Inchieste
La propaganda occidentale ha perso: ecco le armi “spuntate” messe in campo dai media
L’informazione può fare molti danni ed il caso Tortora lo ha dimostrato già a suo tempo in modo esauriente. Quanto osservato fino ad oggi della guerra tra Russia e Ucraina non è altro che una strategia coordinata e cross mediale per spingere determinate informazioni con una finalità di legittimazione popolare verso le scelte del Governo.
Nessuno può negare l’orientamento dell’esecutivo Draghi, la storia professionale e curriculare del premier è eloquente, ma l’Italia ha dimostrato molta maturità nei confronti di una attività nemmeno camuffata della stampa che ha deciso da subito l’indirizzo editoriale da seguire perdendo ulteriori consensi e regalando nuovi utenti ai gruppi Telegram o ai social come Twitter , utilizzato dagli stessi giornalisti come fonte di notizie, e TikTok dove si annida spesso la disinformazione.
L’informazione sul conflitto russo ucraino ha vissuto fino ad oggi tre fasi:
- Chiusura totale e censura
- Apertura a pensieri dissidenti
- Equilibrio
Proviamo a dare una lettura analitica sulle tesi che motivano questa classificazione temporale dell’informazione nei primi 60 giorni di guerra, usando come riferimento fatti che si sono manifestati nel mondo in coincidenza con molte delle linee politiche e programmatiche dettate da soggetti esterni al BelPaese.
L’inizio della propaganda occidentale
In primo luogo, scoppiata la guerra, si è chiuso da subito il perimetro delle informazioni provenienti dalla Russia soprattutto quando sono iniziate le prime sanzioni ed è stata individuata la strategia da parte della NATO di descrivere il nemico, unitamente ai suoi fedelissimi oligarchi, come un animale, criminale e indegno di avere a che fare con l’Occidente.
Il primo effetto, scaturito dalla primissima censura verso la libertà di espressione attuata dall’Unione Europea verso le redazioni russe, è stato quello dell’allontanamento delle voci e dei pareri di tutti coloro che non erano d’accordo con la narrativa intrapresa dalla diplomazia atlantica. Tra i vari esempi c’è quello della sospensione dei collegamenti da Mosca motivati dall’introduzione della legge che prevede 15 anni di carcere per chi formula considerazioni non in linea con il Cremlino e che ha necessitato di una tutela preventiva dei giornalisti impegnati sul suolo russo.
Tutti noi conosciamo la storia della giornalista russa che ha esibito un cartello “blasfemo“, perchè controcorrente, nella televisione gestita dal Governo di Putin dove lavorava ed è stata posta in stato di fermo dalle Autorità Russe, le quali hanno comminato una multa salatissima considerando gli standard dei salari del paese. L’evento più interessante di questa storia, però, è stato l’epilogo: la giornalista non è in carcere e collabora attualmente con un giornale tedesco dove scrive quello che le pare.
Questo non vuol dire, sia chiaro, dimenticare le vittime che il governo di Mosca ha totalizzato nel tempo e che lo collocano tra i primi posti con le 300 “penne” spezzate in 15 anni, ma non si può non evidenziare che il problema non fosse la “salute” dei giornalisti inviati dall’estero, bensì altro.
Quell’altro è rappresentato dal fatto che l’isolamento della Russia, ha fornito agli occidentali un’unica scena narrata secondo le veline di alcune agenzie internazionali che ancora oggi traggono spunto dalle fonti dell’intelligence Ucraina.
Un passaggio sui servizi segreti ucraini è dovuto per aiutare a comprendere come spesso la comunicazione sia gestita in guerra dall’intelligence e non esclusivamente dai giornalisti che hanno l’obbiettivo di raccontare quello che vedono. Il presidente Zelensky ha emendato nel pacchetto di leggi marziali del suo paese anche un regolamento che assegna la comunicazione del governo ad una associazione americana inserita da tempo sul suolo ucraino. Non è escluso che le comunicazioni ai media atlantici siano filtrati dalle due agenzie dei paesi coinvolti attivamente nel conflitto: Inghilterra e USA
Guarda caso da quando sono scoppiati i primi tafferugli del 2014, leggi qui la notizia.
In un momento dove l’occidente non aveva voci alternative e dove molti si sono dovuti affidare ai canali Telegram e addirittura alla cinese TikTok per avere un informazione non censurata, la qualità delle informazioni non sempre è eccellente.
L’informazione italiana ha seguito in modo coordinato la politica editoriale presente sui maggiori social occidentali: censura totale, stretta sui profili, algoritmi di visibilità potenziati più per l’asse Nato-Ucraina-Europa. Per indurre molti creatori di contenuti ad osservare questo suggerimento, liberi da logiche editoriali perché imprenditori di se stessi sul web, si è da subito colpita la monetizzazione dei contenuti considerati controversi ed è facile intuire il parametro di valutazione dello status “controverso” se le aziende hanno residenza legale negli USA.
Questa operazione ha sortito due effetti:
- Meno contenuti sul tema di non giornalisti perché impauriti da penalizzazioni e mancati guadagni
- Con l’esclusione delle testate russe dai social, si è imbottigliata la comunicazione e la promozione di informazioni pilotate sull’asse atlantico, creando così una voce unica sulla narrazione della guerra.
Nonostante la partita fosse chiusa, ci hanno pensato gli stessi media ed i stessi giornalisti a commettere dei gravi errori che ne hanno pregiudicato la propria reputazione:
- Negare l’esistenza del Battaglione Azov, con addirittura articoli di vecchia data cancellati dai siti, come nel caso de La Stampa.
- Negare l’esistenza di un fronte ultranazionalista con simbologia nazista che da tre anni conviveva con un presidente di origine ebraica, che ne ha accolto in parte nell’esercito che utilizza anche esso simboli che ricordano le stagioni del Reich.
- Negare gli interessi diretti del presidente degli Stati Uniti in Ucraina con il figlio a rappresentarlo
- Negare l’esistenza di una forte attività americana sul territorio da anni con sovvenzionamenti di media e associazioni di protesta
- Utilizzare video “fake” della guerra
- Utilizzare frame di videogiochi per descrivere bombardamenti e azioni belliche in corso
- Qualche scivolone in tv come quello dell’Annunziata o dei giornalisti inviati che mimavano una corsa ai ripari da finti scoppi o attacchi aerei.
