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Editoriali

Clubhouse: da social della voce di tutti a strumento di squadrismo, discriminazione e censura

Tempo di lettura: 3 minuti.

Clubhouse è il social mai cresciuto in Italia. Una radio interattiva che consente a tutti di poter trasmettere in diretta dei flussi audio coinvolgendo l’intera comunità iscritta. Un social che ha mostrato tanti punti forti, ma è destinato a morire o al massimo restare un prodotto di nicchia.

Storia di Clubhouse

Clubhouse nasce su piattaforma Apple, iOS, nell’aprile 2020. Il successo dell’app è stato sicuramente il calvalcare la pandemia. Tutti chiusi in casa a socializzare sul social della voce. Il rafforzamento del branding avuto nei primi mesi ha consentito agli ideatori dell’app di avere nel primo semestre la bellezza di 600.000 utenti e diversi milioni di dollari di sovvenzioni da privati. Dopo un anno, il software è partito anche su piattaforma Android e non ha avuto il successo sperato, anzi.

La triade che porta avanti Clubhouse

Il social si basa sostanzialmente su tre figure:

  • Moderatori: creano i canali e propongono i contenuti
  • Speaker: sono coloro che parlano nei canali, ospiti dei moderatori con cui condividono il palco della stanza.
  • Ascoltatori: pubblico che ascolta silenziosamente, ma che può intervenire se alza la mano e se le stanze sono abilitate a far salire la gente sul palco.

I punti forti di Clubhouse

Per chi frequenta il social, uno dei primi punti forti è stato quello di avvicinare i personaggi famosi al popolino desideroso di conoscerli. Luca Bizzarri, Andrea Delogu, Morgan ed altri ancora si sono avvicendati nelle stanze ad inizio pandemia, ma poi si sono defilati e questo fa intuire il declino dell’app.

Le persone osservano una regola di convivenza civica, aspettando il proprio turno, e questo aspetto con il passare del tempo le migliora la propria comunicazione nel dialogare, perché ogni giorno si è chiamati ad intervenire, ed aiuta le persone nell’essere più rispettose del prossimo, convivendo con opinioni diverse.

La conoscenza è distribuita alla massa molto meglio dei programmi divulgativi social o delle tv. Sono tante le stanze con esperti che trattano argomenti che spaziano dal mondo della storia a quello della geopolitica, fino ad arrivare alla cultura. Un’offerta notevole possibile grazie anche a veri professionisti.

I punti deboli del social

Clubhouse non ha solo luci, ma molte ombre. Il fatto che sia frequentato da poche persone con costanza, ha consentito la nascita di tribù che spesso si fanno concorrenza tra loro per ottenere il primato dell’audience.

Gli ascolti sono bassi se consideriamo che una stanza, se va bene, fa 500 persone, la media è 200, ma non è dato sapere se le statistiche del social fanno riferimento ai contatti unici o complessivi che comprendono quelli di ritorno.

Non esiste un metodo per monetizzare ed aiutare i moderatori a ripagarsi le ore spese sul social. Le stesse ore dedicate nei palinsesti quotidiani su un’altra piattaforma porterebbero anche ad un riconoscimento minimo.

La presenza degli stessi speaker porta ad un’autoreferenzialità che annienta il confronto di crescita individuale, in favore però di quello nel saper comunicare sempre meglio il proprio pensiero.

L’assenza di moderatori professionisti, che non sono mecessariamente giornalisti, rende troppo spesso le room lunghe ed irrispettose dei tempi canonici che consentono interventi a tutti in minor tempo.

Il dibattito non è tecnicamente possibile per un motivo essenziale: 20 persone sul palco che vogliono dire la loro e rispondere ad eventuali osservazioni, fanno sì che il tempo voli anche oltre le 2 ore.

I blocchi, lo squadrismo e la censura

L’aspetto più preoccupante di Clubhouse è che da social della libera espressione sta diventando sempre più un social dove è possibile censurare le opinioni delle persone. A differenza delle altre piattaforme, quando una persona viene bloccata su un social, può continuare a vedere i post degli amici in comune ed interagire con loro senza che l’altro se ne accorga. Nel caso di Cubhouse, invece, ci troviamo dinanzi al potere, dato ad ogni individuo, di poter escludere dalla vita sociale della piattaforma qualsiasi persona. Chi blocca, ha la prelazione nelle room escludendo di fatto la persona bloccata.

Se c’è un motivo grave, il blocco è sacrosanto, ma siamo sicuri che lo strumento di blocco non sia abusato da soggetti che vogliono invece essere protagonisti, detenere il potere di scegliere la vita sociale di altri oppure fare concorrenza sleale nell’acquisizione di followers?  

Molti commenterebbero dicendo che queste sono le regole di una società privata, ma se con lo strumento del blocco si avalla una discriminazione che sia di razza, etnia, religione o addirittura pensiero, ci troviamo dinanzi ad una piattaforma che fomenta lo squadrismo e ricalca la censura delle migliori dittature.

E’ forse questo il motivo per il quale Clubhouse è sempre più un social per pochi eletti con a seguito adepti di vere sette del pensiero.

Di Livio Varriale

Giornalista e scrittore: le sue specializzazioni sono in Politica, Crimine Informatico, Comunicazione Istituzionale, Cultura e Trasformazione digitale. Autore del saggio sul Dark Web e il futuro della società digitale “La prigione dell’umanità” e di “Cultura digitale”. Appassionato di Osint e autore di diverse ricerche pubblicate da testate Nazionali. Attivista contro la pedopornografia online, il suo motto è “Coerenza, Costanza, CoScienza”.

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