Inchieste
X accusata di diffondere Fake News, con notizie false su Musk
In attesa delle elezioni americane, il mondo della comunicazione e della politica italiana si sta posizionando a favore o contro Trump prendendo di mira Musk con Fake News. Il gioco di parole è dovuto al fatto che nessuno in Italia desidera davvero Donald Trump come presidente degli Stati Uniti d’America tra gli addetti ai lavori, ma il popolo sembra simpatizzare per l’ex presidente USA vittima di un attentato terroristico nel mese di luglio.
La convention del Partito Democratico americano ha mostrato una vera “transumanza” di politici nostrani che hanno rappresentato il Partito Democratico italiano in quel congresso che hanno sancito la candidatura di Kamala Harris, con l’approvazione della famiglia Obama.
Elon Musk è, in questo momento, la persona più importante che tira la volata per Trump e anche la più pericolosa secondo il Partito Democratico negli Stati Uniti d’America. Tra gli uomini più ricchi del mondo, Musk ha dichiarato di finanziare Donald Trump con circa 40 milioni di euro al mese fino al giorno delle elezioni, il 5 novembre. Ha inoltre fatto in modo che le opinioni sulla sua piattaforma, acquistata per 44 miliardi di dollari, siano ben schierate a livello globale ed il plebiscito per Trump è stato predominante fino alla candidatura ufficiale di Kamala Harris.
C’è anche un altro aspetto da non sottovalutare: Elon Musk è attivo sulla sua piattaforma ed è un esperto informatico che potrebbe, per dare credito alle voci complottiste, vigilare o addirittura intervenire sul voto postale, che nell’ultima tornata elettorale ha creato non pochi problemi e polemiche secondo ex presidente del paese più democratico del mondo di nuovo in corsa.
L’Italia ha una posizione molto chiara: tutti i partiti, ad eccezione della Lega, sono schierati a favore di Kamala Harris e contro Elon Musk. Il motivo è semplice: i partiti fermamente europeisti non vedono di buon occhio la piattaforma X e la posizione perché, secondo le accuse, disattende il Digital Services Act e pubblica contenuti che non solo risultano falsi, ma sono anche sgraditi all’establishment europeo. Nelle ultime ore è emerso che tra i finanziatori della scalata all’ex Twitter, costata 44 miliardi, ci siano 2 oligarchi russi vicini a Putin, ma, a differenza della Russia, su X c’è l’esercizio popolare delle community notes.
Lo strumento delle Community Notes è, in realtà, un’arma del popolo per smascherare istantaneamente le bugie dei potenti. Un’arma che si diffonde non solo nel vecchio continente, ma anche negli Stati Uniti d’America ed è uno strumento che viene democraticamente utilizzato, anche in maniera forzosa bipartizan, dai Democratici, e questo sono in pochi a dirlo, che stanno guadagnando una grande quota di consensi sulla stessa piattaforma di Musk aggredita da più fronti economici ed istituzionali.
Dopo la nomina di Harris e la risposta dell’Ucraina a Kursk, non c’è una grande predominanza di post pro o contro Trump ed è calata vertiginosamente in Italia la frequenza e la visibilità di post da parte di coloro che prima erano additati come trumpiani e filo-putiniani.
C’è solo un’incognita in questo momento in Italia, ed è Giorgia Meloni. La leader di Fratelli d’Italia è rimasta in silenzio sulle ultime vicende del Partito Democratico USA con cui ha collaborato nel corso della sua esperienza di Governo ed è l’unica, allo stesso tempo, ad essere riuscita a portare Elon Musk ad Atreju, rafforzando non solo i valori conservatori, ma anche quelli pro-vita che comprendono i valori della famiglia tradizionale secondo le visioni cattoliche e cristiane, a cui il partito di Giorgia Meloni ha sempre fatto riferimento.
In questo preciso momento, tutti i media principali, di riflesso ai partiti, che rispondono alle logiche europeiste, e che ricordiamo hanno ricevuto finanziamenti a pioggia per il post-Covid da Bruxelles, sono schierati contro Elon Musk. Sorprende poco che, di recente, siano state diffuse notizie false su Musk, che hanno mostrato un volto molto aggressivo della stampa nostrana, favorita dal periodo estivo, durante il quale storicamente le fake news sono sempre state più frequenti.