- L’annuncio ripetuto della fine degli armamenti russi dopo appena 10 giorni. Ad oggi siamo ancora in guerra.
- Lo sminuire che ci sarebbero stati problemi di natura economica per gli italiani (dai sacrifici sui pochi gradi dei condizionatori, siamo arrivati in meno di una settimana con l’inflazione alle stelle e aumenti vertiginosi di benzina e bollette).
- Aver sponsorizzato la cancel culture nei confronti della Russia
- Nascondere l’esistenza della propaganda Ucraina e dell’Occidente
La lista non è completa, sfugge sicuramente qualcosa, ma è già abbastanza lunga per rendere l’idea di tutti gli errori commessi dall’informazione nella prima fase della guerra. Errori che non sono passati inosservati ad un popolo già tramortito, sedotto e tradito in occasione del COVID. D’altronde la pandemia è sempre stata considerata una “guerra contro un nemico invisibile” e chi non seguiva la linea imposta dallo stato “per vincere insieme“, era considerato un nemico della collettività.
Il Papa “filoputin” che ha salvato la diversità dell’informazione
Tra le persone ostili della stampa “Atlantica” è finito anche Papa Francesco che ha rotto il muro di censura e propaganda eretto dall’Occidente per giustificare ogni scelta strategica indirizzata sempre più verso uno scontro bellico.
Attaccare il massimo esponente della chiesa cattolica non è ancora permesso oggi, ma molti hanno pensato che sarebbe stato meglio ignorarlo quando si “è vergognato dell’aumento delle spese militari” . Paolo Liguori e Piero Sansonetti hanno denunciato la inusitata poca rilevanza fornita dai media al Santo Padre su una dichiarazione del genere ed in più si aggiunge una lettera scritta da inviati di guerra in pensione che denunciano la scarsa abilità narrativa ed equilibrio degli attuali colleghi sul campo di battaglia: per lo più giovani e nemmeno scritturati con contratti stabili ed onorevoli come quelli dei giornalisti di un tempo e su cui il popolo della rete ha espresso sin da subito massima solidarietà.
Nel bel mezzo delle polemiche, sbuca il professore Orsini che ha attirato l’attenzione su di sè per le sue tesi accademiche in forte contrasto con la narrazione avuta fino alla sua venuta “mistica” perchè in coincidenza con quella di Papa Francesco. Il caso Orsini è servito al pubblico per comprendere che fino a quel momento c’era un’unica voce, ma quello che ha fatto emergere ciò non sono state le teorie alternative, ma il trattamento che è stato riservato al nuovo “esperto” in questi mesi da tutti coloro che avevano acquisito una forte visibilità sui social e nelle televisioni ed avevano espresso un pensiero preponderante sulla necessità di armarsi, di accendere lo scontro con un “animale criminale” di guerra, di non preoccuparsi del cedere un pò di serenità economica e “ambientale” per dei diritti più nobili, arrivando addirittura ad associare la resistenza ucraina a fatti storici come la shoah, o la Resistenza italiana, smentita dallo stesso stato di Israele con una dichiarazione dell’allora premier Bennet.
Per comprendere lo sgomento e la preoccupazione di chi aveva tutto il successo su di sè con slogan divisivi, bisogna mettersi nei panni di un giornalista che vive di visibilità, a volte senza contratto stabile, che fino ad un momento ha avuto la strada in discesa perché abile comunicatore e indisturbato rispetto a chi subisce sanzioni ed è costretto ad evitare di esprimere la sua opinione altrimenti viene tagliato dal circuito sociale digitale. All’improvviso, però, trova un intralcio alla sua attività comunicativa a causa di un disturbatore che di mestiere si occupa proprio di conflitti e ne ha tutti i titoli.
Quello che ha svegliato molte coscienze sul fatto che mancava qualche pezzo non è stata l’apparizione di Orsini, ma il trattamento che gli è stato riservato da chi aveva il controllo totale ed il dominio della scena cross mediale italiana.
A sentire l’odore “dell’audience che si impenna” è stato per primo Corrado Formigli che ha posto molta fiducia nelle tesi del professore della Luiss, censurato dalla sua stessa università che ha poi visto un altro suo docente a contratto nominato giudice nella commissione internazionale sui crimini di guerra.
Lì Orsini ha mietuto le prime vittime sul campo di battaglia vincendo a mani basse il confronto con i giornalisti Calabrese e Parenzo, il primo sempre corretto seppur molto ironico, il secondo già conosciuto al pubblico per i suoi comportamenti politicamente scorretti, ma mai basati su informazioni concrete.
La vittoria professionale di Orsini c’è stata invece quando si è confrontato con Nathalie Tocci, direttore dell’Istituto degli Affari Internazionali. Mentre con i giornalisti c’è stato un confronto tra mondi diversi, con la Tocci, Orsini si è confrontato sul campo e quando la partita era persa per la direttrice del prestigioso Think Tank italiano è partito l’attacco personale
“come fa ad essere esperto di Ucraina se non ha rapporti sul luogo“.
La prima vera arma spuntata dei media e dei social media atlantici, che ne ha fatto emergere il modus agendi, è stata proprio lei che a quanto pare non ha avuto molta difficoltà a continuare il suo conflitto personale con il professore che l’ha umiliata su altri organi di stampa nella qualità di editorialista dove ha provato a recuperare i limiti delle sue prestazioni televisive con qualche editoriale sulla “comunicazione“.
Un altro casus belli tutto italiano che ha risvegliato le coscienze di un pubblico stranito da una comunicazione appiattita ha riguardato sempre il professore Orsini e precisamente quando Bianca Berlinguer gli ha proposto un contratto in RAI ed il Partito Democratico, tramite l’onorevole Romano, ha negato al docente della LUISS di essere ingaggiato nello staff del programma con una consulenza. Messo alle strette sul portafogli, Orsini ha spiazzato tutti proponendosi gratis facendo scattare la scintilla di una escalation di offese giunte da più parti coalizzate contro la sua maggiore esposizione mediatica come analizzato nell’analisi OSINT su Orsini. Bianca Berlinguer, come Formigli, ha subito feroci attacchi per la sua scelta di invitare Orsini e anche la professoressa de Cesare, anch’ella bersagliata da commenti addirittura sessisti sui social.
