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Intelligenza Artificiale, l’editoria in crisi si affida ad Amato

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Il settore editoriale italiano sta affrontando una crisi strutturale, evidenziata da un calo significativo nelle vendite di giornali. Secondo l’Agcom, nei primi nove mesi del 2023, le vendite giornaliere di copie cartacee hanno subito una flessione dell’8,8% su base annua e del 32,8% rispetto al 2019. Questa tendenza riflette le sfide che i quotidiani stanno affrontando in un’era digitale in rapida evoluzione.

Vendite giornali calo costante

Le vendite dei quotidiani nazionali hanno registrato una riduzione leggermente superiore rispetto a quelle locali, con una diminuzione del 33,4% contro il 32,0%. In particolare, le copie vendute in formato cartaceo hanno visto una riduzione del 10% su base annua e del 37,2% rispetto al 2019. Al contrario, i quotidiani digitali hanno mostrato una stabilità, con una crescita del 13,9% rispetto al 2019. Nonostante la crisi delle versioni cartacee, i quotidiani online hanno mantenuto una certa stabilità. Le prime cinque testate digitali, tra cui Corriere della Sera e La Repubblica, rappresentano il 60,1% delle vendite digitali totali, evidenziando una concentrazione maggiore rispetto alla versione cartacea.

La Situazione dei Quotidiani Generalisti

I principali quotidiani generalisti hanno registrato una flessione dell’11,8% nella vendita di copie cartacee nei primi nove mesi del 2023, ma hanno anche visto una crescita del 4,6% nelle vendite digitali. Questo suggerisce una lenta ma progressiva transizione verso il digitale.

Gedi e RCS: Leader di un Mercato in Difficoltà

Il gruppo Gedi e RCS Mediagroup, leader del mercato editoriale, stanno affrontando sfide significative. Nonostante rimangano in testa per ricavi complessivi, hanno registrato un forte calo nelle vendite di copie cartacee negli ultimi dieci anni, con una diminuzione del 61% dal 2013 al 2022.

Giuliano Amato capo della Commissione sull’Intelligenza Artificiale: scelta strategica o puramente simbolica?

Giuliano Amato

Giuliano Amato, già presidente della Corte Costituzionale, è stato recentemente nominato a capo del Comitato sull’Intelligenza Artificiale nell’Editoria. Questa decisione ha sollevato molte discussioni, con alcuni che vedono la sua nomina come una mossa strategica, mentre altri la considerano una scelta puramente simbolica.

Un profilo di grande esperienza

L’annuncio della nomina di Amato ha sorpreso molti. Nonostante la sua vasta esperienza nel panorama politico e giuridico italiano, Amato non ha un background diretto nel mondo della tecnologia e dell’IA all’apparenza, ma ci sono più fonti dove è intervenuto direttamente sul tema degli algoritmi. Tuttavia, la sua nomina potrebbe rappresentare una scelta non solo simbolica, ma anche profondamente strategica. La sua figura potrebbe garantire che le proposte e le decisioni del Comitato siano prese sul serio e considerate con la dovuta attenzione. La scelta di Amato riflette l’approccio italiano di dare priorità alla dimensione dei diritti rispetto alla pura innovazione. In un’era in cui la tecnologia avanza rapidamente, è fondamentale ricordare che essa dovrebbe servire l’umanità e non il contrario. Amato, con la sua profonda conoscenza costituzionale, potrebbe garantire che l’IA nell’editoria rispetti questi valori fondamentali.

Confronto con altre nazioni

La nomina di Amato contrasta con le scelte di altri paesi. Ad esempio, il Regno Unito ha nominato Ian Hogarth, un giovane imprenditore nel settore digitale con una solida formazione tecnica, alla guida di una commissione simile. Queste diverse scelte riflettono visioni e filosofie diverse sul bilanciamento tra innovazione e responsabilità anche per gli utenti social che si sono scatenati in meme.

Ian Hogart

In virtù di questo paragone, la decisione di nominare Amato ha sollevato dubbi sulla sua capacità di comprendere a fondo il mondo dell’innovazione. Inoltre, la mossa ha creato tensioni politiche all’interno della coalizione di destra tra Fratelli d’Italia e Forza Italia, con la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che ha espresso preoccupazione per la scelta di una figura legata alla sinistra.

Comitato di esperti per un settore in evoluzione

Presieduto dal giurista Giuliano Amato, già presidente del Consiglio, il Comitato inizierà i suoi lavori il 24 ottobre. L’obiettivo principale è analizzare a fondo l’utilizzo, lo sviluppo e le ricadute dell’intelligenza artificiale nel mondo del giornalismo e delle news. Dopo aver consultato gli stakeholder principali, tra cui Fnsi, Odg Nazionale, Fieg e altri, il Comitato redigerà una relazione che sarà consegnata al Governo, fornendo indicazioni anche per i confronti in ambito europeo e internazionale.

