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La propaganda occidentale ha fallito ed ora ha paura: il COPASIR monitora le tv italiane
L’intervista a Lavrov di Giuseppe Brindisi su Rete4 ha accelerato il processo di militarizzazione della propaganda occidentale. Il numero 2 del Cremlino ha avuto troppo spazio, a detta di molti, e non è stato in grado di contestare punto per punto le “farneticanti” parole di Lavrov.
Il modus della conduzione è il vero problema della questione sollevata sui social da molti, ma per fornire un minimo di spiegazione tecnica bisogna tenere presente l’enorme ritardo di 20-30 secondi che tutti i canali hanno.
Questo vuol dire che quando si interrompe l’ospite, passano almeno 20 secondi prima che si fermi rallentando di molto il dibattito.
Un’altra contestazione messa in piedi è che dinanzi alle dichiarazioni forti sul battaglione Azov Brindisi non ha fatto opposizione.
Falso.
Brindisi ha chiesto a Lavrov dell’esercito privato russo che risponde al nome di Wagner e la risposta è stata “c’è differenza da Azov perchè Wagner è composto da mercenari mentre Azov fa parte dell’esercito ucraino“
La domanda quindi è stata fatta e la risposta è stata precisa, se poi quanto ribadito da Lavrov su Wagner non è piaciuto al pubblico, la colpa non è del giornalista che doveva continuare con altre le domande e non impallarsi sul ping pong scandito da un ritardo di 30 secondi.
L’aspetto più aberrante dell’intervista, che ha lasciato perplessi in molti, è l’augurio di “buon lavoro” a Lavrov in occasione dei saluti finali.
L’intervista di Lavrov ha aperto una quarta fase della propaganda occidentale che è una vera e propria mossa dettata dalla disperazione per l’effettivo fallimento delle diverse strategie attuate fino ad oggi ed è per questo che è necessario passare alla censura.
Per esigenze militari, legittime sia chiaro, la comunicazione ha bisogno di essere instradata perché è controproducente mettere in dubbio la strategia del governo che oramai non esclude anche l’ingresso sul campo di guerra.
Ed è per questo che il COPASIR ha disposto su pressioni dei partiti politici “un approfondimento sulla ingerenza straniera e sulla attività di disinformazione, anche al fine di preservare la libertà e l’autonomia editoriale e informativa da qualsiasi forma di condizionamento, con particolare riferimento al conflitto tra Russia e Ucraina“. Una situazione straordinaria, quella bellica, che però alza la soglia della libertà di informazione dei giornalisti e delle testate che li impegnano.
Cosa ancora più grave è che questa stretta parte direttamente dai giornalisti che sono apertamente schierati non con l’informazione libera, soprattutto plurale, bensì con quella che effettivamente può definirsi la propaganda dell’Occidente.
Molti di questi non hanno saputo valorizzare lo spazio che gli è stato concesso in questi mesi nel portare avanti una attività di informazione senza contradditorio con il fine di alzare la soglia degli italiani favorevoli all’invio delle armi ed alla guerra.
Nell’inchiesta pubblicata pochi giorni prima dell’intervista di Brindisi a Lavrov, si è analizzato il terzo periodo definendolo come quello del riequilibrio, ma si avvisavano i lettori che era incerta la sua durata proprio per l’inizio di pressioni istituzionali. Non è chiaro ancora cosa vorrà fare il COPASIR, ma per molti addetti ai lavori non possono esserci che due strade da perseguire: la prima è quella di un altro apparato italiano vuoto e di facciata, l’altro, quello più probabile visti i tempi, è una sorta di Ministero della Verità di Orwelliana memoria.
I primi giorni di attività del COPASIR chiariranno le funzioni di questa iniziativa, ma nel frattempo è doveroso tornare al ruolo dei giornalisti. Un giornalista deve portare le notizie e garantire una rappresentazione della verità quanto più oggettiva possibile. Per raccontare la verità c’è bisogno di interpellare tutte le voci coinvolte in una notizia.
