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Editoriali

Greenpass: dopo l’inchiesta di Matrice Digitale, il Garante Privacy avvia indagini con GDF

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L’inchiesta di matricedigitale sui mille Greenpass italiani scaricabili nel web di due settimane fa ha colpito nel segno. La notizia data in esclusiva sulla diffusione dei 2000 greenpass italiani che giravano su Telegram tramite un link che rimandava ad una piattaforma di file sharing, ha scaturito azioni governative di indagine. Il Garante della Privacy ha annunciato di aver avviato tutte le procedure necessarie per accertare l’origine dei green pass trafugati, collegati a vaccinazioni, perfettamente funzionanti.

Guardia di Finanza avvia indagine sui 1000 green pass

Il comunicato del Garante descrive “Migliaia di green pass, apparentemente autentici, disponibili on line all’interno di una nota piattaforma di file sharing e scaricabili da chiunque, con il serio rischio che possano essere manipolati o commercializzati. Considerata la gravità e la pericolosità di questa illecita diffusione di dati personali particolarmente delicati, il Garante per la protezione dei dati personali ha avviato d’urgenza un’indagine per accertare le modalità con le quali questi dati siano finiti in rete e ha dato mandato al Nucleo Speciale Tutela Privacy e Frodi tecnologiche della Guardia di Finanza di acquisire gli archivi on line e accertarne la provenienza“.

Ringraziamo pubblicamente la redazione di Open

In un momento dove ognuno fa sua la notizia dicendo di aver scoperto per primo questa falla, giornalisti o addirittura intere redazioni per intenderci, c’è un dovere morale da parte nostra nel ringraziare pubblicamente la redazione di Open , colpevole di aver commesso un atto ignobile secondo il buoncostume giornalistico degli ultimi anni: ha citato la fonte in tempi non sospetti in questo articolo. In più c’è anche chi ha fornito una notizia molto importante sul placement di archivi digitali all’interno di piattaforme di altre piattaforme di file sharing come Emule e precisamente il sito Insicurezza Digitale che vi riportiamo qui.

Le app di Verifica non ufficiali alimentano i certificati esposti in rete?

VerificaC19 è l’app ufficiale del Governo per controllare la validità dei greenpass in circolazione, ma non tutti utilizzano quella consigliata dal Governo. Il sospetto degli ultimi giorni, che mette in dubbio la teoria espressa a caldo da matricedigitale sull’origine unica dei mille certificati verdi ipotizzando una farmacia o un hub vaccinale, è quello che, secondo Michele Pinassi, c’è un rischio ancora più grande rappresentato da app che verificano il green pass, ma allo stesso tempo ne rubano tutti i dati presenti clonando il pdf o il qrcorde all’insaputa degli utenti. Questa notizia è stata dichiarata possibile anche da altri ricercatori come @Odisseus e @sonoclaudio e rappresenta una novità sulla vicenda dei 1000 greenpass italiani che tengono banco da due settimane, con esperti che li riciclano come se fossero molti altri quelli esposti continuamente, ma pur di non citare le fonti di tale notizia, la fantasia aiuta a sfornare nuove informazioni basate su fatti oramai vecchi e accertati da altre testate come la nostra almeno due settimane fa.

Nel mentre la GDF farà luce sulla vicenda, su cui siamo anche noi curiosi a questo punto di sapere maggiori dettagli, avremmo gradito più della citazione dovuta, un apprezzamento e la condivisione della nostra campagna di sensibilizzazione sociale dove invitavamo a scaricare i 1000 greenpass, ma siamo consapevoli che nel giornalismo moderno, chi arriva prima, buca gli altri, che successivamente utilizzano i propri mezzi per appropriarsi delle notizie che non sono stati in grado di anticipare, soprattutto quando si tratta di poteri editoriali muniti anche di grande portata economica.

Meglio così, la soddisfazione più grande è che dopo una denuncia precisa tramite un nostro articolo giornalistico, che va oltre il futile dibattito del circo mediatico di questi giorni, l’Ente preposto al controllo ed alla tutela dei dati personali ha dato mandato all’Autorità Giudiziaria di fare luce sull’episodio sollevato da una attività giornalistica della nostra testata.

Editoriali

MITRE vittima di zero day Ivanti: anche i migliori le prendono

Tempo di lettura: 2 minuti. Anche le organizzazioni ben preparate come MITRE possono essere vulnerabili a minacce cibernetiche avanzate

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Mitre
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Nel contesto della sicurezza informatica, anche le organizzazioni più preparate possono trovarsi vulnerabili di fronte a minacce persistenti e avanzate, come dimostrato dagli attacchi recentemente subiti da MITRE. Questo caso sottolinea l’importanza di adottare un approccio informato sulle minacce per la difesa contro gli attacchi cyber sempre più sofisticati.

Cos’è MITRE?

