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Inchieste

La propaganda occidentale ha perso: ecco le armi “spuntate” messe in campo dai media

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L’informazione può fare molti danni ed il caso Tortora lo ha dimostrato già a suo tempo in modo esauriente. Quanto osservato fino ad oggi della guerra tra Russia e Ucraina non è altro che una strategia coordinata e cross mediale per spingere determinate informazioni con una finalità di legittimazione popolare verso le scelte del Governo.

Nessuno può negare l’orientamento dell’esecutivo Draghi, la storia professionale e curriculare del premier è eloquente, ma l’Italia ha dimostrato molta maturità nei confronti di una attività nemmeno camuffata della stampa che ha deciso da subito l’indirizzo editoriale da seguire perdendo ulteriori consensi e regalando nuovi utenti ai gruppi Telegram o ai social come Twitter , utilizzato dagli stessi giornalisti come fonte di notizie, e TikTok dove si annida spesso la disinformazione.

L’informazione sul conflitto russo ucraino ha vissuto fino ad oggi tre fasi:

  • Chiusura totale e censura
  • Apertura a pensieri dissidenti
  • Equilibrio

Proviamo a dare una lettura analitica sulle tesi che motivano questa classificazione temporale dell’informazione nei primi 60 giorni di guerra, usando come riferimento fatti che si sono manifestati nel mondo in coincidenza con molte delle linee politiche e programmatiche dettate da soggetti esterni al BelPaese.

L’inizio della propaganda occidentale

In primo luogo, scoppiata la guerra, si è chiuso da subito il perimetro delle informazioni provenienti dalla Russia soprattutto quando sono iniziate le prime sanzioni ed è stata individuata la strategia da parte della NATO di descrivere il nemico, unitamente ai suoi fedelissimi oligarchi, come un animale, criminale e indegno di avere a che fare con l’Occidente.

Il primo effetto, scaturito dalla primissima censura verso la libertà di espressione attuata dall’Unione Europea verso le redazioni russe, è stato quello dell’allontanamento delle voci e dei pareri di tutti coloro che non erano d’accordo con la narrativa intrapresa dalla diplomazia atlantica. Tra i vari esempi c’è quello della sospensione dei collegamenti da Mosca motivati dall’introduzione della legge che prevede 15 anni di carcere per chi formula considerazioni non in linea con il Cremlino e che ha necessitato di una tutela preventiva dei giornalisti impegnati sul suolo russo.

Tutti noi conosciamo la storia della giornalista russa che ha esibito un cartello “blasfemo“, perchè controcorrente, nella televisione gestita dal Governo di Putin dove lavorava ed è stata posta in stato di fermo dalle Autorità Russe, le quali hanno comminato una multa salatissima considerando gli standard dei salari del paese. L’evento più interessante di questa storia, però, è stato l’epilogo: la giornalista non è in carcere e collabora attualmente con un giornale tedesco dove scrive quello che le pare.

Questo non vuol dire, sia chiaro, dimenticare le vittime che il governo di Mosca ha totalizzato nel tempo e che lo collocano tra i primi posti con le 300 “penne” spezzate in 15 anni, ma non si può non evidenziare che il problema non fosse la “salute” dei giornalisti inviati dall’estero, bensì altro.

Quell’altro è rappresentato dal fatto che l’isolamento della Russia, ha fornito agli occidentali un’unica scena narrata secondo le veline di alcune agenzie internazionali che ancora oggi traggono spunto dalle fonti dell’intelligence Ucraina.

Un passaggio sui servizi segreti ucraini è dovuto per aiutare a comprendere come spesso la comunicazione sia gestita in guerra dall’intelligence e non esclusivamente dai giornalisti che hanno l’obbiettivo di raccontare quello che vedono. Il presidente Zelensky ha emendato nel pacchetto di leggi marziali del suo paese anche un regolamento che assegna la comunicazione del governo ad una associazione americana inserita da tempo sul suolo ucraino. Non è escluso che le comunicazioni ai media atlantici siano filtrati dalle due agenzie dei paesi coinvolti attivamente nel conflitto: Inghilterra e USA

Guarda caso da quando sono scoppiati i primi tafferugli del 2014, leggi qui la notizia.

In un momento dove l’occidente non aveva voci alternative e dove molti si sono dovuti affidare ai canali Telegram e addirittura alla cinese TikTok per avere un informazione non censurata, la qualità delle informazioni non sempre è eccellente.

L’informazione italiana ha seguito in modo coordinato la politica editoriale presente sui maggiori social occidentali: censura totale, stretta sui profili, algoritmi di visibilità potenziati più per l’asse Nato-Ucraina-Europa. Per indurre molti creatori di contenuti ad osservare questo suggerimento, liberi da logiche editoriali perché imprenditori di se stessi sul web, si è da subito colpita la monetizzazione dei contenuti considerati controversi ed è facile intuire il parametro di valutazione dello status “controverso” se le aziende hanno residenza legale negli USA.

Questa operazione ha sortito due effetti:

  • Meno contenuti sul tema di non giornalisti perché impauriti da penalizzazioni e mancati guadagni
  • Con l’esclusione delle testate russe dai social, si è imbottigliata la comunicazione e la promozione di informazioni pilotate sull’asse atlantico, creando così una voce unica sulla narrazione della guerra.