Ignorando i russi, non si aiuta un popolo restio ad accettare il conflitto e nemmeno gli si fornisce l’impressione di raccontare “le cose come stanno”. Senza trascurare il fatto che un giornalista ha come scopo quello dell’esclusiva rispetto alla concorrenza. L’intervista a Lavrov è stata un successo mediatico e non solo per le polemiche montate, ma soprattutto per le notizie che sono state estrapolate e citate dalle testate di mezzo mondo dando merito al giornalista di aver fatto il suo lavoro ed alla sua televisione di aver portato a casa un’esclusiva.
In più, sempre per fugare la tesi del troppo spazio concesso al numero 2 del Cremlino, dopo l’intervista c’è stato un dibattito a caldo in studio ed è nota la posizione di Rete4 dall’inizio del conflitto non di certo filo Putin, anzi, più volte lo stesso Brindisi è stato individuato dall’altra parte dei pacifisti come un filo atlantico.
Non si comprende, da giornalista, come sia possibile che ci si opponga a questa regola della professione non scritta, ma basilare. Non è un caso, inoltre, che ad opporsi alle ospitate dei cittadini russi in tv siano per lo più professionisti non impegnati direttamente sul conflitto o editorialisti di parte atlantica che vantano addirittura la pretesa di essere presenti sui media senza un contraddittorio, soprattutto se russo.
Anche abbastanza “ignobile“, aldilà degli scontri che ci possono essere per altri motivi, l’attacco a Rete4 arrivato da strutture editoriali competitor ed ampiamente schierate anche loro dalla parte degli ucraini, che è una cosa nobile, sia chiaro, seppur non implichi direttamente l’essere dalla stessa parte dell’informazione, più precisamente posizionati in piena propaganda.
Un altro attacco è arrivato dal Presidente Draghi che ha voluto sindacare il modus applicato dal giornalista nell’intervistare. Da quale pulpito? Verrebbe da esclamare a molti.
Nessuno si è permesso di confutare quanto Draghi ha detto in questi mesi sulle reali condizioni dell’economia italiana da lui non definita di Guerra seppur i numeri sull’inflazione dicono altro. Così come la frase “armare per ottenere la pace” sia stato un chiaro modo per evitare di pronunciare la parola guerra.
C’è da considerare anche il fatto che molti politici, per non dire tutti, chiedono le domande ai giornalisti prima delle interviste “sedute“, che differiscono da quelle realizzate nell’ambito delle inchieste e dei servizi tg, spesso concordate anche in queste situazioni.
L’ennesimo passo falso dei propagandisti
Questa strategia messa in piedi per correre ai ripari dall’intervista di Rete4 rappresenta un clamoroso errore agli occhi dei cittadini non convinti delle intenzioni bonarie di Zelensky e delle soluzioni proposte per risolvere il conflitto provenienti dall’area NATO.
Mettere in mezzo addirittura il COPASIR per monitorare l’attività giornalistica non è un segnale di tutela della libertà di informazione e di espressione, anzi, è parso da subito a molti un modo per mettere il famoso bavaglio all’informazione.
Altro aspetto da non sottovalutare è che gli ospiti russi chiamati in tv applicano una comunicazione anche loro propagandistica e quindi riconoscibile al grande pubblico straniero e questo è un modo per smascherarli senza troppa fatica.
La doppia dichiarazione sugli ebrei di Lavrov, ad esempio, ha messo il mondo ebraico ed Israele nella condizione di considerare Zelensky il male minore, assolvendolo di fatto dalle dichiarazioni inopportune fatte durante il suo congresso al parlamento israeliano.
Un altro passo falso è quello di continuare a delegittimare con toni da stadio, se non offensivi ed intimidatori, i personaggi pubblici schierati sul fronte pacifista che chiedono maggiore impegno sui negoziati tra le parti. Questo fa insospettire, e non poco, il pubblico italiano che sente molta puzza di bruciato su questa strategia adottata in tv e sui social.