Leggi analisi OSINT su Orsini.
Nel mentre, è esploso il caso del battaglione Azov, e Massimo Gramellini, che ha offeso pesantemente e ripetutamente Orsini sulle pagine del Corriere, in tv da Fazio ha addirittura citato un detto ebraico per assolvere il capo del battaglione Azov, indignando moltissime persone sui social e facendo un evidente autogoal in virtù del fatto che sono venute fuori notizie da Mariupol dove non è del tutto certo che il battaglione Azov chiedeva corridoi umanitari per salvare i civili intrappolati visto che secondo molti analisti bellici sembrerebbe stia utilizzando le persone, “recludendole” di fatto nell’acciaieria Azovstal con il fine più opportunistico dello scudo umano e finalizzato ad ottenere un calo dell’impeto di attacco dei russi, che, tra l’altro, in questi mesi di sconfitta su tutti fronti secondo i media occidentali, hanno portato a casa le aree strategiche nel sud del paese da loro invaso.
Questi sono alcuni casi di giornalisti illustri che hanno perso le staffe dinanzi ad una contrapposizione al loro pensiero ed hanno sfoggiato una licenza di offesa che non è riservata a tutti, godendo di una impunità sociale che ha lasciato il pubblico dubbioso e sospettoso sull’eventuale esistenza di un gruppo di influenza concentrato a gestire, monopolizzandola, la comunicazione bellica del conflitto ucraino nello spazio crossmediale composto da social, tv e stampa.
Nel mentre di uno scontro, degno del miglior periodo del Covid e dei Greenpass, i sondaggi hanno incominciato a diffondere delle notizie non proprio confortanti sui pareri dell’opinione pubblica nei confronti del Governo e delle sue scelte belliche. Secondo gli italiani, una cospicua maggioranza, “le armi non devono essere inviate agli ucraini“, hanno sentenziato ed ecco che si è arrivati a manipolare graficamente sondaggi invertendo il colore del rosso e del verde per confondere il lettore su una risposta negativa, trasformandola “a vista” come positiva.
Non solo giornalisti e influencer, ma anche società dedite alla elaborazione di sondaggi demoscopici.
Un altro fronte di ostili non è collegato a questioni atlantiche, ma a dinamiche politiche come nel caso del Fatto Quotidiano accostato al Movimento Cinque Stelle e ai trascorsi del partito di Grillo con i russi. Il giornale di Travaglio ha scatenato un fronte giornalistico più concentrato sulle aderenze con Putin del partito di Conte piuttosto che in difesa delle ragioni atlantiche. La Lega invece è sparita dai radar dopo la brutta figura internazionale di Salvini in Polonia, che è ritornato a chiedere la pace nell’ultimo periodo e a scongiurare l’invio di armi.
Un altro caso degno di nota è stato l’attacco di Gianni Riotta nei confronti di Lucio Caracciolo, stimato giornalista e analista geopolitico italiano, che per mesi è sfuggito alle critiche del cartello atlantico concentrato sui Travaglio boys, di Cesare e Orsini, ma è stato raggiunto da un anatema del più alto esponente del giornalismo Italiano autodichiaratosi atlantico. Peccato per Riotta, però, che non solo Enrico Letta, mandante morale degli attacchi politici a Orsini, ha preso le distanze dalle sue affermazioni essendo anche egli parte del comitato scientifico di Limes. Il brutto colpo riservato all’impavido giornalista e professore universitario a contratto negli USA l’ha riservato La Stampa, il suo stesso giornale, perchè ha ospitato un editoriale di Caracciolo, prendendo da subito le distanze dallo stesso Riotta. Caracciolo è stato protagonista indiscusso della trasmissione Otto e Mezzo di Lilli Gruber che è meritevole di aver dato ha dato vita alla terza fase. Proprio dalla Gruber, Massimo Giannini ha provato a ripulirsi la coscienza dicendo che il suo giornale “non va verso il pensiero unico, perchè ospita gli editoriali di Caracciolo“. Fino a pochi giorni fa però era possibile vedere un articolo sull’Azov nazista cancellato e gli affondi della Tocci su Orsini.
Dopo lo scontro, il riequilibrio
Mentre lo scontro imperversa su Orsini a cui viene contestato addirittura di “guadagnare soldi con uno spettacolo in teatro e con editoriali sul Fatto“, la Gruber ha lanciato la terza fase comunicativa della guerra in Italia. Con Caracciolo in studio con analisi sempre imparziali e difficilmente inquadrabili nel gioco di filoputin o meno, mai scontate come quelle della Tocci o di Orsini, la Gruber detiene lo scettro dell’informazione bellica in Italia con una trasmissione sempre bilanciata e con ospiti di primissimo piano senza però cadere nella comunicazione di propaganda nonostante le sue affiliazioni note oramai a molti.
Il salotto di Otto e Mezzo è stato il primo a dare spazio ai giornalisti russi e questo ha riaperto il dibattito tra i due mondi diversi ed ha spianato la strada non solo a tesi pacifiste, ma a quella che definiremmo propaganda bellica sovietica e che qualcuno ha provato a censurare ultimamente proprio con questa motivazione e lo studio dell’ex giornalista RAI non ha mai dato spazio ad Orsini, dimostrando di non aver bisogno del caso mediatico per imporsi nell’informazione.
Altra nota di merito per Andrea Purgatori, colpevole in passato di aver utilizzato le stesse immagini del videogioco riutilizzate oggi dai media, ha proposto un racconto slegato dall’instant news, fornendo un approccio storico seppur contemporaneo al conflitto ucraino, salvandosi per il momento dalle polemiche che hanno colpito tutti gli altri.
Non sappiamo quanto durerà questo momento di apertura a tutte le voci visto che è già partito l’attacco della Vigilanza alla veste democratica ripristinata nelle emittenti pubbliche, che ha chiesto al Copasir di indagare sulle eventuali annessioni dei giornalisti invitati nei confronti televisivi con il fine di verificare se sono parte attiva dell’intelligence del Cremlino.
Ovviamente lo sono, ve lo diciamo noi, ed è chiaro più di quanto siano aderenti ai nostri servizi e quelli di altri paesi molti giornalisti italiani.