Nonostante la partita fosse chiusa, ci hanno pensato gli stessi media ed i stessi giornalisti a commettere dei gravi errori che ne hanno pregiudicato la propria reputazione:

  • Negare l’esistenza del Battaglione Azov, con addirittura articoli di vecchia data cancellati dai siti, come nel caso de La Stampa.
  • Negare l’esistenza di un fronte ultranazionalista con simbologia nazista che da tre anni conviveva con un presidente di origine ebraica, che ne ha accolto in parte nell’esercito che utilizza anche esso simboli che ricordano le stagioni del Reich.
  • Negare gli interessi diretti del presidente degli Stati Uniti in Ucraina con il figlio a rappresentarlo
  • Negare l’esistenza di una forte attività americana sul territorio da anni con sovvenzionamenti di media e associazioni di protesta
  • Utilizzare video “fake” della guerra
  • Utilizzare frame di videogiochi per descrivere bombardamenti e azioni belliche in corso
  • Qualche scivolone in tv come quello dell’Annunziata o dei giornalisti inviati che mimavano una corsa ai ripari da finti scoppi o attacchi aerei.
  • L’annuncio ripetuto della fine degli armamenti russi dopo appena 10 giorni. Ad oggi siamo ancora in guerra.
  • Lo sminuire che ci sarebbero stati problemi di natura economica per gli italiani (dai sacrifici sui pochi gradi dei condizionatori, siamo arrivati in meno di una settimana con l’inflazione alle stelle e aumenti vertiginosi di benzina e bollette).
  • Aver sponsorizzato la cancel culture nei confronti della Russia
  • Nascondere l’esistenza della propaganda Ucraina e dell’Occidente

La lista non è completa, sfugge sicuramente qualcosa, ma è già abbastanza lunga per rendere l’idea di tutti gli errori commessi dall’informazione nella prima fase della guerra. Errori che non sono passati inosservati ad un popolo già tramortito, sedotto e tradito in occasione del COVID. D’altronde la pandemia è sempre stata considerata una “guerra contro un nemico invisibile” e chi non seguiva la linea imposta dallo stato “per vincere insieme“, era considerato un nemico della collettività.

Il Papa “filoputin” che ha salvato la diversità dell’informazione

Tra le persone ostili della stampa “Atlantica” è finito anche Papa Francesco che ha rotto il muro di censura e propaganda eretto dall’Occidente per giustificare ogni scelta strategica indirizzata sempre più verso uno scontro bellico.

Attaccare il massimo esponente della chiesa cattolica non è ancora permesso oggi, ma molti hanno pensato che sarebbe stato meglio ignorarlo quando si “è vergognato dell’aumento delle spese militari” . Paolo Liguori e Piero Sansonetti hanno denunciato la inusitata poca rilevanza fornita dai media al Santo Padre su una dichiarazione del genere ed in più si aggiunge una lettera scritta da inviati di guerra in pensione che denunciano la scarsa abilità narrativa ed equilibrio degli attuali colleghi sul campo di battaglia: per lo più giovani e nemmeno scritturati con contratti stabili ed onorevoli come quelli dei giornalisti di un tempo e su cui il popolo della rete ha espresso sin da subito massima solidarietà.

Nel bel mezzo delle polemiche, sbuca il professore Orsini che ha attirato l’attenzione su di sè per le sue tesi accademiche in forte contrasto con la narrazione avuta fino alla sua venuta “mistica” perchè in coincidenza con quella di Papa Francesco. Il caso Orsini è servito al pubblico per comprendere che fino a quel momento c’era un’unica voce, ma quello che ha fatto emergere ciò non sono state le teorie alternative, ma il trattamento che è stato riservato al nuovo “esperto” in questi mesi da tutti coloro che avevano acquisito una forte visibilità sui social e nelle televisioni ed avevano espresso un pensiero preponderante sulla necessità di armarsi, di accendere lo scontro con un “animale criminale” di guerra, di non preoccuparsi del cedere un pò di serenità economica e “ambientale” per dei diritti più nobili, arrivando addirittura ad associare la resistenza ucraina a fatti storici come la shoah, o la Resistenza italiana, smentita dallo stesso stato di Israele con una dichiarazione dell’allora premier Bennet.

Per comprendere lo sgomento e la preoccupazione di chi aveva tutto il successo su di sè con slogan divisivi, bisogna mettersi nei panni di un giornalista che vive di visibilità, a volte senza contratto stabile, che fino ad un momento ha avuto la strada in discesa perché abile comunicatore e indisturbato rispetto a chi subisce sanzioni ed è costretto ad evitare di esprimere la sua opinione altrimenti viene tagliato dal circuito sociale digitale. All’improvviso, però, trova un intralcio alla sua attività comunicativa a causa di un disturbatore che di mestiere si occupa proprio di conflitti e ne ha tutti i titoli.

Quello che ha svegliato molte coscienze sul fatto che mancava qualche pezzo non è stata l’apparizione di Orsini, ma il trattamento che gli è stato riservato da chi aveva il controllo totale ed il dominio della scena cross mediale italiana.

A sentire l’odore “dell’audience che si impenna” è stato per primo Corrado Formigli che ha posto molta fiducia nelle tesi del professore della Luiss, censurato dalla sua stessa università che ha poi visto un altro suo docente a contratto nominato giudice nella commissione internazionale sui crimini di guerra.

Orsini ha mietuto le prime vittime sul campo di battaglia vincendo a mani basse il confronto con i giornalisti Calabrese e Parenzo, il primo sempre corretto seppur molto ironico, il secondo già conosciuto al pubblico per i suoi comportamenti politicamente scorretti, ma mai basati su informazioni concrete.

La vittoria professionale di Orsini c’è stata invece quando si è confrontato con Nathalie Tocci, direttore dell’Istituto degli Affari Internazionali. Mentre con i giornalisti c’è stato un confronto tra mondi diversi, con la Tocci, Orsini si è confrontato sul campo e quando la partita era persa per la direttrice del prestigioso Think Tank italiano è partito l’attacco personale

come fa ad essere esperto di Ucraina se non ha rapporti sul luogo“.

La prima vera arma spuntata dei media e dei social media atlantici, che ne ha fatto emergere il modus agendi, è stata proprio lei che a quanto pare non ha avuto molta difficoltà a continuare il suo conflitto personale con il professore che l’ha umiliata su altri organi di stampa nella qualità di editorialista dove ha provato a recuperare i limiti delle sue prestazioni televisive con qualche editoriale sulla “comunicazione“.