C’è anche un altro dettaglio che rasenta il ridicolo agli occhi dei telespettatori. Il giorno dopo l’intervista a Lavrov, c’è stato squadrismo in molte trasmissioni televisive dove si è arrivati ad offendere i giornalisti russi ospitati. Da Floris ,ad esempio, si è raggiunto lo scandalo più totale: mancanza di rispetto collettiva dello studio nei confronti della giornalista russa Nadana Fridrikhson così evidente che la giornalista francese presente ha richiamato all’ordine ed al rispetto tra colleghi.
Il vero problema di questo stato “monitorato” dell’informazione non è tanto l’esigenza attuale per motivi bellici, ma il rischio che finita la guerra, tutti i paletti di controllo messi in campo oggi non vengano rimossi.
Chi si siede prima in questa fase, si accomoderà di certo meglio in futuro, ed in forma esclusiva.
Altro che Lavrov!
Leggi l’inchiesta sulla propaganda dei primi giorni di guerra
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Kapeka: nuova backdoor di Sandworm per l’Est Europa
Tempo di lettura: 3 minuti. Kapeka, nuova backdoor utilizzata da Sandworm in attacchi all’Europa orientale, con capacità avanzate di controllo e flessibilità operativa.
Una nuovo backdoor denominata “Kapeka” è stato individuato mentre veniva impiegato in attacchi mirati contro l’Europa orientale, inclusi Estonia e Ucraina. Questo malware, sviluppato dal gruppo di minaccia persistente avanzato (APT) collegato alla Russia, noto come Sandworm, ha mostrato capacità estremamente sofisticate nell’esecuzione di cyber-attacchi, secondo un rapporto di WithSecure.
Caratteristiche del Backdoor Kapeka
Kapeka è una backdoor flessibile scritta in C++ e confezionato come una DLL di Windows. È progettato per mascherarsi da componente aggiuntivo di Microsoft Word per sembrare legittimo e evitare il rilevamento. Il malware è dotato di una configurazione di comando e controllo (C2) incorporata che stabilisce contatti con server controllati dall’attaccante e ottiene istruzioni su come procedere.
Funzionalità del malware
Le funzionalità di Kapeka includono la capacità di leggere e scrivere file, lanciare payload, eseguire comandi shell e persino aggiornare o disinstallare se stesso. Utilizza l’interfaccia COM di WinHttp 5.1 per la comunicazione di rete e impiega il formato JSON per inviare e ricevere dati dal suo server C2. Il backdoor può anche aggiornare la propria configurazione C2 “al volo”, ricevendo una nuova versione dal server C2 durante il polling.
Metodi di propagazione e associazioni
La modalità esatta di propagazione di Kapeka non è ancora stata pienamente identificata, ma le analisi indicano che il dropper del malware viene recuperato da siti web compromessi utilizzando il comando certutil, un esempio di utilizzo di binari legittimi per eseguire attacchi (LOLBin). Kapeka è stato collegato a precedenti famiglie di malware come GreyEnergy e Prestige, suggerendo che potrebbe essere un successore di quest’ultimo, usato in intrusioni che hanno portato al dispiegamento del ransomware Prestige alla fine del 2022.
Implicazioni e significato
L’uso di Kapeka in operazioni di intrusione dimostra un’attività di livello APT, con un alto grado di stealth e sofisticazione, tipico di attacchi attribuibili a origini russe. La sua vittimologia sporadica e il targeting di specifiche regioni geopoliticamente sensibili come l’Europa orientale, evidenziano l’uso strategico di questo malware in operazioni di cyber spionaggio o sabotaggio.
Il backdoor Kapeka rappresenta una minaccia significativa per la sicurezza delle informazioni nelle aree colpite. Le organizzazioni in regioni potenzialmente a rischio dovrebbero rafforzare le loro difese e monitorare attivamente per rilevare segni di questo malware sofisticato, adottando misure proattive per proteggere i loro sistemi dagli attacchi.