Anche in questo caso è stata visibile l’insofferenza di chi ha avuto grande spazio con licenza di offendere coloro che non sono allineati con le posizioni atlantiche e Repubblica, nel dare la notizia della Commissione di Vigilanza Rai, ha pubblicato per un momento la foto di Orsini come se fosse il docente sia una spia sia un giornalista.
Ancora più calzante il fatto che la corrispondente italiana del Financial Times in Italia ha dato per certa l’annessione del docente universitario ai Servizi Russi senza rettificare come invece fatto da Repubblica che ne ha sostituito la foto perchè Orsini non è giornalista, ma un docente universitario che ha lavorato per i servizi italiani.
Anche il caso di Floris a Di Martedì che ha invitato il pubblico a non applaudire alle tesi di Fulvio Grimaldi non proprio dolci contro il sistema Ucraino, ma il suo invito non è stato accolto da chi rappresenta il popolo in una delle tante trasmissioni televisive, che ricordiamo essere in buona parte contrario alle armi secondo tutti gli ultimi sondaggi commissionati fino ad oggi.
Nonostante le polemiche sul presidente ANPI, dove è stata sguinzagliata la Segre, agli italiani non torna del tutto la storiella dei “nazisti utili” proprio perchè per anni la nostra Repubblica si è dichiarata antifascista.
Beppe Severnini, invece, da sponsor e promotore della strategia NATO-UE, ha nell’ultimo periodo aperto alla necessità di dialogo per giungere ad una trattativa finalizzata alla tregua e questo fa più sperare che comprendere le aperture alla stampa russa come un modo di scandire tempi maturi utili ad avviare un dialogo tra popoli in conflitto.
Si distendono i toni perché si sta assestando lo scenario bellico? Speriamo sia così!
Indipendentemente dall’evoluzione della guerra, chi si è mostrato al pubblico come detentore dei valori della libertà di espressione, dopo mesi di accuse personali rivolte a terzi, offese e sfottò oggi è rimasto con il cerino in mano.
Il dubbio che rimane a molti, sempre più distanti dal credere ai media soprattutto per questi motivi, è se i megafoni della propaganda occidentale, spesso giornalisti, intendono quanto letto in precedenza e visto in questi mesi il modo di fare giornalismo.
Oppure hanno svolto senza riuscirci il lavoro per cui sono pagati visto che la propaganda occidentale ha fallito a causa del loro modo di essere “armi spuntate”?
Inchieste
Apple sempre più in basso: crisi annunciata e pubblico deluso
Apple ha presentato l’iPhone 16 e tutta la serie Plus, Pro e Max, e la crisi è stata confermata dalla delusione generale del pubblico. La presentazione ha mostrato una società vecchia, stantia, che continua a propinare innovazioni in termini di salute e gestione dei dati e, allo stesso tempo, propone il suo modo di essere un’azienda carbon neutral che interessa pochi dopo il fallimento delle politiche green su scala mondiale. Nella sostanza
Apple non è stata in grado di stupire il suo pubblico.
Tant’è vero che si aspetta già l’iPhone 17 e le novità annunciate su telefoni ultra sottili e addirittura pieghevoli in un futuro non tanto vicino. Nonostante l’ottima velocità di ricarica e un sistema AI interessante per la gestione delle immagini presenti sul dispositivo e la elaborazione di quelle acquisite attraverso la fotocamera, il mercato offre un interesse generale verso prodotti meno costosi e anche più performanti sotto diversi punti di vista tra cui il prezzo.
Apple poco Intelligence
Il problema di Apple, come già detto in precedenza, è quello di non essersi evoluta nel campo dell’intelligenza artificiale. Una tecnologia che oggi copia da ChatGPT con cui ha un accordo ed è difficile prevedere che possa sganciarsi in futuro. Questo ha reso Apple indietro nel periodo storico delle AI, dove marchi concorrenti come Samsung, Huawei, Honor e Oppo sono molto più avanti e si giocano la carta della tecnologia proprietaria, che porta a miglioramenti più repentini consentendo di essere sempre avanti. Dal punto di vista del processore, Apple ne ha sviluppato uno nuovo, l’A18, che si articola anche in una versione più prestante come quella Pro con maggiori capacità neurali per sostenere Apple Intelligence.
Cupertino soffre il Sud-Est Asiatico
Un altro problema è l’insidia cinese. Sebbene in Cina si stia adottando una politica in cui i cellulari più performanti sono riservati solo al mercato interno, Apple è stata surclassata dalla presentazione del primo telefonino a tripla piegatura, il Trifold di Huawei Mate XT, avvenuta il 10 settembre: giorno successivo al suo evento. Qualsiasi innovazione presentata all’interno dell’evento “It’s Glowtime” di Apple è passata inosservata di fronte a questo vero salto tecnologico. Salto tecnologico in cui Apple, al momento, è assente, e si aspetta il 2025, se non il 2026, per vedere il primo pieghevole da Cupertino.
Analisti seri e non FanBoy: crisi Apple nota da tempo
Un’altra azienda che dovrebbe riflettere sui suoi limiti sempre più evidenti al pubblico affezionato, ma noti da tempo agli analisti seri, e per confermare le difficoltà attuali Apple ha presentato gli AirPods di quarta generazione non tanto sulla tecnologia dei suoi prodotti, bensì sulle caratteristiche di un servizio per gli anziani e per coloro che non hanno un udito perfetto, utilizzandoli come sostituti degli apparati uditivi. Questo aspetto dovrebbe far riflettere su come Apple stia cercando di vendere un prodotto altamente tecnologico che ad oggi non ha, puntando sui servizi da vendere ai suoi fan facendo breccia in un segmento, quello medico, dove è possibile avere dati e vendere beni immateriali.
A questo, si aggiungono alle poche novità proposte da iPhone, le difficoltà di espandere Apple Intelligence in Europa, dove incassa multe salatissime, nei tempi previsti per il lancio negli Stati Uniti, ma anche nel mancato lancio dell’Apple Watch Ultra 3, che sarà presentato nei prossimi mesi. Questa défaillance non è stata gradita da chi si aspettava un evento scintillante e pregno di tecnologia. Il lancio dell’Apple Watch Ultra 2 di seconda generazione non ha fatto altro che confermare le voci che, da mesi, Matrice Digitale ha proposto sotto forma di analisi: Apple non potrà fallire, ma gli investimenti sbagliati sul Vision Pro, che troverà utilità solo quando l’umanità sarà capace di accedere totalmente ai visori, e il ritardo con l’intelligenza artificiale, hanno messo l’azienda in profonda crisi tanto da mettere in discussione la dirigenza storica capitanata da Tim Cook che ha reso nell’ultimo periodo l’azienda “malata”.