Un altro casus belli tutto italiano che ha risvegliato le coscienze di un pubblico stranito da una comunicazione appiattita ha riguardato sempre il professore Orsini e precisamente quando Bianca Berlinguer gli ha proposto un contratto in RAI ed il Partito Democratico, tramite l’onorevole Romano, ha negato al docente della LUISS di essere ingaggiato nello staff del programma con una consulenza. Messo alle strette sul portafogli, Orsini ha spiazzato tutti proponendosi gratis facendo scattare la scintilla di una escalation di offese giunte da più parti coalizzate contro la sua maggiore esposizione mediatica come analizzato nell’analisi OSINT su Orsini. Bianca Berlinguer, come Formigli, ha subito feroci attacchi per la sua scelta di invitare Orsini e anche la professoressa de Cesare, anch’ella bersagliata da commenti addirittura sessisti sui social.

Leggi analisi OSINT su Orsini.

Nel mentre, è esploso il caso del battaglione Azov, e Massimo Gramellini, che ha offeso pesantemente e ripetutamente Orsini sulle pagine del Corriere, in tv da Fazio ha addirittura citato un detto ebraico per assolvere il capo del battaglione Azov, indignando moltissime persone sui social e facendo un evidente autogoal in virtù del fatto che sono venute fuori notizie da Mariupol dove non è del tutto certo che il battaglione Azov chiedeva corridoi umanitari per salvare i civili intrappolati visto che secondo molti analisti bellici sembrerebbe stia utilizzando le persone, “recludendole” di fatto nell’acciaieria Azovstal con il fine più opportunistico dello scudo umano e finalizzato ad ottenere un calo dell’impeto di attacco dei russi, che, tra l’altro, in questi mesi di sconfitta su tutti fronti secondo i media occidentali, hanno portato a casa le aree strategiche nel sud del paese da loro invaso.

Questi sono alcuni casi di giornalisti illustri che hanno perso le staffe dinanzi ad una contrapposizione al loro pensiero ed hanno sfoggiato una licenza di offesa che non è riservata a tutti, godendo di una impunità sociale che ha lasciato il pubblico dubbioso e sospettoso sull’eventuale esistenza di un gruppo di influenza concentrato a gestire, monopolizzandola, la comunicazione bellica del conflitto ucraino nello spazio crossmediale composto da social, tv e stampa.

Nel mentre di uno scontro, degno del miglior periodo del Covid e dei Greenpass, i sondaggi hanno incominciato a diffondere delle notizie non proprio confortanti sui pareri dell’opinione pubblica nei confronti del Governo e delle sue scelte belliche. Secondo gli italiani, una cospicua maggioranza, “le armi non devono essere inviate agli ucraini“, hanno sentenziato ed ecco che si è arrivati a manipolare graficamente sondaggi invertendo il colore del rosso e del verde per confondere il lettore su una risposta negativa, trasformandola “a vista” come positiva.

Non solo giornalisti e influencer, ma anche società dedite alla elaborazione di sondaggi demoscopici.

Un altro fronte di ostili non è collegato a questioni atlantiche, ma a dinamiche politiche come nel caso del Fatto Quotidiano accostato al Movimento Cinque Stelle e ai trascorsi del partito di Grillo con i russi. Il giornale di Travaglio ha scatenato un fronte giornalistico più concentrato sulle aderenze con Putin del partito di Conte piuttosto che in difesa delle ragioni atlantiche. La Lega invece è sparita dai radar dopo la brutta figura internazionale di Salvini in Polonia, che è ritornato a chiedere la pace nell’ultimo periodo e a scongiurare l’invio di armi.

Un altro caso degno di nota è stato l’attacco di Gianni Riotta nei confronti di Lucio Caracciolo, stimato giornalista e analista geopolitico italiano, che per mesi è sfuggito alle critiche del cartello atlantico concentrato sui Travaglio boys, di Cesare e Orsini, ma è stato raggiunto da un anatema del più alto esponente del giornalismo Italiano autodichiaratosi atlantico. Peccato per Riotta, però, che non solo Enrico Letta, mandante morale degli attacchi politici a Orsini, ha preso le distanze dalle sue affermazioni essendo anche egli parte del comitato scientifico di Limes. Il brutto colpo riservato all’impavido giornalista e professore universitario a contratto negli USA l’ha riservato La Stampa, il suo stesso giornale, perchè ha ospitato un editoriale di Caracciolo, prendendo da subito le distanze dallo stesso Riotta. Caracciolo è stato protagonista indiscusso della trasmissione Otto e Mezzo di Lilli Gruber che è meritevole di aver dato ha dato vita alla terza fase. Proprio dalla Gruber, Massimo Giannini ha provato a ripulirsi la coscienza dicendo che il suo giornale “non va verso il pensiero unico, perchè ospita gli editoriali di Caracciolo“. Fino a pochi giorni fa però era possibile vedere un articolo sull’Azov nazista cancellato e gli affondi della Tocci su Orsini.

Dopo lo scontro, il riequilibrio

Mentre lo scontro imperversa su Orsini a cui viene contestato addirittura di “guadagnare soldi con uno spettacolo in teatro e con editoriali sul Fatto“, la Gruber ha lanciato la terza fase comunicativa della guerra in Italia. Con Caracciolo in studio con analisi sempre imparziali e difficilmente inquadrabili nel gioco di filoputin o meno, mai scontate come quelle della Tocci o di Orsini, la Gruber detiene lo scettro dell’informazione bellica in Italia con una trasmissione sempre bilanciata e con ospiti di primissimo piano senza però cadere nella comunicazione di propaganda nonostante le sue affiliazioni note oramai a molti.

Il salotto di Otto e Mezzo è stato il primo a dare spazio ai giornalisti russi e questo ha riaperto il dibattito tra i due mondi diversi ed ha spianato la strada non solo a tesi pacifiste, ma a quella che definiremmo propaganda bellica sovietica e che qualcuno ha provato a censurare ultimamente proprio con questa motivazione e lo studio dell’ex giornalista RAI non ha mai dato spazio ad Orsini, dimostrando di non aver bisogno del caso mediatico per imporsi nell’informazione.

Altra nota di merito per Andrea Purgatori, colpevole in passato di aver utilizzato le stesse immagini del videogioco riutilizzate oggi dai media, ha proposto un racconto slegato dall’instant news, fornendo un approccio storico seppur contemporaneo al conflitto ucraino, salvandosi per il momento dalle polemiche che hanno colpito tutti gli altri.