MITRE è una corporazione senza scopo di lucro americana con sede principale a Bedford, Massachusetts, e una secondaria a McLean, Virginia. Fondata nel 1958, l’organizzazione opera centri federali di ricerca e sviluppo (FFRDCs) per conto del governo degli Stati Uniti. MITRE è dedicata all’interesse pubblico e lavora su una vasta gamma di questioni di sicurezza nazionale, aviazione, sanità, cybersecurity e innovazione del governo.

La missione principale di MITRE è quella di risolvere problemi complessi per un mondo più sicuro, fornendo ricerca, sviluppo e consulenza strategica ai vari enti governativi per aiutarli a prendere decisioni informate e implementare soluzioni tecnologiche avanzate. Uno degli aspetti notevoli del lavoro di MITRE è il suo impegno nella sicurezza informatica, attraverso lo sviluppo di framework e strumenti come il Common Vulnerabilities and Exposures (CVE) e l’ATT&CK framework, che sono largamente utilizzati a livello internazionale per la gestione delle minacce e la protezione delle infrastrutture critiche. Per ulteriori informazioni, puoi visitare il sito ufficiale.

Dettagli dell’attacco subito da MITRE

MITRE, un’organizzazione che si impegna a mantenere elevati standard di sicurezza cibernetica, ha recentemente rivelato di essere stata vittima di un attacco informatico significativo. Nonostante la solidità delle sue difese, MITRE ha scoperto vulnerabilità critiche che sono state sfruttate dagli attaccanti, segnalando un tema di sicurezza concentrato sulla compromissione di dispositivi di protezione perimetrale.

L’incidente e le sue conseguenze

L’attacco ha avuto inizio con un’intensa attività di ricognizione da parte degli attaccanti nei primi mesi del 2024, culminata nell’uso di due vulnerabilità zero-day nel VPN di Ivanti Connect Secure, bypassando l’autenticazione multifattore tramite session hijacking. Questo ha permesso agli attaccanti di muoversi lateralmente e infiltrarsi profondamente nell’infrastruttura VMware di MITRE, utilizzando account amministrativi compromessi e un mix di backdoor sofisticate e web shell per mantenere la persistenza e raccogliere credenziali.

Risposta di MITRE all’incidente

La risposta all’incidente ha incluso l’isolamento dei sistemi colpiti, la revisione completa della rete per impedire ulteriori diffusione dell’attacco, e l’introduzione di nuove suite di sensori per monitorare e analizzare i sistemi compromessi. Inoltre, l’organizzazione ha avviato una serie di analisi forensi per determinare l’entità del compromesso e le tecniche utilizzate dagli avversari.

Lezioni apprese e miglioramenti futuri

Questo incidente ha rafforzato per MITRE l’importanza di comprendere i comportamenti degli hacker come mezzo per sconfiggerli, spingendo l’organizzazione a creare tassonomie comportamentali che catalogano le TTP (tattiche, tecniche e procedure) degli avversari, che hanno portato alla creazione di MITRE ATT&CK®. Questo evento ha anche stimolato l’adozione del concetto di difesa informata dalle minacce, culminando nella creazione del Center for Threat-Informed Defense. L’incidente di sicurezza subito serve da monito per tutte le organizzazioni sulla necessità di mantenere sistemi di difesa aggiornati e proattivi, utilizzando le risorse come il MITRE ATT&CK, costantemente monitorato anche da CISA i cui bollettini sono riportati puntualmente da Matrice Digitale, per rimanere informati sulle ultime strategie degli avversari e su come contrastarle efficacemente.

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Editoriali

Università, Israele e licenziamenti BigTech

Tempo di lettura: < 1 minuto. Una riflessione sull’eventualità di sospendere gli accordi nelle università italiane con progetti di ricerca israeliani

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A distanza di un mese, l’Italia scopre il progetto Nimbus, di cui Matrice Digitale ne parla da più di un anno, dove Google fornisce un cloud ad Israele per il riconoscimento facciale di tutta la striscia di Gaza.

Essendo #Google una multinazionale, come tante altre #bigtech, si vanta di avere dipendenti maschi, femmine, gender fluid, cristiani, buddisti e pure musulmani.

Poi però licenzia i musulmani ed i bianchi pacifisti perchè partecipano a manifestazioni contro i progetti militari dell’azienda.

Vi sorprenderò: è giusto che lo faccia perchè sono interessi privati e se uno vuole vendere armi, anche quelle non convenzionali, può farlo.

Qui però entriamo nel merito delle Università che protestano per non sviluppare progetti di ricerca militari con l’una e l’altra nazione: questo dovrebbe sollecitare i rettorati ad aprire una riflessione sui progetti militari e l’art. 11 della ns Costituzione che tanto ripudia la guerra.

Quindi se sospendiamo i progetti militari dalle università, si risolve il problema?

NO, e sapete perchè?

Esempio: l’algoritmo del progetto Nimbus sfrutta anche la tecnologia di Google Lens e Photos che sono prodotti di uso civile e quotidiani.