APT44: pericolo globale del gruppo Sandworm
APT44, noto anche come Sandworm, è una delle unità di sabotaggio informatico più pericolose, attiva nell’ambito dei conflitti geopolitici a favore degli interessi russi. Questo gruppo è associato a numerosi attacchi di alto profilo e continua a rappresentare una minaccia elevata per governi e operatori di infrastrutture critiche a livello mondiale.
Caratteristiche e attività di APT44
APT44 è un gruppo avanzato di minaccia persistente (APT) che ha mostrato una capacità notevole e una tolleranza al rischio elevata nei suoi sforzi per supportare la politica estera russa. L’ampio mandato di questo gruppo lo rende una minaccia imprevedibile, pronta a colpire a breve termine ovunque i suoi obiettivi si allineino agli interessi nazionali russi.
Rischio di proliferazione di nuove tecniche
Le continue innovazioni di APT44 nell’uso di capacità cyber distruttive hanno potenzialmente abbassato la barriera all’ingresso per altri attori statali e non statali interessati a sviluppare i propri programmi di attacco informatico. Questo rischio di proliferazione è una preoccupazione crescente, poiché potrebbe portare a un aumento globale di attacchi cyber sofisticati e distruttivi.
Protezione e Azioni della Comunità
La ricerca di Google ha portato all’identificazione di varie misure per proteggere gli utenti e la comunità più ampia:
- Protezione attraverso Google’s Threat Analysis Group (TAG): I risultati della ricerca migliorano la sicurezza dei prodotti di Google.
- Aggiunte a Safe Browsing: I siti e i domini identificati sono stati aggiunti per proteggere gli utenti da ulteriori sfruttamenti.
- Allerte per attacchi supportati dal governo: Gli utenti di Gmail e Workspace coinvolti ricevono notifiche.
- Programmi di notifica delle vittime: Dove possibile, le vittime vengono informate tramite programmi dedicati.
- Risorse di VirusTotal: Una collezione di indicatori di compromissione legati ad APT44 è disponibile per gli utenti registrati.
Il continuo impegno di APT44 nel campo del cyber sabotage rappresenta una delle minacce più severe e pervasive a livello globale. È essenziale che la comunità internazionale rimanga vigile e preparata a fronteggiare le sfide poste da gruppi come Sandworm, specialmente in contesti geopolitici delicati.
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Miner di criptovalute arrestato per aver evaso pagamenti di Server Cloud per 3,5 Milioni di Dollari
Tempo di lettura: 2 minuti. Un miner di criptovalute è stato arrestato per aver evaso pagamenti per 3,5 milioni di dollari in servizi di server cloud
Charles O. Parks III, noto anche come “CP3O”, è stato arrestato e accusato di aver utilizzato server cloud noleggiati per minare criptovalute, causando un debito di 3,5 milioni di dollari con due fornitori di servizi cloud, senza mai saldare i conti.
Dettagli del caso
Parks ha ideato un sistema ingegnoso creando identità aziendali fittizie, come “MultiMillionaire LLC” e “CP30 LLC”, per aprire numerosi account presso fornitori di servizi cloud, ottenendo così accesso a una potenza computazionale significativa. Anche se il Dipartimento di Giustizia (DOJ) non ha nominato esplicitamente i fornitori coinvolti, le indicazioni geografiche suggeriscono che si tratti di Amazon e Microsoft, situati rispettivamente a Seattle e Redmond, Washington.
Metodologia e abuso
Utilizzando questi account, Parks è riuscito a ottenere l’accesso a server dotati di potenti schede grafiche, essenziali per il mining di criptovalute come Ether (ETH), Litecoin (LTC) e Monero (XMR). Ha lanciato decine di migliaia di queste istanze di server, utilizzando software di mining e strumenti per massimizzare l’efficienza energetica e monitorare l’attività di mining in varie pool.