Non sappiamo quanto durerà questo momento di apertura a tutte le voci visto che è già partito l’attacco della Vigilanza alla veste democratica ripristinata nelle emittenti pubbliche, che ha chiesto al Copasir di indagare sulle eventuali annessioni dei giornalisti invitati nei confronti televisivi con il fine di verificare se sono parte attiva dell’intelligence del Cremlino.

Ovviamente lo sono, ve lo diciamo noi, ed è chiaro più di quanto siano aderenti ai nostri servizi e quelli di altri paesi molti giornalisti italiani.

Anche in questo caso è stata visibile l’insofferenza di chi ha avuto grande spazio con licenza di offendere coloro che non sono allineati con le posizioni atlantiche e Repubblica, nel dare la notizia della Commissione di Vigilanza Rai, ha pubblicato per un momento la foto di Orsini come se fosse il docente sia una spia sia un giornalista.

Ancora più calzante il fatto che la corrispondente italiana del Financial Times in Italia ha dato per certa l’annessione del docente universitario ai Servizi Russi senza rettificare come invece fatto da Repubblica che ne ha sostituito la foto perchè Orsini non è giornalista, ma un docente universitario che ha lavorato per i servizi italiani.

Anche il caso di Floris a Di Martedì che ha invitato il pubblico a non applaudire alle tesi di Fulvio Grimaldi non proprio dolci contro il sistema Ucraino, ma il suo invito non è stato accolto da chi rappresenta il popolo in una delle tante trasmissioni televisive, che ricordiamo essere in buona parte contrario alle armi secondo tutti gli ultimi sondaggi commissionati fino ad oggi.

Nonostante le polemiche sul presidente ANPI, dove è stata sguinzagliata la Segre, agli italiani non torna del tutto la storiella dei “nazisti utili” proprio perchè per anni la nostra Repubblica si è dichiarata antifascista.

Beppe Severnini, invece, da sponsor e promotore della strategia NATO-UE, ha nell’ultimo periodo aperto alla necessità di dialogo per giungere ad una trattativa finalizzata alla tregua e questo fa più sperare che comprendere le aperture alla stampa russa come un modo di scandire tempi maturi utili ad avviare un dialogo tra popoli in conflitto.

Si distendono i toni perché si sta assestando lo scenario bellico? Speriamo sia così!

Indipendentemente dall’evoluzione della guerra, chi si è mostrato al pubblico come detentore dei valori della libertà di espressione, dopo mesi di accuse personali rivolte a terzi, offese e sfottò oggi è rimasto con il cerino in mano.

Il dubbio che rimane a molti, sempre più distanti dal credere ai media soprattutto per questi motivi, è se i megafoni della propaganda occidentale, spesso giornalisti, intendono quanto letto in precedenza e visto in questi mesi il modo di fare giornalismo.

Oppure hanno svolto senza riuscirci il lavoro per cui sono pagati visto che la propaganda occidentale ha fallito a causa del loro modo di essere “armi spuntate”?

Inchieste

Cloud Provider Italiani: quali sono le caratteristiche preferite dagli specialisti IT?

Tempo di lettura: 7 minuti. I Managed Service Providers (MSP) aiutano le aziende che desiderano esternalizzare la gestione della propria infrastruttura IT. Questo modello di outsourcing consente alle imprese di affidare le attività IT ad un partner esterno, garantendo efficienza, riduzione dei costi e miglioramento delle prestazioni.

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programmatrice sorridente
Tempo di lettura: 7 minuti.

Dopo aver approfondito attraverso una serie di inchieste lo stato del cloud in Italia concentrandoci sul mercato e sulle sue tendenze, Matrice Digitale termina l’inchiesta a puntate con un’analisi su un interrogativo che può sfuggire a molti ed interessarne a pochi: qual è il cloud che scelgono i professionisti it?

Perchè comprendere dove le aziende IT posizionano il loro cloud?

Le imprese italiane, in piena migrazione di in massa verso i servizi cloud, sono assistite da esperti del settore IT che quotidianamente disegnano e realizzano architetture informatiche di tipo pubblico, privato ed ibrido.

I fruitori del Cloud è possibile dividerli in tre categorie che rispecchiano il mercato IT:

  • Singoli utenti
  • Aziende
  • Pubblica Amministrazione

Secondo un’analisi effettuata da Matrice Digitale, l’offerta dei servizi proposta dalle aziende individuate come operatori rilevanti di servizi cloud, è suddivisa in 17 soggetti che hanno prodotti standard, complementari o simili (come approfondito in precedenza) e soprattutto rivolti generalmente ad un pubblico di ampio target.

Confronto Canali di Vendita

Confronto canali di vendita

FornitoreDiretti PrivatiDiretti AziendeDiretti Pubblica AmministrazioneCanale ICT (MSP, Rivenditori)
Aruba
Cdlan
CoreTech
Elmec
Fastweb
Hosting Solutions – Genesys informatica
Naquadria
Netalia
Netsons
Noovle (TIM)
Reevo – It.net
Register – Keliweb
Retelit
DHH (Seeweb ed altri)
ServerPlan
Tiscali
Vianova – Host.it

Un mercato in crescita rivolto a tutti, ma di pochi

Le offerte nel mondo del cloud computing sembrano tante, ma sono poche se poi si stringe il cerchio sulle reali capacità delle imprese che erogano i servizi sulla carta. Le aziende IT che si rivolgono al mondo delle PMI e medie imprese sono più orientate verso soluzioni distanti dalle multinazionali, soprattutto dopo che Broadcom ha rilevato VMware ed ha creato grande panico nei confronti di coloro che necessitano di virtualizzare i server per il loro business, aumentando di molto i costi delle licenze. Un ricatto costante, quello tecnologico, che ciclicamente vede le multinazionali falciare chi non ha un piano B pronto e dipende totalmente dal loro schema che diventa sempre più costoso con meno servizi inclusi.