Amato sceglie esperti in Intelligenza Artificiale, ma non in Editoria

Il Comitato di esperti d’intelligenza artificiale presieduto da Amato è composto da esperti e professori universitari di diversi settori, ma non nell’editoria, tra cui:

  • – Giuliano Amato, giurista e già presidente del Consiglio dei ministri;
  • – Giusella Finocchiaro, professoressa ordinaria di diritto privato e diritto di internet – Università di Bologna;
  • – Valeria Falce, professore ordinario di diritto dell’economia – Università Europea di Roma;
  • – Gianluca Salviotti, docente di Management Information Systems – Università Bocconi;
  • – Giuseppe Francesco Italiano, professore ordinario di Computer science – Università Luiss Roma;
  • – Marco Angelini, ricercatore presso il Dipartimento di ingegneria informatica, automatica e gestionale dell’Università di Roma La Sapienza;
  • – Paolo Benanti, professore di Etica, bioetica ed etica delle tecnologie presso la Pontificia università gregoriana Roma;
  • – Francesco Bonchi, direttore della ricerca presso Centai (Centro per l’intelligenza artificiale);
  • – Giuseppe De Pietro, direttore dell’istituto di calcolo e reti ad alte prestazioni del Cnr e presidente della fondazione future Artificial Intelligence Research (Fair) che gestisce il partenariato nazionale sull’Intelligenza Artificiale;
  • – Roberto Sommella, esperto di editoria. 

Cosa c’è che non va?

Giuliano Amato ha i titoli per coprire questo ruolo, ma nell’analisi politica nessuno ha detto che questa scelta prosegue nel solco di Draghi a cui ha prestato il fianco con decisioni definite da molti controverse della Corte Costituzionale che si sono dimostrate utili alla linea politica dell’ex premier ed a questioni di sicurezza nazionale. In poche parole, le carte sono a posto, Amato è possibile sia più titolato anche del collega inglese, ma quello che non torna è se l’uomo Amato sia perfetto per ricoprire un ruolo in un contesto storico dove la stampa è da tempo vittima di un algoritmo.

L’algoritmo di Google che piace a chi non vuole contestazioni

Nel panorama delle FakeNews, non si può non constatare l’attività aggressiva che l’Unione Europea ha nei confronti delle testate giornalistiche. Gli attori che girano intorno a questo gioco al massacro del giornalismo sono sempre gli stessi, Europa, Google e Meta. Con il Digital Services Act, l’Europa ha imposto che i contenuti di disinformazione siano rimossi dai motori di ricerca e dai social senza stabilire cosa sia la disinformazione. In più ha deciso di demonetizzare i siti Internet che propongono contenuti sospetti, ma che spesso sono solo scomodi ad una narrazione.

L’aspetto di cui bisogna avere paura è proprio il mettere un uomo al servizio delle Istituzioni che ha già approvato l’uso di norme surrettizie per restringere la libertà individuale: vuole intervenire allo stesso modo su quella di stampa e di espressione?

Il comitato di Amato renderà pubblico l’attuale funzionamento dell’AI?

In questo vortice di argomenti, quello che sorprende è il sistema che si sta configurando nell’editoria dove l’Ordine dei Giornalisti ed il sindacato della Stampa sono vittime e carnefici di un modello proiettato verso una determinata posizione. Non è un caso che al Comitato dell’Intelligenza Artificiale ci sia un grande interesse nell’impiego dell’AI nel mondo del giornalismo da parte degli editori, ma mai si sono levati gli scudi sul funzionamento dell’algoritmo delle piattaforme e nemmeno sulle garanzie che le testate giornalistiche registrate ai tribunali, gli iscritti all’Ordine, hanno avuto in questi anni dalle piattaforme social che ne hanno oscurato la visibilità di interi progetti editoriali e delle redazioni. Nessuno si è chiesto in questi 20 anni di Google e Social Network se ci fossero accordi sottobanco tra grandi gruppi editoriali e piattaforme social in danno all’intero mercato editoriale. Nessun rappresentante istituzionale dell’informazione si è domandato quali sono le regole del mercato editoriale applicate dalla più grande fonte di informazioni web che allo stesso tempo detiene la maggiore piattaforma di placement pubblicitario.

Lo stesso Amato non si è mai espresso sul principio di costituzionalità di alcune scelte unilaterali delle piattaforme che hanno punito giornalisti e testate senza nemmeno comunicarlo ai diretti interessati tramite lo shadow banning. Eppure parliamo di piazze pubbliche virtuali gestite da società private e passibili di controlli da parte di uno stato. Durante il Covid, da presidente della Corte costituzionale, Amato non è intervenuto sulla questione dei ban a persone che dicevano cose giuste e venivano oscurate dai social. Eppure, da un alto rappresentante della Costituzione, qualche parola in merito sarebbe stata a tutela della libertà di stampa, prim’ancora che di quella di espressione. L’indirizzo della Corte Costituzionale sul COVID con il senno di poi è stato tremendamente sbagliato e non conforme alla scienza, tantomeno quella giuridica.