Tuttavia, queste questioni interessano poco il consumatore, che oggi, invece di confermare l’upgrade del proprio iPhone, sta iniziando a riflettere su cosa acquistare: se un iPhone 16 Pro Max, un Samsung S24 Ultra, o addirittura attendere l’S25 Ultra, considerato uno dei migliori cellulari in arrivo, oppure optare per prodotti cinesi, che offrono prestazioni eccellenti, soprattutto nel campo della fotocamera e dell’intelligenza artificiale applicata alla fotografia ed ai servizi offerti da Google.
Apple punto di riferimento. Nel Design
Oggi Samsung copia Apple nel design e non si avvicina alle caratteristiche dei prodotti cinesi, nonostante la loro eccellente qualità. Honor, per esempio, ha preso in giro gli utenti Samsung perché il suo smartphone è molto più sottile del Galaxy Z Fold, anche se i cinesi hanno un problema con il design dei loro Flagship. Una fotocamera performante richiede un design più bombato e questo non piace agli utenti Apple. D’altra parte, mentre i cinesi producono dispositivi potenti con design imperfetti, Samsung cerca di somigliare sempre di più ad Apple, con l’obiettivo di rubare quote di mercato, soprattutto in Corea del Sud. C’è da dire però che gli utenti di iPhone 16 e 16 plus potrebbero trovare giustificato un upgrade che sui modelli più costosi non vale la pena.
Questa sfida conferma due dati: Apple è in profonda crisi di identità, Samsung punta al sorpasso nei mercati occidentali, e i cinesi stanno recuperando terreno tecnologico, rischiando di superare entrambe le aziende.
Inchieste
NAFO: i propagandisti di Kiev che minacciano il Governo
Il contesto della guerra cibernetica a margine del conflitto ucraino vede due attori sui social media che si affrontano dal 24 febbraio 2020: i NAFO e la propaganda russa.
I NAFO (North Atlantic Fellas Organization) sono un gruppo informale nato online che si distingue per il suo supporto all’Ucraina e la sua opposizione alla propaganda russa, soprattutto nell’ambito del conflitto tra Russia e Ucraina, ma non disdegnano l’appoggio a Israele nella sua operazione speciale controversa in quel di Gaza ed appoggiano le politiche europeiste dell’attuale establishment. Il movimento ha iniziato a prendere forma durante il conflitto del 2022, assorbendo alcuni pezzi della bestia di Salvini “facciamorete”, diventando noto per le sue attività sui social media, dove contrasta la disinformazione e la propaganda filo-russa attraverso meme, battute satiriche e interventi diretti sui post online.
Secondo la “leggenda“, la comunità NAFO è composta principalmente da utenti sui social media che si identificano come “Fellas” e che usano immagini del cane di razza Shiba Inu come avatar. Le loro attività includono la raccolta di fondi per le forze armate ucraine e la diffusione di contenuti che promuovono la causa ucraina. I NAFO agiscono in gran parte in maniera umoristica, ma hanno avuto un ruolo significativo nel contesto della guerra cibernetica per quel che riguarda la battaglia dell’informazione online. Si definiscono attivisti digitali, ma ci sono più riferimenti che li associano ai servizi di intelligence della NATO ai livelli più alti e godono di una rete internazionale composta da utenti autentici e botnet. Chi li definisce semplici attivisti digitali, commette l’errore di associarli solo alla parte “ludica”, ma c’è un aspetto che viene sottovalutato o appositamente ignorato ed è quello delle pressioni che esercitano sull’opinione pubblica non sempre con toni democraticamente e politicamente corretti.
I NAFO su X
Il contesto NAFO è sicuramente interessante per analizzare chi sono e cosa propongono coloro che alimentano in Italia la propaganda ucraina, russofoba e bellicistica che fa il gioco dell’ala più intransigente della NATO che spinge per l’escalation del conflitto. I NAFO in Italia non sono tanti. Secondo una analisi esclusiva di Matrice Digitale effettuata dal 1 gennaio 2022 al 31 agosto 2024, nel giro di due anni il dibattito alimentato dalle parole NAFO o Fella, oppure Fellas, ha realizzato complessivamente 197.067 tweet, racimolando 2.289.602 mi piace, 293.724 condivisioni ed un totale di 44.419 citazioni, scatenando 216.439 commenti. Un volume all’apparenza abbastanza limitato se consideriamo la portata di tutto il conflitto tra Russia e Ucraina sui social, ma questo dato dovrebbe far riflettere sulla qualità dell’impegno da parte degli stessi NAFO che si basa su una quantità di 3.500 utenti dichiarati circa (e cioè che presentano le parole chiave nei nick e nei nomi visibili) che hanno generato nella sola Italia 158.364 post, totalizzando 1.250.066 like, 138.509 condivisioni, 17.203 citazioni e solo 126.749 commenti. Considerando che 3.500 unità non sono poche se si considera l’attività quotidiana di rilancio, menzioni e commenti che hanno l’obiettivo di osannare o delegittimare a seconda dell’utente che entra nel vortice.
I NAFO più attivi in Italia
Un altro aspetto che non va sottovalutato è che ci sono 25 account che hanno totalizzato in tutto una miriade di tweet. Si parte da Alessandra Zardo che ne ha realizzati addirittura 16.138 in due anni e mezzo, seguita da Spunta bau con 14.077. In due anni possiamo affermare tranquillamente che hanno una media spropositata di almeno 20 tweet al giorno per la causa Ucraina in cui rientra anche The Sgnaus Fella. Gli altri 23 hanno totalizzato una media di minimo 4 tweet al giorno. In alcuni casi sarebbe opportuno domandarsi se si tratta di bot o semplicemente esseri umani al soldo di un qualche battaglione ufficiale o non dell’esercito regolare NATO.