Anche il Cloud può essere Made in Italy

Il caso Broadcom non è isolato e soprattutto non è il primo nell’ambito informatico. Le aziende italiane che svolgono attività nel settore del cloud computing in opposizione alla forte concorrenza, spesso sleale che si nasconde dietro il concetto di economia di scala, sono quelle che preferiscono la nicchia al ventaglio di prodotti multiservizi. Solo Serverplan e CoreTech, con la differenza che la seconda si contraddistingue per la vendita al solo Canale di specialisti IT, svolgono questo tipo di attività come unica fonte di guadagno e di business. Molti imprenditori nel settore IT si affidano per i servizi cloud ad altri specialisti per continuare a produrre il proprio servizio o prodotto senza snaturare la propria impresa inglobando risorse materiali e umane ed i relativi costi per sostenerli che ne aumentano il rischio d’impresa. Per fronteggiare l’avanzata aggressiva delle Big Tech nel mercato Cloud, c’è chi gioca in favore come un qualsiasi rivenditore commerciale acquistando prodotti confezionati e chi invece si rivolge ad aziende di pari dimensione per ottenere prodotti che garantiscono servizi di assistenza meno freddi e forniscono prodotti di sicurezza inclusi come forma di garanzia di qualità di un prodotto. Non è un caso, infatti, che il mercato del lavoro attuale non solo richiede numerose figure specializzate in informatica, ma non apprezza quelle già presenti perché formate non secondo le esigenze della domanda nel settore. Questa mancanza di figure qualificate, mista all’insoddisfazione delle imprese, rende ancora più prezioso il lavoro di chi invece è altamente specializzato e preferisce rivolgersi ad una clientela di alto profilo.

Dubbio amletico sulla natura delle nuvole tricolori

Sulla base degli approfondimenti e delle riflessioni maturate attraverso questo lungo viaggio nel cloud italiano, Matrice Digitale si è immedesimata in un individuo che vuole acquistare in piena autonomia un servizio cloud ed ha scoperto che non tutte le aziende hanno la caratteristica di un servizio del tutto pubblico nonostante si promuovano in questo modo nella fase di posizionamento sul mercato.

Pricing trasparente

Prospettiva Pricing Trasparente

FornitorePubblicoNon presente su sito
Aruba
Cdlan
CoreTech
Elmec
Fastweb
Hosting Solutions – Genesys informatica
Naquadria
Netalia
Netsons
Noovle (TIM)
Reevo – It.net
Register – Keliweb
Retelit
DHH (Seeweb ed altri)
ServerPlan
Tiscali
Vianova – Host.it

Dalla ricerca effettuata da Matrice Digitale, la metà delle aziende presenti in lista (CdLan, Elmec, Fastweb, Netalia, NoovleTim, Retelit, Reevo, Tiscali, Vianova) non è munita di un listino prezzi consultabile liberamente online con annesso carrello elettronico per acquistare i servizi in ogni momento senza passare per un ufficio vendita-commerciale.

Le implicazioni di un pricing poco trasparente

Un fattore che fa riflettere sia in positivo perché si pensa ad un prodotto “su misura”, seppur odori di strategia di marketing, sia in negativo perché chi nel mondo IT cerca un prodotto come il cloud computing sa quali sono le sue esigenze, conosce anche i costi di mercato e riconosce chi espone i prezzi come un venditore specializzato in quel campo con un business già avviato e per nulla improvvisato. Inoltre, c’è anche il rischio che dinanzi ad alcune offerte di servizio ci sia chi fornisce il servizio di “housing” proponendolo al potenziale cliente come Cloud, ma nella pratica non farà altro che ospitare nella propria infrastruttura informatica un server fisico. Proprio per questo motivo, da profani apriamo una riflessione che rimettiamo al mercato sul se chi non espone i prezzi sia da considerare un “Cloud Pubblico” e non invece privato che offre successivamente lo spazio sui suoi server ai clienti che sottoscrivono un’offerta omnicomprensiva di servizi che spaziano dalla connettività fino ad arrivare alla fonia.

Qual è il cloud degli specialisti dell’IT?

Gli specialisti del settore IT di lunga data non acquistano dai soliti rivenditori la tecnologia su cui costruire la nuvola per i propri clienti che, ricordiamo, per la maggiore sono Piccole o Piccole Medie Imprese. Molti MSP impiegano in forma esclusiva prodotti delle multinazionali svolgendo in primis un ruolo di rivenditori dei prodotti di terzi. Questa scelta potrebbe fornire più garanzie sulla carta, ma potrebbe rafforzare allo stesso tempo sistemi di potere già consolidati, traghettandoli verso una posizione monopolistica che riconosca un potere incontrastato nello stabilire un prezzo di mercato che con il tempo diventi insostenibile per le aziende. Oltre alla pura logica di mercato, c’è anche un problema identitario dell’azienda che subentra e dove è messo a rischio il brand del fornitore di servizi nel caso che il cliente continui ad interfacciarsi con prodotti di terze parti ignorando il valore del fornitore tanto da credere di poterlo sostituire perché tanto utilizza un prodotto di terze parti di marchi ben più noti e commerciali e facilmente sostituibile.

Se è consideriamo che l’87 per cento della spesa è riservata alle grandi imprese che sono più propense nel chiudere accordi con i grandi gruppi e spesso hanno uffici interni preposti all’Information Technology, c’è un tessuto produttivo composto da piccole e medie imprese che quotidianamente si affida al Canale composto dai già noti MSP (Managed Service Provider), sviluppatori e fornitori IT.

Cloud pubblico

Il Cloud Pubblico è un modello di cloud computing in cui i servizi e le infrastrutture sono ospitati da un provider di cloud e resi disponibili al pubblico o a grandi gruppi industriali tramite Internet. Queste risorse, come server e storage, sono di proprietà e gestite dal provider di cloud e condivise tra tutti i clienti. Gli utenti accedono ai servizi e li gestiscono tramite un browser web e pagano in base al consumo, senza dover investire in hardware o manutenzione. Ecco una lista dei cloud pubblici italiani in concorrenza con i big USA Amazon Web Services (AWS), Microsoft Azure e Google Cloud Platform (GCP) che forniscono servizi Cloud, ma lo fanno da piattaforme fisiche dislocate all’estero.