Il primo “resoconto” di Amato

La Commissione Algoritmi, guidata da Giuliano Amato, ha iniziato i suoi lavori per valutare l’impatto dell’intelligenza artificiale sul mondo dell’editoria. Amato, ex presidente del Consiglio, ha suscitato interesse per un’analogia sulle ricette per cucinare le patate, dimostrando un approccio unico e spiritoso nel trattare temi complessi come l’intelligenza artificiale e il suo impatto sul giornalismo tanto da raggelare i presenti in sala, tra cui molti che probabilmente hanno perso il posto nell’ultimo mese di dicembre a causa dell’innovazione oramai giunta anche nelle redazioni italiane.

Lavori e Obiettivi della Commissione

La Commissione, composta da esperti in vari campi, tra cui ingegneria informatica, diritto dell’economia, etica delle tecnologie e intelligenza artificiale, si è concentrata sull’esplorazione dell’impatto dell’IA sul mondo editoriale. Le prime audizioni hanno coinvolto l’Ordine dei giornalisti, il sindacato Fnsi, l’associazione degli editori Fieg e i sindacati confederali Cgil, Cisl e Uil.

Analogia delle Patate di Amato

Durante un’audizione, Amato ha utilizzato un’espressione curiosa, affermando: “A me piacciono molto le patate”. Ha poi collegato questo alla capacità dell’intelligenza artificiale di fornire rapidamente ai giornalisti diverse ricette per cucinare le patate, evidenziando come l’IA possa arricchire il lavoro giornalistico con informazioni rapide e variegate. Un paragone non riuscito secondo le fredde reazioni della Stampa. Di diverso parere, sono stati i membri della Commissione che hanno elogiato il ruolo di Amato, riconoscendo la sua acutezza e la sua capacità di navigare in questioni complesse.

Prospettive Future

La Commissione Algoritmi, sotto la guida di Amato, si prepara a stilare una relazione finale per il sottosegretario all’Editoria Alberto Barachini. Tra i temi trattati, vi sono le fake news potenziate dall’IA e l’impatto dell’IA sul mondo del lavoro, in particolare nel settore editoriale di cui sono in pochi a capirne nel Comitato.

Il mistero “Barachini”

Alberto Barachini

Che Fratelli d’Italia viva delle tensioni con i Berlusconi, è un fatto risaputo, ma che Barachini stia facendo il gioco contro la famiglia che l’ha messo in Parlamento ha del sensazionale quanto il premio che Tajani ha ricevuto da Zelensky, descritto da Berlusconi prima di morire come una pessima persona. Eppure ci sarebbe molto da dire sul fatto che Barachini abbia favorito sia un “draghiano” di corrente, dicono all’insaputa di Meloni, sia concorrenti storici del gruppo Berlusconi spogli almeno dell’ingegner De Benedetti che, anche quando è morto Silvio, ne ha dette di cose brutte sul Cavaliere. L’altra lettura di questa operazione politica può essere un accordo storico tra il quotidiano La Repubblica ed il gruppo Mediaset con il Corriere tutelato dallo stesso Amato per interposta persona ed un occhio di riguardo a Mamma Rai per premiare i media più esposti finanziariamente e quotati in borsa nel rispetto del ruolo pubblico.

Mettere le mani sull’algoritmo per chiudere il mercato

Mettere le mani sull’intelligenza artificiale nel mondo dell’informazione e sugli algoritmi, significa chiudere definitivamente il mercato con una garanzia per i grossi gruppi editoriali che prima sono stati resi schiavi dai social e dagli aggregatori di notizie, poi hanno iniziato a fare concorrenza ai piccoli per cannibalizzare spiccioli di mercato. Gli stessi leader di mercato, per sopravvivere chiedono che vi siano regole per l’utilizzo della tecnologia del futuro che possano garantire l’autorità di una editoria sempre meno riconosciuta dai lettori che chiede ad Amato di costruirgli una intelligenza artificiale su misura per chiudere definitivamente gli spazi del mercato attraverso algoritmi premianti.

Se i risultati saranno quelli degli ultimi 20 anni, avremo gli addetti ai lavori che leggeranno i giornali a mò di rassegna stampa autoreferenziale ed il mondo che si informerà su Telegram o TikTok.

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Melinda lascia la Bill Gates Foundation e ritira 12,5 Miliardi di Dollari

Tempo di lettura: 5 minuti. Melinda French Gates lascia la Gates Foundation, portando con sé 12,5 miliardi di dollari per le sue iniziative filantropiche

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Melinda French, Bill Gates, Epstein
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Melinda French Gates ha annunciato il suo ritiro dalla Bill and Melinda Gates Foundation, portando con sé un capitale di 12,5 miliardi di dollari. Questa decisione arriva tre anni dopo il suo annuncio di separazione da Bill Gates, il cofondatore di Microsoft.