I profili più commentati
Per quanto riguarda invece la questione dei commenti su cui si cimenta la comunità NATO, figurano dei nomi illustri come quello del Ministero degli Affari Esteri della Russia, e dell’hacker KimDotCom, che ha denunciato più volte l’inefficacia dei NAFO al di fuori della rete internet ed ha realizzato anche un video che dimostra come i link pubblicati su X verso YouTube perdono efficacia nell’engagement confinando il fenomeno alla sola X. Dall’altra parte del conflitto c’è ampio sostegno al Ministero della Difesa Ucraina che più volte ne ha ringraziato il collettivo per la sua attività e la Premier Estone Kaya Kallas: anche lei si è complimentata pubblicamente con la community dei NAFO per essere stata vicina all’Ucraina ed alla NATO nella lotta cibernetica contro la Russia.
Kimdotcom ha più volte parlato dei NAFO nei suoi tweet accusandoli di non essere solo una forza volontaria di partecipazione alla guerra cibernetica russa ascrivendoli all’apparato militare, ma ha anche denunciato che le loro attività sono utili nel far percepire alle persone chi è una fonte autorevole e chi non lo è all’interno di attività mirate su internet che premiano o denigrano coloro che si calano nel turbine delle opinioni del dibattito pubblico.
Chi ci guadagna e chi ci perde
Per capire chi siano gli obiettivi costanti dei NAFO e chi gode quotidianamente dei loro elogi e della loro protezione, Matrice Digitale ha stilato una lista dei profili, in ordine discendente per numero, più menzionati nel dibattito NAFO e questo lascia intendere molto al lettore sul perchè di alcuni fenomeni di blasone ed hatespeech su X saliti alla ribalta grazie alla propaganda attiva ucraina sul territorio del Bel Paese
Chi sono i più graditi dalla propaganda atlantista e pro Ucraina?
Non è stato difficile distinguere chi sono i giornalisti che parlano a favore delle operazioni militari di difesa e attacco dell’Ucraina, rispetto a quelli che esprimono pareri molto più vicini alle posizioni del Papa o anche dei russi in alcuni casi. Tra i giornalisti italiani che godono dell’aiuto e del supporto dei NAFO troviamo Daniele Angrisani di FanPage, Marco Fattorini, Jacopo Iacoboni de La Stampa, Giovanni Rodriguez del Foglio, Vladislav Maistrouk, unico ucraino, l’avvocato di Roberto Burioni, Stefano Putiniani, Stefania Battistini che per due anni ha seguito il conflitto da vicino per conto della RAI e congedata con le polemiche dopo l’esclusiva mondiale dell’operazione Ucraina in territorio russo. Troviamo anche il blogger Dario D’Angelo e l’ex Messaggero Cristiano Tinazzi.
Per quanto riguarda invece i soggetti considerati nemici dai NAFO, c’è il giornalista Andrea Lucidi puntato quotidianamente insieme ai profili di Matteo Salvini, Alessandro Orsini, e l’Ambasciata Russa in Italia. Compresa nel dibattito anche Giorgia Meloni che viene apprezzata per il suo aiuto a Zelensky, ma è vittima delle pressioni NAFO affinché si arrivi al conflitto diretto con Mosca. Il politico più gradito dagli attivisti è Carlo Calenda. Ci sono anche profili senza nome che partecipano attivamente alla propaganda dei NAFO in Italia, come Lunacharsky, Punto e Virgola, il Guffanti, la Bombetta Xenomorfa e anche Han Skelsen.
Tra i quotidiani più citati c’è Il “Fatto Quotidiano”, colpito quotidianamente dalle attività dei NAFO per la sua politica contraria alla Nato. Le notizie dell’Ansa, invece, vengono utilizzate per rilanciare gli avvenimenti sul territorio russo-ucraino, seguite dal giornale “La Repubblica” che secondo i NAFO ha atteggiamenti ambigui nel fornire notizie, nonostante sia percepito come favorevole all’Ucraina dall’opinione pubblica.
Analisi dell’autore
Per quanto riguarda la situazione dei NAFO, KimDotCom ha ragione quando sostiene che i NAFO attaccano coloro che non la pensano in un determinato modo ed inoltre c’è qualche collegamento tra movimenti di estrema destra e la comunità LGBTQ+ che stupisce se si fa un’analisi dell’ideologia politica che queste esprimono. Le valanghe di tweet, offese, denigrazioni e delegittimazioni hanno lo scopo di intimidire coloro che si trovano in un vortice di odio e questo è parte di una vera e propria operazione militare. Le pressioni avvengono non solo sugli organi di stampa, ma anche sul governo. Le pressioni su Meloni e Salvini ne sono la testimonianza. Nemmeno il ministro Crosetto è immune, essendo stato accusato di essere responsabile del massacro degli ucraini.
Oramai è nota a tutti la propaganda russa composta per lo più da bot scadenti e che ha ripiegato o su influencer a soldo del Cremlino o su tecniche di Typosquatting come emerso dall’ultima inchiesta dell’FBI, ma la situazione dei bot ucraini e della componente cibernetica che collabora con la Nato ci obbliga a ponderare anche le dichiarazioni che vengono proposte dalla componente antirussa e più vicina al nostro modo di pensare. Sebbene difendere l’Ucraina rappresenti gli interessi del Governo e dell’Occidente, dovremmo chiederci se chi sostiene Kiev e colpisce connazionali italiani con posizioni moderate o diverse rappresenti un rischio soprattutto se si considera il fatto della ramificazione dei servizi di intelligence ucraini, costola storica di quelli russi, attraverso l’ambasciata in Italia. Le accuse in rete verso connazionali dovrebbero essere tollerate ed allo stesso tempo considerate, e monitorate, dalle alte sfere della sicurezza nazionale. Le pressioni dei NAFO minano la libertà di espressione e quella di stampa se agiscono contro la società ed i suoi interpreti restando legittimo il loro intento di spostare l’opinione pubblica verso scelte che favoriscono l’industria bellica e una maggiore offensiva ucraina, anche se con il rischio di un’escalation militare.
Questa riflessione riguarda una minoranza che la pensa diversamente dalla maggioranza degli italiani, schierata contro la guerra e l’escalation del conflitto e nel caso la regia dei NAFO sia straniera, ci troveremmo in casa un caso di ingerenza straniera che tende a minare le attività di Governo, come nel caso di Crosetto soccorso dallo stesso Zelensky in visita al forum di Ambrosetti, e vorrebbe manipolare la coscienza critica di un popolo, quello italiano, che ha deciso da che parte stare secondo i sondaggi effettuati in questi due anni: contro la guerra.