A motivare la lotta ad X e al suo proprietario, è stata la posizione di Elon Musk in favore di quanto sostenuto dal governo nello scontro pugilistico tra Angela Carini ed Imane Khelife. Sia Musk sia la pugile campana, unitamente ad elementi di spicco del governo in quota FDI e Lega, hanno mostrato disappunto nei confronti della scelta di far concorrere alle Olimpiadi la pugile algerina che ha vinto.
Musk è stato denunciato per cyberbullismo dall’avvocato difensore di Manche Life. Su questo caso è stata diffusa una notizia falsa riguardante J.K. Rowling, la quale avrebbe cancellato 27 post dopo la denuncia. Tuttavia, i giornali italiani non hanno verificato il profilo social X di Rowling, che non solo non ha cancellato i post incriminati, ma ha pubblicato un altro post altrettanto potente dal punto di vista comunicativo, confermando la sua posizione sul caso di Imane Khelife e, più in generale, sull’evoluzione gender che appartiene all’agenda che Musk contesta.
Un’altra notizia falsa diffusa è stata il presunto regalo di un Tesla Cybertruck da parte di Elon Musk al leader ceceno Kadirov, il quale ha montato una mitragliatrice sul veicolo dichiarandosi pronto per la guerra dopo aver ricevuto il SUV. In realtà, Musk ha spiegato in modo poco gentile a un cronista che, con le sanzioni in vigore, era impossibile che regalasse un’auto ai russi.
Nei giorni precedenti, si è tentato di far circolare la notizia che l’intelligenza artificiale di Musk, Grok, avrebbe generato immagini false che avrebbero potuto alterare significativamente la percezione sui politici e sulle elezioni americane. Tuttavia, Matrice Digitale ha testato la piattaforma chiedendole di generare immagini basate sui luoghi comuni contro i Democratici e non ha trovato nulla di rilevante, se non immagini molto innocenti.
A confermare i dubbi di Matrice Digitale, c’è stato un post di Matteo Flora che ha confermato la falsità della notizia diffusa in pompa magna sui media.
Questo è stato l’ennesimo tentativo di gettare ombra su X, attraverso diverse Fake News su Musk, che attualmente risulta essere l’unica piattaforma che consente un minimo di libertà di espressione e di verifica dei fatti al di fuori dei contesti istituzionali, che spesso hanno dimostrato falle e poca capacità di verifica dei fatti controversi, peccando altresì di confermare le posizioni discutibili, o addirittura successivamente smentite, dell’establishment.
Un altro aspetto da non sottovalutare è che questa attività di verifica mutuale ed istantanea che X ha fornito agli utenti agli utenti va contro il giornalismo tradizionale, abituato a diffondere notizie senza contestazioni, e si macchia con maggiore frequenza rispetto al passato di notizie false ed imprecise che vengono poi cancellate, piuttosto che rettificate, confidando nella dimenticanza dei lettori: le community notes ed X forniscono quella memoria scomoda a chi sbaglia.
Questa caratteristica di X mette in discussione l’autorevolezza autoreferenziale di molti giornalisti ed opinionisti, che si sono costantemente sotto pressione perché smentiti e verificati dal pubblico, diventato su X molto più severo rispetto ad altri social dove gli algoritmi hanno lobotomizzato il pensiero critico. Grazie alle community news, sistema tanto criticato ed allo stesso tempo copiato da YouTube, gli utenti stanno iniziando a sviluppare un proprio senso di autocritica basato sulle informazioni filtrate da entrambe le parti, in un mare di fake news che circonda non solo la rete, ma anche gli organi di stampa e l’impressione che si consolida nel tempo è che spesso c’è intenzione nel darle in pasto al pubblico per fini politici ed il caso Musk lo confermerebbe.
