Editoriali
Report e Piazza Pulita sciacallano sui BOT, la Meloni e Salvini arrancano con ignoranza. Chi ha ragione?
Cari lettori, mentre Marattin latita ai nostri inviti nel rispondere sulla sua proposta di associare un documento di idenità ai profili social, noi ritorniamo su una vicenda spinosa che abbiamo affrontato nell’intervista a Marco Skino di FacciamoRete. Un’intervista, ricordiamolo, saltata perché Skino, che aveva chiesto le domande in visione preventiva, ci aveva risposto che “non avrebbe saputo rispondere alle domande”
Ebbene, tra queste domande compariva la seguente: E adesso con la scissione di ItaliaViva e di Siamo Europei, come si colloca il movimento? Separato o appoggia gli uni e gli altri?
In effetti abbiamo anticipato i tempi, perché qualche giorno fa lo stesso ideologo ed attivista di facciamorete ha pubblicato questo tweet:
Una scissione interna al movimento che era annunciata in virtù della frammentazione dei partiti, del PD soprattutto, in nuovi soggetti politici che risultano essere più moderati e meno barricati sui valori dell’estrema sinistra che forma un nutrito gruppo nella schiera di attivisti sui social.
Ma a rispondere al posto di Skino, è stato Orlowski, che noi ringraziamo, con il quale avevamo discusso anche di una eventuale scissione, che ha commentato “Beh, si è divisa, ma non vuol dire che i valori che noi portiamo avanti siano diversi tra loro. Io personalmente reputo ogni politico di sinistra valido quando espone idee in linea con il mio pensiero e credo questo avvenga anche nella coscienza dei “facciamorete” che non badano alla figura, ma al pensiero espresso. Di certo non posso parlare a nome di una comunità, questa domanda dovresti porla alla base. Di certo non siamo Leghisti, né di Fratelli d’Italia e nemmeno contro l’Unità d’Europa.”
Nello stesso periodo, le ultime tre settimane, Orlowski è stato a disposizione di trasmissioni televisive notoriamente schierate a sinistra, dove ha pubblicato dati OSINT che smantellano del tutto la genuinità delle campagne sociale di Meloni e di Salvini. Tutto legittimo visto che si trattava di Rai3, lottizzata da anni dall’estrema sinistra del Paese, e la7 che annovera nel suo portfolio giornalistico esponenti di rilievo dell’editoria televisiva MainStream, collegati alle organizzazione mondiali globaliste, e liberiste, più potenti come il Bildeberg e la Open Society di Soros. Per non parlare di giornalisti da sempre schierati a sinistra ed “epurati” dalla Rai nei tempi GialloVerdi.
E mentre la sinistra cerca di dimostrare campagne di odio collegate alla comunicazione di destra con vere e proprie cannonate dove addirittura si accosta la componente italiana non solo al fascismo, ma anche al suprematismo razziale collegato a sanguinosi atti terroristici, la controparte come si comporta?
Male, malissimo.
Il Giornale fa un pezzo utilizzando dei dati FAKE, smentiti in maniera molto argomentata e precisa dal debunker di sinistra David Puente della piattaforma online Open.
Già questo la dice lunga sulla differenza storica tra la preparazione dei giornalisti schierati a destra, per la maggior parte lacunosa rispetto a quelli di sinistra. Continuiamo quindi con la Meloni che risponde con una conferenza stampa “revolver” alle cannonate del mainstream di Report, dove scoperchia la malafede del servizio giornalistico e dei dati gonfiati dal giornalista sui 180.000 retweet, e solleva un caso contro la persona di Orlowski pubblicamente, twittando così:
In fondo la verità sui profili falsi nei social qual è?
Difficile che esistano analisi precise al 100%
Chiunque, sia di destra che di sinistra, utilizza bot e profili acquistati con il fine di accrescere il proprio peso politico vedi Obama, Merkel e Renzi
Ed abbiamo raggiunto The Pirate un’altra volta sulla vicenda per un ulteriore chiarimento e ci ha riferito: “Gli account li hanno comprati tutti, ma il punto è che non è dimostrabile, potrei averli fatti io, oppure potresti averli comprati tu per screditarli. Serve la tracciabilità del denaro che non c’è.”
Allora noi di Matricedigitale ci domandiamo :
Saranno quindi stati acquistati con i fondi neri dei russi?
Oppure con quelli di Open Society e Avaaz ?
Comprati con i 49 milioni della Lega?
O con quelli dei finanziatori della Leopolda, sotto inchiesta, a questo punto?
Come vedete, qui non c’è pregiudizio e nemmeno voglia di fare squadra perché non è vero che la verità sta nel mezzo, ma al di sopra della diade.
Chi ci dice che non siano tutti d’accordo per distoglierci dai problemi reali?
Questa strategia almeno è rodata e si è già verificata in diversi ricorsi storici.
Editoriali
Ferragni pagliaccio: l’indignazione della rete alla prima dell’Espresso
Tempo di lettura: 2 minuti. La copertina de L’Espresso su Chiara Ferragni vestita da pagliaccio ha scatenato diverse reazioni, ma chi ha letto l’inchiesta?