Inchieste
Stretta contro la disinformazione russa e WhisperGate
Tempo di lettura: 7 minuti. Gli Stati Uniti e i loro alleati intensificano gli sforzi per contrastare la disinformazione russa e gli attacchi alle infrastrutture critiche, collegati al GRU con il wiper Whispergate.
Con l’avvicinarsi delle elezioni presidenziali del 2024, gli Stati Uniti e i loro alleati hanno intensificato gli sforzi per contrastare le operazioni di disinformazione e gli attacchi alle infrastrutture critiche attribuiti alle APT russe legate al GRU, l’agenzia di intelligence militare russa. Le operazioni informatiche che coinvolgono queste minacce rappresentano una combinazione di disinformazione mirata a influenzare le elezioni e sabotaggi informatici su larga scala contro settori strategici.
Attacchi alle infrastrutture critiche da parte di APT
Parallelamente, un gruppo di hacker noto come Unità 29155 del GRU è stato collegato ad attacchi informatici contro infrastrutture critiche in tutto il mondo, specialmente in Ucraina e nei paesi membri della NATO. Il gruppo, composto da giovani ufficiali del GRU, ha condotto operazioni di sabotaggio, assassinio e attacchi informatici, specialmente contro il settore energetico e governativo.
Secondo un avviso congiunto emesso dagli Stati Uniti e dai loro alleati, l’Unità 29155 è responsabile dell’uso di malware come WhisperGate per attacchi distruttivi contro sistemi ucraini e globali. Gli Stati Uniti hanno annunciato ricompense fino a 10 milioni di dollari per informazioni utili su alcuni membri del GRU coinvolti in queste operazioni.
Le organizzazioni che gestiscono infrastrutture critiche sono state esortate a prendere misure immediate per migliorare la sicurezza dei loro sistemi, tra cui l’aggiornamento delle vulnerabilità conosciute e l’implementazione di una forte autenticazione multifattoriale per prevenire ulteriori attacchi da parte del GRU.
Disinformazione Russa prima delle Elezioni del 2024
In risposta alle operazioni di disinformazione legate alla Russia, il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti ha sequestrato 32 domini web utilizzati dal gruppo noto come Doppelgänger. Questo gruppo, legato ad agenzie controllate dal governo russo, ha impiegato tecniche come il cybersquatting per creare siti web che imitano testate giornalistiche affidabili. Questi domini sono stati utilizzati per diffondere contenuti falsi e influenzare l’opinione pubblica statunitense, cercando di ridurre il supporto internazionale per l’Ucraina e manipolare le elezioni in vari paesi.
Doppelgänger ha utilizzato tecnologie avanzate, tra cui influencer falsi generati dall’intelligenza artificiale, per ingannare il pubblico e promuovere narrazioni pro-Russia su piattaforme come TikTok, Instagram e X (precedentemente noto come Twitter). Il sequestro di questi domini è parte di una più ampia iniziativa (leggi qui il dossier) volta a prevenire interferenze esterne durante le prossime elezioni.
L’Operazione Doppelganger: analisi dettagliata della propaganda russa
L’era digitale ha cambiato drasticamente il modo in cui l’informazione viene consumata, creando opportunità senza precedenti ma anche rischi significativi. Uno dei più recenti esempi di abuso della tecnologia per scopi malevoli è l’operazione “Doppelganger”, una complessa campagna di disinformazione orchestrata dal governo russo. Questa operazione, descritta in un documento legale presentato dalle autorità statunitensi, ha rivelato l’utilizzo di domini internet cybersquattati per diffondere propaganda russa, minare il supporto internazionale all’Ucraina, e influenzare elettori in diverse nazioni, inclusi gli Stati Uniti. Questo articolo fornirà un’analisi dettagliata dell’operazione, i suoi attori chiave, le tecniche utilizzate e le implicazioni per la cybersicurezza globale.
L’inizio di Doppelganger: Obiettivi e Motivazioni
Secondo quanto riportato nel documento legale, l’operazione “Doppelganger” è iniziata nel 2022 sotto la direzione della presidenza russa, in particolare di Sergei Vladilenovich Kiriyenko, una figura di alto livello all’interno dell’amministrazione del Presidente Vladimir Putin. L’obiettivo principale di questa campagna era di influenzare l’opinione pubblica internazionale a favore della Russia, ridurre il supporto per l’Ucraina e influenzare direttamente le elezioni in diverse nazioni, inclusi gli Stati Uniti.
Le motivazioni alla base di questa operazione erano evidenti: la Russia, attraverso la disinformazione, cercava di minare le democrazie occidentali, diffondendo falsità per screditare le istituzioni e i leader politici pro-Ucraina. In particolare, l’operazione mirava a creare confusione tra l’opinione pubblica, facendo sembrare che notizie false fossero provenienti da fonti affidabili e riconosciute a livello internazionale.
Il Cybersquatting come Strumento di Disinformazione
Un elemento chiave dell’operazione Doppelganger è stato l’utilizzo del “cybersquatting”. Questo termine si riferisce alla pratica di registrare domini internet che imitano quelli di siti legittimi, con l’intento di trarre in inganno gli utenti facendogli credere di essere su una piattaforma autentica. Nell’operazione Doppelganger, domini che replicavano siti di notizie prestigiose come The Washington Post, Fox News e altre testate giornalistiche, venivano utilizzati per pubblicare articoli manipolati, contenenti propaganda pro-Russia.
Questi siti falsi erano progettati in modo tale da sembrare identici agli originali, utilizzando lo stesso layout, loghi e persino firme di giornalisti legittimi. Per esempio, uno dei domini falsi, washingtonpost[.]pm, pubblicava articoli che sembravano scritti da giornalisti veri del Washington Post, ma che in realtà promuovevano una narrazione anti-ucraina e pro-Russia. Questo tipo di inganno non solo confondeva gli utenti, ma minava anche la fiducia nei media legittimi, contribuendo a una generale disinformazione.
