTok sono stati inondati di infografiche, immagini e video che documentano la violenza e la distruzione, offrendo un’istantanea cruda della realtà sul campo. Questi contenuti hanno contribuito a informare e mobilitare gli utenti, molti dei quali hanno utilizzato le loro piattaforme per esprimere solidarietà e promuovere raccolte fondi.
Il futuro della campagna
Sebbene sia ancora presto per determinare l’impatto a lungo termine di “Blockout 2024”, la campagna ha già dimostrato la sua capacità di attirare l’attenzione e stimolare la discussione. Il movimento potrebbe ispirare ulteriori forme di attivismo digitale, mentre le celebrità e gli influencer potrebbero dover affrontare una maggiore responsabilità nelle loro azioni e dichiarazioni pubbliche. In un’epoca in cui i social media giocano un ruolo cruciale nel plasmare le narrative globali, iniziative come “Blockout 2024” mostrano il potere collettivo degli utenti di fare la differenza.
L'Altra Bolla
Twitter diventa ufficialmente X.com, ma con alcune incongruenze
Tempo di lettura: < 1 minuto. Elon Musk ha completato il rebranding di Twitter in X, cambiando l’URL in x.com, ma con alcune incongruenze nel reindirizzamento.
Elon Musk ha completato il rebranding di Twitter in X, cambiando anche l’URL ufficiale da twitter.com a x.com. Gli utenti che accedono al sito web ora vedono gli indirizzi twitter.com reindirizzati a x.com, anche se i reindirizzamenti sono attualmente incoerenti a seconda del browser utilizzato e se l’utente è loggato o meno.
Annuncio e implementazione
Musk ha annunciato la migrazione su X, affermando che tutti i sistemi principali sono ora su x.com. Tuttavia il reindirizzamento non funziona ancora perfettamente in tutti i casi.
Rebranding e storia
Non è la prima volta che Musk tenta di cambiare il nome di un marchio noto in X. Già nel 1999, Musk lanciò una compagnia chiamata X con il dominio x.com, che poi si fuse con Confinity di Peter Thiel per diventare PayPal. Musk tentò di rinominare PayPal in X, ma il suo tentativo fallì e fu estromesso dalla compagnia.
Reazioni degli utenti
Gli utenti social non sembrano impressionati dal cambiamento, con molti che dichiarano di continuare a chiamare il sito Twitter e fare battute sul fatto che x.com suona come un sito NSFW.
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