FornitoreCloud PubblicoCloud PrivatoData Center-ColocationMSP/System IntegratorFornitore CyberSecurityFornitore ConnettivitàFornitore Telefonia
Aruba
Cdlan
CoreTech
Elmec
Fastweb
Hosting Solutions – Genesys informatica
Naquadria
Netalia
Netsons
Noovle (TIM)
Reevo – It.net
Register – Keliweb
Retelit
DHH (Seeweb ed altri)
ServerPlan
Tiscali
Vianova – Host.it

Anche il metodo di classificazione di un’azienda che fornisce servizi Cloud risulta difficile agli occhi degli utenti e delle imprese. Un’impresa che eroga il servizio di noleggio delle infrastrutture informatiche sulla “nuvola” non può essere confusa né con chi vende servizi di connettività né con chi offre uno spazio sui propri server ai siti Internet dei clienti come da usanza delle web agencies che li realizzano. Partire da 2 milioni di euro di fatturato è un giusto parametro per avere una garanzia sia sul core business e sia per intuire la presenza di una fidelizzazione della clientela nei confronti dei servizi offerti dal fornitore del servizio di Cloud Computing.

Chi sono gli utenti del Cloud?

Le grandi imprese rappresentano l’87% della spesa complessiva nel cloud, evidenziando come queste organizzazioni stiano guidando l’adozione del cloud in Italia. Tuttavia, anche le PMI stanno rapidamente abbracciando il cloud, con una crescita del 34% nella spesa per servizi in Public Cloud, raggiungendo i 478 milioni di euro. Oltre la metà delle applicazioni aziendali nelle grandi imprese (51%) risiede ora nel cloud, segnalando un punto di svolta nella digitalizzazione del settore aziendale italiano. Un settore in espansione che mette alla luce diverse criticità soprattutto se si considera che il bene fisico dove sono custoditi i dati spesso viene abbandonato e dato in pasto ad aziende estranee, così come l’acquisto di licenze software per l’ufficio è sempre più sotto forma di abbonamento che, una volta scaduto, potrebbe minare il processo produttivo dell’azienda e la custodia “pro manibus” dei propri dati allontanandola da una capacità di essere indipendente e proprietaria nel medio lungo periodo.

Cos’è un MSP?

I Managed Service Providers (MSP) aiutano le aziende che desiderano esternalizzare la gestione della propria infrastruttura IT. Questo modello di outsourcing consente alle imprese di affidare le attività IT ad un partner esterno, garantendo efficienza, riduzione dei costi e miglioramento delle prestazioni.

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Inchieste

Managed Service Providers in Italia: numeri di un mercato in crescita

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Tempo di lettura: 5 minuti.

Nel contesto italiano, caratterizzato da un tessuto imprenditoriale prevalentemente composto da piccole e medie imprese, gli MSP stanno emergendo come una componente importante per la trasformazione digitale dell’intero contesto produttivo del Bel Paese.

Cos’è un MSP?

I Managed Service Providers (MSP) aiutano le aziende che desiderano esternalizzare la gestione della propria infrastruttura IT in un modello di outsourcing che consente alle imprese di affidare le attività IT ad un partner esterno, garantendo efficienza, riduzione dei costi e miglioramento delle prestazioni delegando la gestione IT che con il tempo diventa sempre più complessa. L’attività degli MSP varia dalla normale amministrazione di tipo hardware e di rete fino all’offerta di una soluzione più complessa come quella di un cloud o di piattaforme software diverse sulla base ai settori di appartenenza dei propri clienti.

Un mercato in crescita

Con l’aumento della diffusione digitale nelle imprese, cresce anche l’esigenza di essere più completi e professionali da parte di coloro che lavorano nel settore IT. Questo fenomeno sta incidendo notevolmente sul fatturato degli MSP che tende a crescere in virtù della forte domanda di mercato e questo fa il paio con il bisogno costante di reperire nel mercato del lavoro personale altamente qualificato a cui sono richieste competenze spesso orizzontali e che rimane un ostacolo a causa della poca offerta lavorativa specializzata.

Costo del personale rispetto al fatturato

Secondo un’analisi emersa all’MSP Fest 2023 si è rivelato che il costo medio del personale nel settore ICT è del 30,8% del fatturato totale, un indicatore di quanto le aziende investono nelle loro risorse umane. Questo dato varia significativamente tra i diversi cluster:

Partner ERP (Enterprise Resource Planning), software che consente di gestire l’intera attività d’impresa, sostenendo l’automazione dai processi di finanza, risorse umane, produzione, supply chain, servizi, approvvigionamento e altro, mostrano una coerenza interna con un costo del personale che oscilla tra il 29% e il 33%.

MSP: registrano un costo inferiore, ridotto di circa 9-10 punti percentuali rispetto ai partner ERP, suggerendo una maggiore efficienza o un modello di business differente che minimizza i costi del personale.

Software House: presentano la variabilità più alta, con una media del 37% che in alcuni casi raggiunge il 70%, indicando un elevato investimento in capitale umano, tipico delle aziende che dipendono fortemente dalla manodopera qualificata.

Questi dati suggeriscono che le strutture aziendali, le strategie di outsourcing e l’automazione possono influenzare significativamente il rapporto tra costo del personale e fatturato.

Fatturato per dipendente

Passando alla produttività misurata come fatturato per dipendente, emergono ulteriori dettagli rilevanti:

Software House: alcune registrano cifre allarmanti come 50k€/anno per dipendente, un livello basso che potrebbe indicare margini ridotti e sostenibilità a lungo termine a rischio.

Media del settore: il fatturato medio per dipendente si attesta intorno ai 145k€, con punte superiori ai 200k€ in aziende più efficienti. Questo dato riflette una variazione sostanziale basata sulla natura del modello di business e sulla capacità di generare ricavi aggiuntivi attraverso la vendita di licenze software, servizi o hardware.