Inchieste
La narrazione su Moussa Sangare uccide ancora Sharon Verzeni
Tempo di lettura: 4 minuti. Moussa Sangare uccide Sharon Verzeni: le analogie con il caso Turetta ed il trattamento privilegiato che la stampa nutre verso l’italiano afrodiscendente
L’omicidio di Sharon Verzeni ha trovato il suo autore dopo un mese di ricerche: si tratta di Moussa Sangare, cittadino italiano di seconda generazione, discendente da una famiglia africana. La storia è tragica se consideriamo che negli ultimi giorni i media tracciavano il profilo dell’assassino come “conosciuto dalla vittima” e si stava insinuando il sospetto sul compagno della vittima Sergio Ruocco.
Questa volta, il femminicidio non parte da uno sfondo passionale ed è per questo motivo che il caso Sangare non può essere paragonato a quello di Turetta perché l’unica cosa in comune è che in entrambi i casi a morire sono state due donne. Questo però non sottrae i media dalla valutazione dei lettori su una disparità di trattamento tra l’assassino di Giuglia Cecchettin e quello di Sharon. Turetta ha ammazzato Giulia Cecchettin e, dopo quell’omicidio, si è fermato un intero paese al grido di lotta al patriarcato.
L’assassino di Sharon Berzegni era stato denunciato un anno fa dalla sorella che in questi giorni ha una visibilità di come se fosse parente della vittima eppure, tra una strategia processuale basata sull’infermità mentale dell’assassino di Sharon, la stessa sorella, parlando con la stampa, ha dichiarato che solitamente non era una persona violenta.
Nell’epoca delle lezioni di patriarcato affidate alla sorella di Giulia Cecchettin con il plauso delle associazioni femministe e antiviolenza, suona strano che nessuno si sia preoccupato di questa affermazione.
La persona che aveva denunciato il fratello perché le aveva puntato un coltello un anno fa, all’indomani dell’omicidio, è proprio la sorella di Moussa e quella dichiarazione a freddo dovrebbe far intendere che un problema di educazione familiare, con effetti simili a quelli del patriarcato tanto inflazionato c’era all’interno di quella famiglia italiana a tutti gli effetti a discapito delle teorie sulla cittadinanza che non esistono. Un altro aspetto da non sottovalutare è che la denuncia contro il trentenne è arrivata solo quando ha puntato il coltello contro la sorella. Nel caso di Turetta, la famiglia e il giovane si erano recati per delle sedute da uno psicologo per capire cosa potesse non andare e preventivamente risolvere quello che non è stato possibile da come sono andate le cose.
La narrazione avuta dalla stampa in questi giorni è stata sicuramente discutibile, che ha iniziato a nascondere l’afrodiscendenza del ragazzo in un momento storico dove si dibatteva dello ius scholae, per poi arrivare alla umanizzazione dell’assassino di Sharon Verzeni attraverso le presunte scuse mentre l’accoltellava ed alla descrizione di una vittima colpita mentre “guardava le stelle”. Queste tecniche di comunicazione utilizzate goffamente per non fare passi indietro sullo ius scholae, hanno ottenuto l’effetto che si creasse uno di quei classici personaggi di cui, come tutti sappiamo, nel bene o nel male, “l’importante è che se ne parli“.
Questa narrazione ha dato il là alla curiosità dei lettori nel cercare in rete le doti artistiche dell’assassino Moussa Sangare che ha collaborato con artisti del calibro di Ernia. Hanno visitato i suoi profili social, hanno scaricato la sua musica, condiviso le sue canzoni su TikTok, dove in questo momento è molto popolare ed i testi delle sue canzoni che vengono citati.
Questo fenomeno ci riporta alla strage di Casal Palocco, dove la cronaca del paese è stata distrutta da un’altra tragedia, quando gli youtuber TheBorderline furono coinvolti in un incidente in cui perse la vita un bambino. In quel caso, la rete composta da utenti normali e professionisti del mondo sociale, si attivò subito chiedendo la demonetizzazione dei contenuti del canale YouTube. Davvero strano che in questo momento nessuno stia chiedendo la demonetizzazione delle piattaforme social a danno dell’assassino di Sharon Verzeni, che, ricordiamolo, risponde al nome di Moussa Sangare.