Dettagli della transazione

Melinda ha comunicato che investirà i 12,5 miliardi di dollari in iniziative filantropiche personali, focalizzate principalmente sul supporto a donne e famiglie. Le disposizioni per questo trasferimento di fondi sono state già messe in atto. In seguito alla sua uscita, la fondazione subirà anche un cambio di nome da Bill and Melinda Gates Foundation a Gates Foundation, un titolo già in uso non ufficiale per brevità e chiarezza. Bill Gates rimarrà l’unico amministratore della fondazione.

Impatto e prospettive future

La Gates Foundation, una delle maggiori organizzazioni filantropiche private del mondo, detiene un patrimonio di 75,2 miliardi di dollari e ha contribuito con 77,6 miliardi di dollari a vari progetti nel corso di quasi tre decenni, con un focus particolare su progetti medici. Melinda French Gates, dal canto suo, continua il suo impegno per la promozione delle opportunità per donne e minoranze negli Stati Uniti tramite la sua iniziativa Pivotal Ventures, fondata nel 2015.

Dalla medicina alla rappresentanza femminile

Pivotal Ventures è un’impresa di investimento e incubazione fondata da Melinda French Gates nel 2015. La missione di questa organizzazione è accelerare il progresso sociale negli Stati Uniti, rimuovendo le barriere che impediscono alle persone di realizzare il loro pieno potenziale. Pivotal Ventures opera attraverso investimenti ad alto impatto, partenariati e iniziative di advocacy, focalizzandosi in particolare sul potenziamento delle donne e delle minoranze.

Le attività di Pivotal Ventures sono diverse e comprendono sia il sostegno a iniziative volte a promuovere la diversità e l’inclusione nei settori della tecnologia e della politica, sia l’investimento in soluzioni innovative che mirano a risolvere problemi sociali complessi. L’organizzazione lavora in stretta collaborazione con altri filantropi, fondazioni e aziende per creare un impatto duraturo e significativo. Tra le iniziative di spicco vi sono programmi per aumentare la rappresentanza femminile nelle posizioni di leadership e per sviluppare strumenti educativi e risorse che supportano i giovani svantaggiati. Pivotal Ventures si impegna così a creare un futuro più equo e inclusivo, utilizzando una combinazione di capitali privati e collaborazione pubblica per catalizzare il cambiamento sociale.

Filantropia o elusione fiscale?

Non ci sono informazioni specifiche sulle cifre esatte del risparmio fiscale di Bill e Melinda Gates attraverso le loro fondazioni. Tuttavia, possiamo discutere di come funzionano generalmente le fondazioni private e il loro impatto fiscale negli Stati Uniti.

Le fondazioni private, come la Bill & Melinda Gates Foundation, sono organizzazioni filantropiche esenti da tasse federali sul reddito. Queste fondazioni beneficiano di diversi incentivi fiscali, che includono la deducibilità delle donazioni e l’esenzione da tasse sui redditi d’investimento, soggetti a una tassa di excise dello 1,39%. Questi vantaggi fiscali incentivano la creazione e il sostegno di fondazioni filantropiche, consentendo ai donatori, come Bill e Melinda Gates, di detrarre le donazioni dalle loro imposte personali.

Il processo funziona così: quando i Gates donano denaro o altri beni alla loro fondazione, possono ricevere una detrazione fiscale significativa. Questo riduce l’imposta sul reddito che devono pagare. Inoltre, le risorse trasferite alla fondazione crescono e vengono utilizzate esentasse, permettendo alla fondazione di aumentare il suo impatto filantropico. Tuttavia, le fondazioni sono obbligate a distribuire almeno il 5% del loro patrimonio netto medio di mercato ogni anno per scopi caritatevoli per mantenere il loro status di esenzione fiscale.

Perchè c’è del marcio in questa operazione?

Negli Stati Uniti, il trasferimento di capitali tra fondazioni, come nel caso di donazioni da una fondazione privata a un’altra entità caritatevole, è regolato da specifiche normative fiscali che mirano a incoraggiare le attività filantropiche pur mantenendo un certo livello di controllo sugli abusi.

Quando una fondazione privata effettua una donazione a un’altra organizzazione esentasse, come un’altra fondazione privata, un’università o un ente di beneficenza, queste donazioni sono generalmente deducibili dalle tasse della fondazione donante. Ciò significa che tali trasferimenti possono ridurre l’ammontare del reddito imponibile della fondazione donante, diminuendo così l’ammontare delle tasse dovute, a patto che l’organizzazione ricevente sia riconosciuta dal Servizio delle Entrate Interne (IRS) come un’entità esente da tasse.