Riciclaggio e lifestyle
Le criptovalute estratte venivano poi riciclate acquistando token non fungibili (NFT), convertendole e trasferendole su varie piattaforme di scambio di criptovalute, o attraverso pagamenti online e conti bancari tradizionali. I proventi, convertiti in dollari, erano utilizzati da Parks per finanziare uno stile di vita lussuoso, includendo viaggi in prima classe e l’acquisto di articoli di lusso e auto.
Implicazioni legali e prevenzione
Parks è stato arrestato il 13 aprile 2024 nel Nebraska, con una prima udienza programmata il giorno successivo in un tribunale federale di Omaha. L’imputazione include accuse di frode informatica, riciclaggio di denaro e transazioni monetarie illegali, con una pena massima prevista di 30 anni di prigione. Il caso evidenzia anche l’importanza per i fornitori di servizi cloud di adottare misure più rigorose per verificare l’identità degli utenti, stabilire limiti di uso per i nuovi account e migliorare i sistemi di rilevamento delle anomalie per minimizzare le perdite.
Questo caso di cryptojacking sottolinea la necessità di una vigilanza continua e di politiche più severe da parte dei fornitori di servizi cloud per prevenire abusi simili, proteggendo così l’integrità dei loro servizi e dei loro clienti.
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USA, arrestata per un’accusa di Sextortion da 1,7 Milioni di Dollari
Tempo di lettura: 2 minuti. Una donna del Delaware è stata arrestata per aver preso di mira giovani ragazzi in uno schema di sextortion che ha fruttato 1,7 milioni
Una donna del Delaware, Hadja Kone, è stata arrestata per il suo presunto coinvolgimento in un vasto schema internazionale di sextortion che ha mirato a giovani maschi, guadagnando circa 1,7 milioni di dollari tramite estorsioni. Questo caso sottolinea la crescente problematica della sextortion su Internet, che colpisce migliaia di giovani in tutto il mondo.
Dettagli del caso
Hadja Kone, 28 anni, è stata collegata a un’operazione che mirava principalmente a giovani uomini e minori negli Stati Uniti, Canada e Regno Unito. I truffatori si fingevano giovani donne attraenti online, iniziando conversazioni con le vittime e invogliandole a partecipare a sessioni di video chat dal vivo, durante le quali venivano registrate segretamente. Successivamente, le vittime venivano minacciate di diffondere i video a meno che non pagassero somme di denaro, generalmente tramite Cash App o Apple Pay.
Implicazioni Legali e Risposta delle Autorità
Kone e i suoi co-conspiratori sono accusati di cyberstalking, minacce interstatali, riciclaggio di denaro e frode via cavo. Siaka Ouattara, un altro presunto co-conspiratore di 22 anni dalla Costa d’Avorio, è stato arrestato dalle autorità ivoriane a febbraio. Se condannati, entrambi potrebbero affrontare fino a 20 anni di prigione per ciascun capo di imputazione.
Preoccupazioni crescenti e misure di prevenzione
Questo caso rientra in una tendenza allarmante di aumento dei casi di sextortion, specialmente tra i minori. Nel gennaio 2024, il FBI ha lanciato un avvertimento sulla crescente minaccia di sextortion, sottolineando che i giovani maschi di età compresa tra 14 e 17 anni sono particolarmente a rischio, ma qualsiasi bambino può diventare vittima. Piattaforme come Instagram e Snapchat hanno iniziato a implementare nuove protezioni e risorse educative per combattere la sextortion e proteggere i giovani utenti.
Il caso di Hadja Kone evidenzia l’importanza di una maggiore consapevolezza e educazione sulle pratiche di sicurezza online. Le piattaforme social stanno rispondendo con nuove misure, ma è essenziale che i genitori, gli educatori e i giovani stessi siano informati sui segni di avvertimento e sulle strategie di prevenzione della sextortion
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