E la cosa vera l’ha detta Bersani in questi giorni ad Otto e Mezzo: esistono tanti progetti accademici di secondo livello che propongono buoni propositi, ma in realtà chi li gestisce ha già presente il fine e l’impiego militare.

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Editoriali

Apple vuole fregarti con lo spot dei 128GB di spazio iPhone: aspetta il 16

Tempo di lettura: 3 minuti. Scopri se 128GB di spazio su iPhone sono sufficienti per le tue esigenze e considera le alternative di iCloud per una gestione ottimale dell’archiviazione.

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Apple iPhone Spot
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L’iPhone 15 promette “molto spazio per molte foto”, come evidenziato nell’ultimo spot di Apple. Tuttavia, la sufficienza dello spazio di archiviazione dipende dall’utilizzo specifico che ciascuno fa del proprio iPhone e dall’opzione di memoria scelta. La capacità di archiviazione base dell’iPhone 15 è di 128GB, un notevole aumento rispetto ai 64GB degli anni precedenti, riflettendo l’esigenza crescente di più spazio dovuta all’ampliamento delle abitudini digitali.

Fotografia e video in Alta Risoluzione

Con le capacità fotografiche dell‘iPhone 15 che includono foto da 48 megapixel e registrazione video in 4K, lo spazio richiesto per questi file ad alta risoluzione è sostanziale. Questi miglioramenti, sebbene accrescano la qualità dei contenuti catturati, consumano rapidamente la capacità di archiviazione locale, rendendo quello che una volta sembrava ampio spazio, ora insufficiente per le esigenze di molti utenti.

iCloud come soluzione?

iCloud di Apple offre una soluzione alle limitazioni di spazio dei dispositivi, con piani che vanno oltre i 5GB gratuiti – quantità decisamente insufficiente per la maggior parte degli utenti. I piani di abbonamento a pagamento di iCloud+ offrono 50GB, 200GB e 2TB di spazio cloud, arricchiti da funzionalità aggiuntive. Di recente, Apple ha introdotto opzioni per 6TB e 12TB di spazio, pensate per utenti con esigenze di archiviazione estese, sebbene queste opzioni comportino costi significativi e la dipendenza da una connessione internet per accedere ai file e ad un aumento di prezzi con contratti unilaterali.

iPhone storage vs iCloud

Mentre i modelli standard di iPhone 15 e iPhone 15 Pro partono da 128GB di spazio di archiviazione, Apple offre opzioni di upgrade a 256GB e 512GB, con un’ulteriore opzione da 1TB per l’iPhone 15 Pro, verificare su Amazon i prezzi e le diverse caratteristiche. Optare per un modello con capacità inferiore e integrarlo con spazio iCloud aggiuntivo potrebbe rivelarsi una scelta più economica e pratica, considerando il costo e la durata potenziale del dispositivo rispetto all’investimento in un iPhone da 1TB.

Il futuro dello spazio di Archiviazione su iPhone

Data l’attuale traiettoria, sembra ragionevole che Apple aumenti la capacità di base di tutti i suoi modelli di iPhone a 256GB nelle generazioni future, e si auspica anche una revisione dell’aliquota gratuita di 5GB di iCloud, per riflettere meglio le realtà del consumo digitale moderno.

Chi vi scrive non casca nella fregatura salvo rottura

Apple invita gli utenti a fare l’upgrade di cellulare un motivo chiaro: cambiarlo e fare cassa. Il messaggio è rivolto agli utenti di iPhone 12 e 13 con le versioni base da 128GB. Chi vi scrive ha un iPhone 12 Pro Max che ha cambiato dopo un 7 plus da pochi GB. L’iPhone non si cambia ogni anno, ma si cambia quando arriva la tecnologia di discontinuità. Nel caso del 7 plus e della versione 12, oltre allo spazio, ad una durata sempre inferiore della batteria, il motivo che mi ha portato al cambio di dispositivo è stato il 5G che ha modificato i tempi di consultazione del Web. Anche la fotocamera è stata gradita al passaggio, ma, dalla versione 12 in poi fino alla 15, c’è poco da aggiungere se non appunto questioni di spazio, qualche avanzamento tecnologico nella fotografia e magari un 5g più veloce per via dei modem nuovi.

Se Apple fa questa proposta ansiolitica, mettendo in mezzo il fatto che possiate perdere la memoria della vostra defunta madre, è perchè le vendite vanno molto male ed il mondo sta sfornando cellulari nettamente superiori con l’Intelligenza Artificiale integrata dove Apple sta scopiazzando per il prossimo modello perchè rimasta indietro.

Sappiate che potete sempre trasferire le foto di mammà sul vostro PC e poi valutare se spostarle nel cloud Apple dove comunque potreste essere costretti nel fare l’upgrade del cloud se ovviamente vorrete fare il backup del dispositivo online. Se avete un iPhone 12 o anche un 14, attendete il primo iPhone AI, il iPhone 16, che arriverà verso settembre. Varrà ancor di più la pena di spostarci anche i propri ricordi.

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