Aspetti chiave della regolamentazione:

  1. Status di Esenzione Fiscale: Perché i trasferimenti siano deducibili, entrambe le fondazioni devono mantenere lo status di esenzione fiscale sotto l’Internal Revenue Code Section 501(c)(3). L’organizzazione ricevente deve essere qualificata come esente da tasse e non deve operare per il profitto personale dei suoi membri.
  2. Distribuzione Minima Richiesta: Le fondazioni private sono soggette a una regola di distribuzione minima annuale, che richiede loro di distribuire almeno il 5% del valore del loro patrimonio netto non caritativo per scopi caritativi ogni anno. I trasferimenti a altre organizzazioni caritative possono essere utilizzati per soddisfare questo requisito.
  3. Documentazione e Conformità: Le fondazioni devono mantenere una documentazione accurata di tutte le donazioni per garantire la conformità con le regole IRS. Questo include la conservazione dei record che confermano lo status di esenzione fiscale dell’organizzazione beneficiaria.
  4. Evitare Benefici Personali: È essenziale che i trasferimenti di fondi non risultino in benefici personali per i dirigenti o i donatori della fondazione. Le regole di auto-dealing dell’IRS cercano di prevenire situazioni in cui i fondi delle fondazioni sono usati per benefici personali piuttosto che per scopi caritativi.

Queste regolazioni aiutano a garantire che il trasferimento di fondi tra fondazioni sia utilizzato per promuovere effettivamente attività filantropiche e non per eludere gli obblighi fiscali o per fini personali. L’IRS monitora attentamente queste attività per prevenire abusi del sistema di esenzione fiscale.

L’amicizia tra Gates ed Epstein

Il divorzio tra Bill Gates e Melinda French Gates, annunciato nel maggio 2021, ha suscitato grande attenzione non solo per le sue implicazioni finanziarie, ma anche per i dettagli personali emersi, inclusi i rapporti di Bill Gates con Jeffrey Epstein. Secondo vari report, tra cui uno del New York Times, Melinda aveva espresso preoccupazioni riguardo alla relazione del marito con Epstein, un finanziere noto per le sue condanne per reati sessuali. Queste preoccupazioni sono emerse dopo che Bill Gates aveva partecipato a numerosi incontri con Epstein, che si sono protratti fino a tarda notte e sono stati descritti come tentativi di Epstein di lavorare con la fondazione Gates.

Questi incontri sono avvenuti nonostante le precedenti condanne di Epstein e la sua reputazione discutibile, fatti che hanno aggravato le tensioni all’interno del matrimonio Gates. Melinda ha rivelato in un’intervista di aver avuto incubi dopo aver incontrato Epstein una volta, sottolineando che aveva chiarito a Bill la sua disapprovazione per qualsiasi ulteriore interazione con lui. Questi elementi hanno contribuito a creare un contesto complesso che ha influenzato la decisione di Melinda di procedere con il divorzio, un processo che, secondo le rivelazioni, era in preparazione da alcuni anni prima dell’annuncio ufficiale.

Il precedente di Bezos e l’ex Lady Amazon

I divorzi nel mondo delle Big Tech sono stati spesso fonte di interesse pubblico, data la loro portata finanziaria e mediatica. Ad esempio, uno dei divorzi più noti è stato quello tra Jeff Bezos, fondatore di Amazon, e MacKenzie Scott. Dopo 25 anni di matrimonio, la coppia si è separata nel 2019, con un accordo che ha visto MacKenzie Scott ricevere circa il 4% delle azioni di Amazon, valutate allora circa 36 miliardi di dollari. Questo accordo ha reso MacKenzie una delle donne più ricche del mondo.

L’uscita di Melinda French Gates dalla fondazione che ha co-fondato segna un nuovo capitolo sia per lei che per l’organizzazione. Questo movimento riflette un cambiamento significativo nel panorama filantropico globale e pone le basi per future iniziative indipendenti da parte di Melinda che continueranno a influenzare positivamente le comunità di tutto il mondo. Questi sviluppi rappresentano un momento significativo per la filantropia globale, evidenziando come anche i leader del settore possono evolvere e adattarsi a nuove realtà e sfide personali e professionali.

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Perchè il motore di ricerca OpenAI fa paura ai giornalisti?

Tempo di lettura: 4 minuti. OpenAI sfida Google con un nuovo motore di ricerca basato su ChatGPT, promettendo un’evoluzione nella ricerca online.

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OpenAI
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OpenAI sembra pronta a rivoluzionare il mondo della ricerca online lanciando un proprio motore di ricerca basato su ChatGPT, secondo quanto riportato da diverse fonti autorevoli. Il lancio di questo nuovo servizio è previsto per il 9 maggio e potrebbe segnare una svolta significativa nel modo in cui le informazioni vengono cercate e trovate su Internet secondo molti addetti ai lavori dell’informazione tecnologica, ignari che questo cambiamento sia già in corso.