Questo indicatore è cruciale per valutare l’efficacia con cui le aziende utilizzano il loro personale. Un fatturato per dipendente elevato può indicare un’alta produttività e un modello di business efficace, mentre valori bassi possono segnalare la necessità di rivedere le strategie operative.

Più della metà degli MSP ad oggi tende a superare mediamente il milione di euro di fatturato, segnalando una maturazione del settore. Questo dato dimostra che ci si sta allontanando da un mercato composto prevalentemente da micro-imprese ed indica una tendenza verso una dimensione non più da incubatore di professionalità, bensì di aziende strutturate.

MSP a chi si rivolgono

I primi fruitori del mercato IT sono prevalentemente imprese produttive e studi professionali e questo consente di tracciare una linea di indirizzo generale sui prodotti necessari a garantire uno standard di qualità minimo ed uguale per tutti. Questo indirizzo operativo permette di affinare le offerte di servizi e di aumentare l’efficienza di gestione attraverso la standardizzazione e la personalizzazione delle soluzioni per i clienti di nicchia. Se prima ci si rivolgeva al negozio sotto l’ufficio o all’amico di famiglia più pratico con i computer, oggi la gestione delle reti informatiche e la manutenzione dei computer aziendali, compreso tutto l’aspetto che riguarda la complessa, quanto sentita, messa in sicurezza del perimetro cibernetico, sono gestiti dagli MSP che si presentano sul mercato con contratti annuali o con la possibilità di una tariffazione oraria. Un’altra capacità che è richiesta ai Managed Service Providers è l’affinare la propria scalabilità nella gestione di un numero di clienti che può aumentare anche repentinamente.

Tecnologia e innovazione

L’adozione di tecnologie avanzate come il monitoraggio remoto, l’automazione dei processi di servizio e la gestione avanzata dei ticket sta diventando sempre più comune rispetto alla telefonata amichevole di un tempo. Questi strumenti non solo migliorano l’efficienza operativa ma permettono agli MSP di offrire un livello di servizio superiore, indispensabile per competere in un mercato tecnologicamente avanzato ed in continua evoluzione sulla base delle esigenze del mercato. La convergenza tra la crescente necessità di servizi IT gestiti e le capacità avanzate offerte dagli MSP suggerisce un ruolo sempre più centrale per questi ultimi nel supportare le imprese italiane nel percorso di trasformazione digitale e questo richiede una formazione costante dei quadri dirigenziali e di tutto il personale e non solo attraverso la lettura di articoli tecnici. In aggiunta agli aggiornamenti generali del settore su riviste specializzate come Matrice digitale, gli MSP si concentrano su diversi campi specifici per il proprio sviluppo professionale, evidenziando le seguenti aree principali:

Cybersecurity

Con la crescente incidenza di minacce informatiche, la cybersecurity rimane un campo di primaria importanza. Gli MSP riconoscono la necessità di fortificare le proprie competenze in questo ambito per proteggere efficacemente le infrastrutture IT dei loro clienti.

Conoscenza dei prodotti utilizzati

Un’approfondita conoscenza dei prodotti è essenziale per gli MSP per garantire l’efficienza e l’efficacia delle soluzioni implementate. Questo include una comprensione dettagliata dei software e degli hardware impiegati nelle loro operazioni quotidiane.

Organizzazione e processi Aziendali

L’efficienza operativa attraverso l’organizzazione e la gestione ottimizzata dei processi aziendali è un altro pilastro fondamentale. Gli MSP investono in formazione per migliorare la gestione dei progetti, il flusso di lavoro, e le pratiche operative generali.

Sales & Marketing

Le competenze in vendita e marketing sono cruciali per gli MSP per attrarre e mantenere una clientela ampia. Questo aspetto della formazione è orientato a strategie di comunicazione efficaci, generazione di lead e tecniche di negoziazione.

Helpdesk e Customer Service

Queste aree sono vitali per il mantenimento delle relazioni con i clienti positive e per la gestione efficiente delle richieste di supporto e assistenza.

Il ruolo sociale degli MSP

Chi ha l’onere ed il compito di gestire le infrastrutture informatiche di porzioni della produttività italiana non solo ha il dovere di gestirle a dovere, avendo cura dei dati che gli vengono affidati, ma ha il compito di trasmettere valori educativi nel campo digitale verso tutti i suoi assistiti che non sono solo le imprese, ma anche i dipendenti. Questo aspetto non andrebbe sottovalutato in un momento storico dove gli attacchi informatici crescono sempre ed il primo contatto tra criminali ed imprese, sono proprio i dipendenti che aprono inconsapevolmente le porte alle azioni coordinate.

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Inchieste

Mercato ITC in Italia nel 2024: numeri e crescita vertiginosa rispetto al paese

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L’Italia è sempre più digitale grazie al trend globale di trasformazione dei processi analogici verso un’integralismo, o integrità, virtuale che pone il Paese dinanzi a grandi sfide. Se il mercato offre diverse realtà, c’è una forte concorrenza alle imprese tricolori che viene oltreoceano e si rischia sempre di fare la solita fine di grandi colossi internazionali che alimentano un indotto sottoponendo l’intero sistema produttivo ad un ricatto costante nel caso vi sia una exit strategy o un cambio delle condizioni contrattuali.

Situazione del Mercato Digitale Italiano nel 2023:

Il mercato digitale italiano nel 2023 ha evidenziato una crescita robusta del +2,8% rispetto all’anno precedente, superando la crescita del PIL italiano che ha mostrato un rallentamento con un incremento di pochi decimali e che dovrebbe essere confermato per l’attuale anno.

Settori trainanti

Quando si parla di mercato digitale si può dire tutto oppure niente ed è proprio questo il motivo per cui è necessario tracciare una lista dei vari settori e determinare una crescita particolare per ogni singola attività produttiva che contribuisce nel fornire tasselli al variegato puzzle del setore ICT

Servizi ICT: Hanno registrato la crescita percentuale più elevata con un +9% dove il cloud fa da soggetto trainante in tutti i suoi aspetti: sia infrastrutturale sia in termini di servizi erogati su piattaforma

Contenuti e Pubblicità Digitale: Seguono con un incremento del +5,9%.