Questi corto circuito rendono ancor più poco credibile la narrazione giornalistica all’interno del caso di cronaca più eclatante degli ultimi giorni ai danni di una delle tante povere donne che muoiono. È ancora più scandaloso che chi sensibilizza quotidianamente sul tema degli omicidi di donne e dei femminicidi, abbia dichiarato in questi giorni sui giornali che Sharon camminasse da sola di sera rimandando il problema non solo agli assassini che ed alle vittime, ma anche a quello che orami può definirsi lo specchio di una società che non riesce o non vuole centrare il problema.
La stampa ne risulta complice, o perché strumentalizzata dalla politica oppure perché, creando questo tipo di diatribe, guadagna maggiore attenzione dei detrattori, da cui poi nascono le discussioni social che fanno pubblicità ai giornalisti ed alle testate stesse.
Inchieste
Censura, l’Italia è complice
Tempo di lettura: 6 minuti. Dopo gli eventi di Durov in Francia e di Musk in Brasile: qual è il punto dell’Italia alla luce delle censure passate, presenti e future?
Elon Musk ha avuto le porte chiuse in Brasile, dove il Presidente della Corte Suprema brasiliana ha disposto la chiusura di X perché il leader dei finanziatori Repubblicani statunitensi, in questo momento, ha rifiutato di nominare un amministratore delegato all’interno della nazione sotto la giurisdizione di Lula. Dal punto di vista degli obblighi verso cui Musk dovrebbe rispondere, è chiaro che il leader di X si trovi in difetto. Un po’ più strano e anomalo è il fatto che, per colpire X, si sia disposto anche il congelamento dei conti correnti di società che viaggiano su binari differenti come Starlink.
Elon Musk non balla più la samba
La strategia di Elon Musk è quella, come già ha fatto nel caso di Pavel Durov e Telegram, che tutto è buono per orientare il dibattito sul free speech. Infatti, Musk si è definito un censurato dalla piattaforma e, di conseguenza, tutti gli utenti di X che quotidianamente gli accordano grande fiducia. X in Brasile è una piattaforma utilizzata da tantissime persone che, ad oggi, sono in preda alla disperazione ed hanno iniziato la fuga verso nuove piattaforme social tra cui Bluesky, Mastodon e Threads di Meta.
Il governo sanzionerà con 8 mila dollari chi utilizzerà la piattaforma attraverso una VPN e Musk ha subito lanciato un messaggio pubblico invitando a partecipare ad un sondaggio dove chiede se i “censurati brasiliani” possano disporre di StarLink in omaggio per continuare ad utilizzare la piattaforma. L’Autorità brasiliana intanto ha fatto partire una richiesta nei confronti di Apple per rimuovere l’applicazione dall’App Store rendendo impossibile il download dell’applicazione. Quello che è successo a Musk sembra nulla rispetto ai risvolti dell’ultima settimana che hanno interessato il patron di Telegram. Parliamo di Pavel Durov che è stato prima arrestato e poi rilasciato con dei capi d’accusa pesantissimi che riguardano la sua presunta responsabilità oggettiva nella pubblicazione di contenuti illegittimi.
Pavel Durov: tra terrorismo e violenza privata
Durov è stato rilasciato su una cauzione di 5 milioni di euro e può uscire dalla sua dimora di Parigi solo due giorni a settimana e gli è stato ritirato il passaporto. La situazione poi si è complicata ancora di più anche perché ci troviamo di fronte ad accuse penali gravissime smentite dallo stesso Digital Service Act che non prevede la responsabilità oggettiva dei titolari delle piattaforme su eventuali contenuti. A rovinare la situazione di Durov però, c’è un’altra accusa: quella di presunte violenze al figlio avanzata dalla moglie.
Pavel Durov: è stato arrestato dai francesi o si è costituito contro i russi?
Da non sottovalutare un’analogia simile con Elon Musk che è accusato dal figlio, interessato dalla transizione di genere, di violenze per aver intrapreso questa scelta. Elon Musk pubblicamente ha rigettato più volte il riconoscimento del figlio, il quale va contro le sue ideologie politiche attuali. In questo caso si potrebbe trovare un’analogia anche con i casi di Assange che hanno provato ad accusare di stupro confermando un impianto di accusa più volte utilizzato che comprende una problematica privata associata ad una questione prettamente criminosa per il proprio ruolo all’interno di un’attività.