Dettagli del lancio

Il nuovo motore di ricerca, indicato con il dominio https://search.chatgpt.com, è al centro di numerose discussioni e speculazioni. Il CEO di OpenAI, Sam Altman, ha espresso in più occasioni l’intenzione di integrare i modelli linguistici avanzati (Large Language Models) nella ricerca web, proponendo un’alternativa all’approccio tradizionale di Google che presenta pagine di risultati piene di annunci e link.

Implicazioni di Mercato

Google, che domina il mercato dei motori di ricerca con una quota vicina al 90%, potrebbe trovarsi di fronte a una nuova concorrenza significativa. Non solo, Microsoft, uno dei principali finanziatori di OpenAI, potrebbe vedersi in una posizione complicata se OpenAI decidesse di competere direttamente con Bing, il suo motore di ricerca. Oppure il motore di ricerca firmato ChatGPT è il fumo negli occhi per evitare maggiori attenzioni delle indagini concorrenziali dei vari garanti del mercato in giro per il mondo?

Collaborazioni e competizioni

Anche Apple è menzionata come un possibile collaboratore di OpenAI, intensificando le trattative per integrare ChatGPT nei dispositivi iOS. Tuttavia, ciò potrebbe complicare le relazioni tra Apple e Google, che paga miliardi ogni anno per rimanere il motore di ricerca predefinito su dispositivi iOS.

Aspetti tecnologici e innovativi

Il motore di ricerca di OpenAI promette di utilizzare l’intelligenza artificiale per migliorare l’esperienza di ricerca degli utenti, fornendo risposte più contestualizzate e precise, sfruttando le capacità uniche dei modelli generativi di linguaggio. Il lancio del motore di ricerca di OpenAI rappresenta non solo un’evoluzione tecnologica significativa ma anche un potenziale cambio di paradigma nel settore dei motori di ricerca. Le implicazioni di questa mossa sono vastissime, influenzando non solo le aziende tecnologiche ma anche gli utenti e il modo in cui accedono alle informazioni online.

Google deve preoccuparsi?

Al netto delle notizie che annunciano il nuovo motore di ricerca realizzato da OpenAI, gli acchiappa clic dell’informazione italica hanno intitolato che ad aver paura di questa iniziativa imprenditoriale di nuova generazione debba essere Google, da anni motore di ricerca, incontrastato con un monopolio di fatto nonostante ci siano diversi alternative e l’Europa stia andando verso una direzione rappresentativa dell’intero mercato. Seppur un nuovo competitor, con una tecnologia proprietaria all’avanguardia rispetto a tutto il resto del mercato, rappresenti una preoccupazione per il grande burattinaio della rete, a doversi preoccupare in realtà sono tutti gli attori impegnati oggi per pochi spiccioli a fornire contenuti alla materia oscura di Google. Questa preoccupazione, ad oggi, è comunque parte di un colosso che sta già agendo in questa direzione ed è possibile notarlo attraverso gli aggiornamenti oramai a cadenza semestrale che BIG sta facendo sottoforma di reindicizzazione della rete Internet.

Non è data sapere la metodica ed i criteri dell’algoritmo con cui Google sta provvedendo Nel riscrivere le regole della ricerca su Internet, ma tutti i siti Internet, a parte quelli inviso alla cupola della sezione News, stanno subendo dei cali vertiginosi proprio dagli indici di ricerca. Se Google nel suo ultimo aggiornamento si è concentrato nell’arginare i contenuti di intelligenza artificiale generati solo ed esclusivamente per imbrogliare l’algoritmo con il fine di indicizzare siti di cucina insieme a quelli di tecnologia per esempio, oggi sta iniziando a fornire direttamente le risposte e tutto questo va in danno ai link dei siti Internet che pubblicano le informazioni.

Davvero chi oggi descrive l’avvento del motori di ricerca di OpenAI in realtà non ha ancora compreso che tutto questo andrà a penalizzare un intero settore che non è più ristretto ai Media, ma all’intera generazione di contenuti su Internet?

Il fatto che le risposte generate da Google, seppur citino la fonte, fanno perdere tanto traffico ai siti dal punto di vista della ricerca organica, soprattutto in un’epoca dove l’utente è abituato a non approfondire, bensì a leggere velocemente soffermandosi sulle prime risposte senza avvertire la necessità di approfondire nel link d’origine.

Con ChatGPT ed il suo motore di ricerca questo procedimento si amplificherà di più a maggior ragione del fatto che la sua tecnologia è criticata proprio per essere irriconoscente nei confronti di coloro che generano contenuti e che li utilizza impropriamente per addestrare la il suo modello linguistico avanzato. Se Google ha dato, e sta dando, una mazzata notevole alla rete, OpenAI rischia di dare un colpo di grazia definitivo a tutti coloro che quotidianamente forniscono risposte ed informazioni ai quesiti degli utenti della rete mantenendoli aggiornati con il corso del tempo.