Chiara Ferragni compare truccata da pagliaccio in prima pagina de L’Espresso che ne descrive la scarsa trasparenza nella gestione societaria e si fa riferimento a scatole cinesi, manager indagati e dipendenti pagati poco.
Tutto legale fino ad oggi, sia chiaro, ma se questo è il modello di Business da studiare ad Harvard, si può ampiamente pensare che negli USA siano arrivati tardi. Ritornando con i piedi per terra e conscendo molte realtà statunitensi, sarebbe da stupidi mettere Chiara Ferragni al primo posto di come si gestisce un’azienda: non è la prima e nemmeno l’ultima.
Matrice Digitale è la testata che ha denunciato per prima l’affaire di Sanremo, che ha giudicato la Ferragni per quello che si è mostrata da Fazio: un’utile manichino senz’anima al servizio delle case di moda.
Non solo lo scandalo nella gestione della beneficenza, ma la delusione nelle risposte in una trasmissione accondiscendente come quella di Fazio stanno facendo cadere definitivamente l’alone di divinità di colei che ha saputo nascondersi dietro di post su delle pagine social creandosi un’icona immacolata.
Le reazioni alla copertina dell’Espresso
La copertina de L’Espresso è l’ultimo attacco a quel pezzo di credibilità rimasto alla Ferragni: la donna imprenditrice che vince perchè ha racimolato soldi. In pochi hanno letto le notizie diffuse sui media un pò di anni fa che vedevano il brand Ferragni essere messo in vendita sul mercato anche per una esposizione finanziaria dovuta da una situazione debitoria sulla carta di piccolo conto. Se però le cose stanno come dice L’Espresso, la realtà sullo stato di salute delle sue società potrebbe essere diversa.
Riflessioni alle reazioni
Molti hanno reagito alla copertina della Ferragni con stupore ed indignazione, ma fa riflettere in realtà il fatto che nessuno abbia letto l’articolo e soprattutto tutti, dinanzi ad una persona che si presenta in un modo e dimostra di essere diverso da come viene descritto, lo apostroferebbero come un pagliaccio.
E fa male essere presi per i fondelli da un pagliaccio … questo nessuno ha il coraggio di ammetterlo.
Editoriali
Solo ora si accorgono del problema televoto e giornalismo musicale
Leggo molte critiche al “cartello di giornalisti” che ha boicottato la vittoria di Geolier a Sanremo. Sono davvero convinto che sia andata così, ma sono certo della tanta “colleganza” che oggi predica bene, ma ha sempre razzolato male per quel che concerne il discorso di “cartello”.
E non riguarda solo la musica, ma anche il calcio, la politica … quindi di cosa parliamo?
Qualche settimana fa fui molto chiaro: chi tratta moda, spettacolo, musica e gossip non si può considerare giornalista.
Chi lo fa dal punto di vista della critica diversamente lo è e vi assicuro che assistiamo a tanti giornalisti sportivi, che hanno visto milioni di partite, e non capiscono di calcio. Vediamo chi dei nostri farà un esposto all’Ordine per quel collega che ha commentato di non far votare la Campania.
Altra cosa: il 90% dei giornalisti che la criticano, non avrebbe avuto il coraggio di fare quell’indegna domanda, ma fondata, a Geolier sul risultato ottenuto “più per i suoi ospiti che per la sua performance”.
Così come hanno fatto più danni dei ladri di polli sanremesi quelli che hanno applaudito Presidenti del Consiglio e Ministri della Sanità nefasti.
Editoriali
Geolier a Sanremo rutta in napoletano. Perchè è un problema per i nativi digitali
Parliamoci chiaramente, questo qui, Geolier, è diventato famoso per una canzone che descrive il livello di tamarraggine napoletana che si manifesta “rint a n’audi nera opaca” dove magari ci si sballa pure.
Nello stesso brano cita tutte marche di lusso … che rappresentano quello stile di vita a cui ambiscono le baby gang che ieri hanno occupato la prima del tg5 nonostante a Napoli siamo in un periodo d’oro rispetto al resto del paese.
Amadeus quest’anno farà come la De Filippi, punta sul lato più becero della napoletanità fatto di lusso a debito che poi si sposa con il mondo degli influencer e della moda. Conferma anche di sapersi nascondere bene dietro l’equazione “è seguito, quindi può anche essere pericoloso e di scarsa qualità, ma è forte“
Che poi è il modello che i genitori evitano di caldeggiare per i propri figli, ma puntualmente vengono smentiti da social e tv. E la risposta è “il ragazzo fa numeri”.
Tra l’altro, il monologo in napoletano dell’anno scorso al festival ha anticipato la sua presenza ed era davvero pessimo, tanto da farmi prendere le distanze da un mio compaesano.
Questa non è Napoli e soprattutto non è l’evoluzione della napoletanità da tramandare alle nuove generazioni.
Perchè qui non si discute Geolier l’artista, che merita di fare il suo percorso e di vincere Sanremo, ma di Geolier che parla a nome dei napoletani. Ognuno si sceglie gli ambasciatori che merita, di certo non è una casa di moda o un affarista come Amadeus che decidono chi debba rappresentare un’intera città.
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