Software e Soluzioni ICT: Chiudono con un +5,8%.

Aumento degli investimenti nella Cybersecurity e fondi in arrivo

Nel 2023, la spesa per la cybersecurity è aumentata del +13%, sottolineando l’importanza della sicurezza informatica nel sostenere l’evoluzione digitale delle aziende. In particolare, i Servizi di Sicurezza Gestiti (MSS) e i settori della Sanità (+18,7%) e della Pubblica Amministrazione (Centrale +12,7% e Locale +13,7%) hanno mostrato il maggior interesse per le soluzioni di sicurezza informatica.

Pubblica Amministrazione: Il mercato digitale nella Pubblica Amministrazione nel 2023 ha previsto una crescita del +9,1%, raggiungendo quasi 8 miliardi di euro.

L’iniziativa del governo italiano di allocare significativi fondi per il sostegno e lo sviluppo delle tecnologie emergenti, come l’intelligenza artificiale, il quantum computing e la cybersicurezza, segna un passo importante verso l’affermazione del Paese nel panorama tecnologico globale. Con un finanziamento totale che supera i 130 milioni di euro, a cui si aggiungerebbero gli 800 milioni annunciati ma non stanziati per l’intelligenza artificiale, distribuiti tra vari settori chiave, questa mossa riflette un impegno strategico verso l’innovazione e la sicurezza digitale.

Chi comanda e dirige gli appalti sulla cybersicurezza?

La decisione di affidare la gestione di questi investimenti all’Agenzia Nazionale per la Cybersicurezza è una scelta di responsabilizzazione di coloro che dovrebbero essere le figure chiave più qualificate dell’intero paese. Anche per questo motivo, il governo ha stanziato ulteriori 300 mila euro per il biennio all’Agenzia con il fine di coprire le spese operative ed il reclutamento di personale specializzato.

Chi sono gli uomini più influenti del Governo nel mercato digitale?

Per gestire i fondi che verranno erogati nei prossimi mesi sia dal punto di vista finanziario che direttivo è stata istituita una struttura di coordinamento che coinvolge entità di rilievo come Palazzo Chigi, l’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale e CDP Venture Capital, insieme alla nomina di figure chiave quali Alessio Butti, Bruno Frattasi e Agostino Scornajenchi, sottolinea l’approccio olistico adottato per garantire che gli investimenti siano gestiti efficacemente e che le iniziative siano allineate con le priorità strategiche nazionali.

La sfida da portare al termine

La sfida per l’Italia sarà quella di mantenere questo impegno nel lungo termine, assicurando che le risorse siano utilizzate in modo efficace e che siano messe in atto politiche che sostengano l’innovazione continua e la formazione di competenze avanzate, ma soprattutto che la sicurezza informatica non sia solo una voce passiva nella spesa dello Stato e che possa produrre realtà trainanti di un mercato interno ed anche estero.

Proiezioni future

Per il 2024, si prevede un aumento del +3,8%, seguito da un +4,8% nel 2025, e un +5% nel 2026, con un mercato che potrebbe superare i 90 miliardi di euro entro il 2026. L’intelligenza artificiale è prevista crescere ad un tasso medio annuale del +28,2% tra il 2023 e il 2026.

Tecnologie emergenti

Hardware: Si prevede un rallentamento della crescita da +2,0% nel 2023 a +0,9% nel 2024.

Software: Forte crescita prevista con un +5,6% nel 2023 e un ulteriore aumento al +6,2% nel 2024.

Servizi: Crescita costante con un +2,7% nel 2023 e un leggero aumento al +2,8% nel 2024.

Tecnologie Emergenti e loro Crescita:

Intelligenza Artificiale: Crescita significativa con +29,4% nel 2023 e +27,6% nel 2024.

Blockchain: Crescita robusta con +27,5% nel 2023 e +25,5% nel 2024.

Servizi Cloud: Continua crescita con +20,1% nel 2023 e +19,5% nel 2024.

Cybersecurity: In aumento con +14,6% nel 2023 e +15,3% nel 2024.

Internet of Things: Crescita stabile con +8,7% nel 2023 e +8,8% nel 2024.

Wearable Technology: Leggera decelerazione con +5,6% nel 2023 e +5,3% nel 2024.

L’intelligenza artificiale generativa con ChatGPT ed i suoi simili, insieme a big data, cloud e quantum computing, sono state identificate come tecnologie chiave che trasformeranno vari settori produttivi in Italia, contribuendo alla crescita e alla scala delle imprese. Da non trascurare, però, la robotica che rappresenta il terminale ultimo delle attuali tecnologie di tipo LLM ed il mondo già sta proponendo diversi prototipi avanzati.

Importanza della Trasformazione Digitale: La trasformazione digitale è vista come una necessità fondamentale per mantenere la competitività e il posizionamento strategico di un Paese nel contesto globale.

Gap di Competenze: È evidenziato un divario significativo nelle competenze digitali, con solo il 46% dei cittadini italiani che possiede competenze digitali di base rispetto alla media europea del 54%.

  • Il mercato digitale italiano sta mostrando una crescita sostenuta, guidata principalmente dal software e dai servizi, nonostante un rallentamento nel settore hardware.
  • Le tecnologie emergenti, in particolare l’intelligenza artificiale e i servizi cloud, stanno giocando un ruolo chiave nell’innovazione e nella crescita del settore.
  • La trasformazione digitale è fondamentale per la competitività del Paese, ma è necessario affrontare il gap di competenze digitali per sfruttare appieno il potenziale di crescita.

In conclusione, il mercato digitale italiano sta mostrando segnali positivi di crescita e innovazione, spinto dall’adozione di tecnologie avanzate. Tuttavia, per sostenere questa crescita e rimanere competitivi a livello globale, è essenziale investire nella formazione e nell’aggiornamento delle competenze digitali della forza lavoro.

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