Il paradosso del Click

Quindi assistiamo al fatto che per catturare un singolo clic, le testate editoriali fanno riferimento alla paura di Google ignorando quei rischi che in realtà potrebbero definitivamente gli potrebbe far perdere clic e visualizzazioni in futuro difficili più di quanto stia avvenendo ora, sacrificando visualizzazioni ed in introiti pubblicitari. Non è un caso che la Commissione Editoria voluta dal governo abbia promosso un equo compenso per gli editori che verranno surclassati dalla tecnologia dell’intelligenza artificiale applicata nella generazione di informazioni e di risposte fornite dai motori di ricerca già alimentata da colossi del settore che intendono effettuare un passaggio strutturale definitivo concentrato all’impiego di contenuti generati attraverso applicativi di intelligenza artificiale.

E mentre la cupola dei grandi gruppi editoriali è stata garantita dall’immagine divina di padre Paolo Benanti e del curatore degli interessi della famiglia Berlusconi padre Alberto Barachini, sottosegretario all’editoria, se Google debba iniziare a preoccuparsi, lo sa bene anche la stessa Microsoft che si nasconde dietro ai progetti di OpenAI che stanno decretando una crescita improvvisa e smisurata della sua offerta tecnologica, ma ad essere a rischio non solo è la proprietà intellettuale, ma tutto un sistema di informazione che ovviamente assottiglia sempre di più la sua visibilità in un mercato che è tutt’altro che libero e che non offre le stesse possibilità di crescita: sempre che non si riesca a far parte della cupola di Governo in combutta con Google News ed altre realtà come le piattaforme social.

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Ransomware in Italia: come cambia la percezione del fenomeno nell’IT

Tempo di lettura: 5 minuti. I ransowmare sembrano essere passati di moda per il poco clamore suscitato in un paese come l’Italia dove interessano solo a una nicchia

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Cosa sta accadendo al mondo della sicurezza informatica ed al suo rapporto con i ransomware in Italia?

I temuti attacchi informatici che criptano server e computer, bloccandone i servizi, e chiedono un riscatto per sbloccarli altrimenti vengono diffusi in rete, pericolosissimi aziende privati, professionisti, Enti ed istituzioni di Governo, sembrano essere diventati un fenomeno da barraccone per i feticisti della cybersecurity.

Ransomware e l’Italia: un feticcio per pochi

L’Italia rappresenta una nicchia di mercato soprattutto perché ha una sua identità linguistica. L’argomento della cybersecurity nel nostro paese è collegato per motivi di opportunità allo scenario internazionale ed ai tecnicismi anglosassoni che ne hanno forgiato termini ed applicazioni tecniche sul campo. Sono molti i progetti editoriali che parlano del fenomeno della sicurezza informatica, ma sono pochi quelli indipendenti e che coinvolgono una nicchia composta da esperti del settore informatico e dai grossi media che per sopravvivere alle regole di un mercato sempre più chiuso dagli algoritmi, sfruttano il proprio blasone per affrontare marginalmente il problema. Matrice Digitale parla di questa tematica dal 2017 con oltre 3.500 articoli di settore pubblicati in lingua italiana a cui si dovrebbero aggiungere i mille video sul canale YouTube, prima chiuso dalla piattaforma e poi riaperto dopo 3 anni di lotta: una scelta suicida nel panorama d’interesse italico per chi è indipendente da associazioni o cooperative non ufficiali di aziende ed Enti che fanno affari, o lobbying, sul tema. Il caso della piattaforma open source Ransomfeed, un valido progetto ingegneristico di raccolta statistica degli attacchi ransomware sviluppato in italiano e trasformato in lingua inglese, dimostra che per avere autorevolezza e considerazione nel contesto cyber, bisogna guardare oltre i confini del Bel Paese.

L’attacco informatico è “normale”

Oltre al clamore dei vari attacchi, identificati con diversi nomi e sigle di malware e gruppi criminali, qui gli articoli di Matrice Digitale sul tema, che hanno causato dei blocchi alle catene produttive delle più grandi aziende del paese e la fuga dei dati delle aziende sanitarie locali, il fenomeno sembrerebbe essere diventato un ricorrente e superficiale. Perché alla base di tutto c’è la regola universale secondo la quale è impossibile avere la matematica certezza di non essere colpiti da un attacco informatico ed è su questo principio, leit motiv degli addetti del mondo della sicurezza informatica, che il ransomware è stato normalizzato nell’immaginario collettivo di quella vulgata che ogni giorno è a rischio attacco informatico sia sul lavoro sia tra le mura domestiche. Un altro aspetto da non sottovalutare è proprio il fatto che la grande diffusione del fenomeno ha portato le agenzie internazionali di sicurezza informatica, che rispondono ai Governi, ad intimare alle aziende di non effettuare il pagamento del riscatto previsto dal metodo criminale di attacco. Seppur il cedere economicamente rappresenti un grande male nel rapporto tra guardie e ladri, sono in calo a livello globale i pagamenti dei riscatti ed il non pagare ha portato le gangs ad agire in modo ancor più infame, perché ha aumentato l’asticella etica dei propri attacchi sferrandoli su settori solitamente tutelati dal codice deontologico criminale come ad esempio i dati dei minori e quelli sanitari, a maggior ragione di pazienti oncologici.