La letterina di Mark che svela la censura
In questi giorni, c’è stata una lettera da parte di Mark Zuckerberg che ha smentito molte delle teorie scientifiche che sono riuscite a spuntarla rispetto ad altre durante il Covid con l’aiuto del sistema dei Fact-Checkers, dove ha ammesso di aver ceduto a pressioni governative per censurare e veicolare l’informazione. La notizia è stata fatta circolare dalla stampa nazionale con una naturalezza nonostante abbia smentito molte delle notizie diffuse in precedenza dalla stessa, non curandosi se queste fossero vere o false e soprattutto in odore di regime.
Italia, Meta usa metodi cinesi e censura i giornalisti, diffamandoli
Oltre alle notizie sulla pandemia trattate da Zuckerberg, figura anche quella di Hunter Biden, figlio di Joe, che tutti sanno essere tossicodipendente. Nonostante ci si può sospettare che le notizie circolate sul conto del figliol prodigo in affari con il padre presidente USA siano state fomentate con interesse dai russi, è possibile affermare con certezza che le informazioni non appartenevano alla categoria delle notizie false, perché facilmente riscontrabili ed il tempo ha confermato a suon di sentenze emesse.
L’Europa tace, l’Italia acconsente
In questo contesto, l’Europa si è mossa con molta riservatezza. Non ci sono state grandi dichiarazioni in merito sulla lettera di censura, soprattutto perché le direttive applicate da Meta su impulso delle agenzie di Governo, sono le stesse che negli anni sono state applicate dall’Unione Europea, in alcuni casi in modo più energico paesi dove è entrato in vigore il Green Pass. Di conseguenza, i quotidiani oggi non hanno convenienza nel trattare la notizia di Zuckerberg, perché smentirebbe loro stessi ed anche perchè hanno ricevuto finanziamenti a pioggia per la crisi Covid.
Dal punto di vista della cronaca, si è gridato, o meglio, si è provato a gridare allo scandalo, ma la situazione è chiara alla cittadinanza che, composta dai lettori di questi ultimi 4 anni, ha ripudiato il giornalismo e le testate principali proprio per essere state dalla parte della censura: la stessa che Zuckerberg ha applicato per conto del governo degli Stati Uniti.
L’Italia dal doppio volto
C’è però chi in realtà avrebbe l’intenzione di fare luce sul tema, ed è Ginevra Cerrina Feroni del Garante della Privacy. La componente del collegio dei difensori della privacy italiana rappresenta l’unica figura di Governo ad aver sollecitato delle azioni mirate a capire quali tipo di informazioni siano state censurate in epoca Covid. Anche perché, ricordiamolo al lettore, la Corte Costituzionale del Bel Paese ha più volte emesso dei pareri vincolanti che hanno certificato la bontà delle azioni politiche del governo sulla base di dati scientifici che sono stati dismessi o smentiti, perché imprecisi o destituiti di fondamento scientifico, ma sono stati utili per motivare le azioni politiche intraprese dal governo Draghi ritenute da molti draconiane e surrettizie.
Ginevra Cerrina Feroni, però, in questo momento si trova a fare i conti con un nemico più grande: all’interno del Garante sono presenti componenti che sono collegati al governo Meloni, come Agostino Ghiglia, che ha affidato a Paolo Benanti la gestione del futuro del giornalismo e delle regole dell’informazione nell’epoca dell’intelligenza artificiale. Paolo Benanti più volte ha mostrato di essere propenso alla censura preventiva delle informazioni, riservando particolare attenzione alla piattaforma di X, ed infatti ha definito Elon Musk “un imprenditore senza scrupoli” mentre su Zuckerberg non si è espresso, essendo lo stesso patron di Meta in linea con i dispositivi che Benanti vuole applicare al mondo del giornalismo italiano di censura preventiva delle informazioni in Europa invocata dall’attuale presidente della Commissione.