Tecniche di manipolazione dei Social Media
Un altro aspetto importante dell’operazione era l’uso massiccio dei social media per la distribuzione della propaganda. Per dirigere il traffico verso i domini cybersquattati, Doppelganger creava profili falsi sui principali social network, impersonando cittadini americani e di altri paesi occidentali. Questi profili falsi postavano commenti con link ai siti falsi nei thread di discussione su piattaforme come Facebook, Twitter e altre, cercando di convincere gli utenti che il contenuto fosse autentico e provenisse da fonti affidabili.
Questa strategia di distribuzione era particolarmente efficace perché sfruttava il potere dei social media per diffondere velocemente informazioni. Gli algoritmi dei social network tendono a promuovere contenuti che generano interazioni, e i link pubblicati da questi profili falsi spesso portavano a discussioni accese, amplificando ulteriormente la portata della disinformazione. Inoltre, l’operazione faceva largo uso di pubblicità a pagamento sui social media, utilizzando persino strumenti di intelligenza artificiale per creare contenuti promozionali che apparivano nei feed degli utenti.
Il ruolo di Sergei Kiriyenko e degli altri attori chiave
Il documento legale presentato dall’FBI evidenzia il ruolo cruciale di Sergei Kiriyenko, figura chiave dell’amministrazione presidenziale russa, nella supervisione dell’operazione Doppelganger. Kiriyenko è stato identificato come uno dei principali responsabili della strategia di disinformazione, agendo sotto le direttive del Cremlino. Gli attori principali che hanno implementato la campagna sono state diverse società russe, tra cui l’agenzia Social Design Agency (SDA), la società Structura National Technology, e l’organizzazione ANO Dialog.
Queste organizzazioni erano direttamente coinvolte nella creazione e gestione dei siti cybersquattati, nella produzione di contenuti propagandistici e nella distribuzione di questi contenuti attraverso i social media. In particolare, SDA e Structura avevano stretti legami con il governo russo e avevano lavorato su numerosi progetti precedenti legati alla promozione degli interessi russi sia all’interno del paese che a livello internazionale.
La finalità Doppelganger: influenzare le elezioni straniere
Uno degli obiettivi principali dell’operazione era quello di influenzare le elezioni in diversi paesi, in particolare negli Stati Uniti. L’operazione mirava a dividere l’elettorato e diffondere narrazioni che favorissero candidati o politiche pro-Russia. Nel caso degli Stati Uniti, la campagna si concentrava sulla promozione dell’idea che il governo americano stesse sprecando risorse nel sostenere l’Ucraina, invece di concentrarsi sui problemi interni del paese.
La strategia per influenzare le elezioni includeva l’uso di “storie false mascherate da eventi di cronaca” e la distribuzione di “meme e commenti di testo” per manipolare le discussioni online. Una parte significativa della campagna includeva l’acquisto di pubblicità mirate sui social media per colpire specifici segmenti dell’elettorato, in particolare in stati chiave e indecisi. Questa pubblicità mirata era supportata da un’analisi in tempo reale delle reazioni degli utenti, consentendo agli attori di adattare la loro strategia in base alla risposta del pubblico calibrando al meglio la disinformazione russa.
Il Ruolo delle infrastrutture tecnologiche e dell’Intelligenza Artificiale
L’operazione Doppelganger non si basava solo su tecniche di manipolazione sociale, ma utilizzava anche tecnologie avanzate per evitare il rilevamento e massimizzare l’efficacia. Per mascherare l’origine delle attività e proteggere l’infrastruttura dell’operazione, i partecipanti utilizzavano reti VPN e server privati virtuali (VPS), che permettevano loro di operare senza rivelare la loro vera posizione geografica.
Un elemento interessante dell’operazione è stato l’uso di strumenti di intelligenza artificiale per generare contenuti propagandistici, come immagini e video. Questi contenuti venivano utilizzati in pubblicità sui social media per attaccare politici e leader occidentali, cercando di manipolare l’opinione pubblica. L’uso dell’intelligenza artificiale rappresenta una nuova frontiera nella disinformazione, non solo russa, poiché consente la creazione di contenuti su larga scala in modo rapido e relativamente economico.
L’impatto delle sanzioni internazionali e delle Azioni Legali
L’operazione Doppelganger non è passata inosservata. Oltre alle indagini condotte dalle autorità statunitensi, l’Unione Europea ha imposto sanzioni a diversi individui e entità coinvolte nella campagna di disinformazione russa. Tra queste, la SDA, Structura e ANO Dialog sono state identificate come attori chiave nella diffusione della propaganda. Le sanzioni mirano a colpire economicamente queste organizzazioni e limitare la loro capacità di operare a livello internazionale.
Negli Stati Uniti, il caso legale descritto nel documento si concentra sul sequestro dei 32 domini cybersquattati utilizzati nell’operazione. Questi domini, considerati proprietà coinvolte in attività illegali, sono soggetti a confisca secondo le leggi statunitensi contro il riciclaggio di denaro e la violazione dei marchi registrati.
Evoluzione delle minacce alla Cybersicurezza
L’operazione Doppelganger rappresenta un esempio allarmante di come le tecnologie digitali possano essere utilizzate per manipolare le opinioni pubbliche, minare la stabilità politica e influenzare elezioni democratiche ed avallare la narrazione della disinformazione russa. Questo caso sottolinea l’importanza di una vigilanza costante da parte delle autorità internazionali e delle piattaforme di social media nel monitorare e contrastare la disinformazione.
Il cybersquatting e l’uso di strumenti di intelligenza artificiale per diffondere disinformazione russa nella creazione di propaganda evidenziano come le minacce alla cybersicurezza stiano evolvendo rapidamente. Per proteggere la democrazia e l’integrità delle informazioni, è essenziale che i governi, le organizzazioni tecnologiche e i cittadini stessi sviluppino strategie più sofisticate per identificare e bloccare le campagne di disinformazione prima che possano causare danni irreparabili. L’operazione Doppelganger non è solo un episodio di disinformazione, ma un segnale di un problema molto più ampio e complesso, che richiederà un impegno concertato a livello globale per essere risolto, ma crea un aspetto pericoloso anche nei confronti della Democrazia non solo come soggetto offeso, ma come istituzione messa a rischio dall’approssimazione nel bollare le notizie contrarie alla linea di governo come russe e quindi errate, false o, addirittura, criminali.
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