Considerazione maligna di chi scrive: normalizzare il fenomeno è anche un’opportunità per i tecnici e le Istituzioni preposte nel mettere le mani avanti ad eventuali falle nella gestione dei dati dei clienti ed alle aziende di sottrarsi alla scomoda domanda se hanno pagato o meno il riscatto.

Il ransomware è un fenomeno che necessita soluzione o risposta?

L’attacco ransomware non solo è visto come una probabilità sempre più certa , ma il valore del dato diventa sempre meno considerato perché la maggior parte dei dati personali di tutti i cittadini connessi ad Internet, e non solo come nel caso dei nascituri canadesi, sono già esposti in rete . Questa esposizione ha portato delle tattiche criminali parallele dove si allestiti dei call center che contattano gli utenti esposti e si chiedono delle informazioni per aggiornare quelli che sono i dati in proprio possesso appartenenti evidentemente a dei database trafugati negli anni passati e che ad oggi contengono delle informazioni che non sono più attuali. Così come dopo il devastante data leak e data breach di WhatsApp, Facebook, che ha esposto quasi un miliardo di persone, ci siamo trovati delle campagne mirate sulle app di messaggistica dove venivano implementate tattiche di ingegneria sociale finalizzate ad ottenere ulteriori dati o pagamenti che hanno aumentato le statistiche delle truffe informatiche in rete. Andrea Lisi a Matrice Digitale ha parlato di circolazione del dato e non più del suo valore anche per questo motivo.

Il caso SynLab e la differenza tra prevenzione e risposta

Il recente attacco informatico che ha colpito la società Synlab Italia, rivendicato in queste ore dalla gang BlackBasta, e che ha messo giù per diverse settimane i laboratori di analisi e di diagnostica della multinazionale, esponendo dati personali sanitari e sensibili di una buona fetta del territorio italiano, ha certificato il disinteresse verso il ransomware in sè, ma ne ha amplificato un altro che sembrerebbe essere lo snodo cruciale dell’evoluzione mediatica degli attacchi informatici e che coinvolge la necessità di una maggiore capacità di risposta a questi ultimi. Il problema oggi sembrerebbe non essere più perdere il dato, che comunque comporta delle multe e delle sanzioni da parte del Garante, ma è per forza di cose il ripristinare quanto prima i servizi che incidono da subito sulle attività ricorrenti di aziende ed Enti vittime dei criminali. E’ proprio questo il problema che attanaglia attualmente la comunità informatica in Italia, forte anche dei primi contratti assicurativi che si stanno stipulando dinanzi all’insorgenza di attacchi informatici in copertura ai diversi disservizi che ne possono sorgere, e cioè la capacità di reazione quanto più tempestiva agli attacchi ransomware, malware o di negazione del servizio, che possa rendere minimi i disagi nei confronti degli utenti che non sono solo i consumatori della manifattura italiana o industriale, ma pazienti o correntisti che necessitano dei servizi di vitale importanza. Dalle righe di Matrice Digitale, Roberto Beneduci di CoreTech ha chiesto ad ACN ed a CSIRT di condividere metodi di reazione e soluzioni sulla base di casi già successi.

Che fine fanno i dati non venduti?

Quello che dovrebbe far discutere su questa vicenda è anche un aspetto che nasconde un teoria non confermata, ma che potrebbe rappresentare un’evenienza visto il periodo storico che la transizione digitale sta vivendo.

I dati che vengono trafugati dai criminali informatici e non pagati con i riscatti, da chi vengono acquistati?

Sapere da chi non è certo, ma si può immaginare che possano essere appetibili non solo ai call center criminali come abbiamo visto, ma anche ad agenzie governative che però hanno interesse più negli attacchi persistenti e non negli attacchi ransomware di cui l’Italia è piena. A maggior ragione che, pur essendoci un nesso tra criminalità informatica ed attività di Governo , il riscatto non è sicuramente l’attacco preferito da chi ha bisogno o di distruggere un sistema informatico, ed è qui che nasce ovviamente il malware di tipo wiper, oppure c’è chi, come la Corea del Nord, si è specializzato nell’hacking delle blockchain di criptovalute ottenendo con minor sforzo una maggiore resa che negli ultimi due anni si è quantificata in più di un miliardo di dollari. Resta ancora da scoprire invece se i dati trafugati siano venduti su altri mercati e possano essere utilizzati dagli acquirenti per addestrare dei motori di intelligenza artificiale non tracciati dal mercato oppure addirittura quelli ben più noti.

Quest’ultima considerazione potrebbe essere una congettura o forse no.

Chi ha coraggio e certezze per escluderla del tutto?

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