Per quanto riguarda invece gli altri due componenti del Garante, Presidente Stanzione ed il componente Guido Scorza, quest’ultimo convinto che sui social non si possa pubblicare tutto, hanno latitato più di tutti quando si è trattato di punire severamente Meta in occasione dei vari databreach che hanno creato grandi problemi nei confronti della popolazione italiana. Attraverso il leak dei numeri telefonici di tutto il mondo, infatti, molti cittadini si sono trovati invasi di messaggi WhatsApp contenenti link malevoli o proposte truffaldine. Quindi, il nemico di Ginevra Cristina Cerroni nella sua attività di fare chiarezza su Meta, risiede dapprima nelle stanze del potere di cui lei stessa è parte.
Perchè gli altri Garanti non intervengono?
In attesa nel vedere quali potranno essere i risvolti di questa vicenda, Altri Enti che in questo momento latitano sono il Garante delle Comunicazioni, ma anche quello del Mercato. È chiaro che la censura applicata in maniera preventiva sulla piattaforma social ha reso di fatto il mercato editoriale viziato e drogato dalla censura, non basato su un principio di meritocrazia della qualità delle fonti, bensì su una scelta privata dettata da motivi infondati.
In un paese sovrano, come Francia e Brasile hanno dimostrato a ragione e a torto, dovrebbe far scattare una nota congiunta tra il Garante del Mercato, della Privacy, ma anche delle Comunicazioni, che ormai imperversano per quanto concerne la questione dei social network.
La favoletta che l’Italia è un paese libero, dove esiste la libertà di espressione e di stampa e la trasparenza scientifica non regge più e l’assenza di azioni istituzionali contro Meta al momento ne è una conferma.
Analizzando la situazione attuale, la Commissione Editoria sull’AI voluta da Baracchini, quest’ultimo in quota Forza Italia ed in pieno conflitto di interessi con la famiglia Berlusconi, e presieduta da Benanti dovrà compiere l’atto finale: applicare questi criteri di censura preventiva e favorire una parte del mercato editoriale istituendo anche quello che sarà il primo reddito universale nei confronti dei lavoratori del settore dell’informazione, così come annunciato in anticipo dallo stesso Benanti sotto forma di fee alle imprese editoriali.
Censura per la sicurezza nazionale o per affari privati?
In poche parole, l’Italia è schierata dalla parte della censura; gli unici che si oppongono, guarda caso, sono quelli della Lega, Cerroni è dei loro, partito che non ha votato il Digital Services Act, che, paradossalmente tra luci e ombre, ha aperto anche degli spiragli positivi nei confronti dei cittadini nella loro dura battaglia verso le piattaforme BigTech, ma è stato immaginato dai legislatori, Gentiloni compreso, come una sorta di Ministero della Verità.
È chiaro che se esiste un’esigenza di sicurezza nazionale, sappiamo tutti che qualsiasi cosa prevarrà anche sui diritti basilari come la libertà di stampa e di espressione. Il problema oggi è tracciare il significato di “sicurezza nazionale”. In questi ultimi anni, più che alla sicurezza per il bene del Paese, abbiamo assistito ad una sicurezza utile agli interessi privati di settori come quello della medicina e della farmaceutica e, allo stesso tempo, delle armi. La libertà di stampa e di informazione, nella maggior parte dei casi, si è piegata, si è prestata a determinate narrazioni che in realtà non badavano al benessere dei cittadini, bensì al benessere delle corporazioni economico-finanziarie. Strano che tutto questo passi sotto traccia negli ambienti che contano, soprattutto quando sono unti dal Signore.
Inchieste
Zuckerberg si dice pentito, ma sempre e solo sotto le elezioni
Mark Zuckerberg esce allo scoperto e accusa il Partito Democratico usa con cui ha collaborato a stretto contatto almeno negli ultimi 5 anni ed il CEO di Meta ha ribadito ancora una volta cose trite e ritrite due anni fa, guarda caso, quando ha dichiarato di aver subito pressioni dalle agenzie governative in occasione delle elezioni Midterm statunitensi.
Mark Zuckerberg è “un imprenditore senza scrupoli” che piace al Vaticano che ha definito Musk con queste parole. È colui che in questi anni ha consentito la proliferazione di sistemi di fact-checking imposti da alcune società apparentemente innocue, ma ben infiltrate dal settore dell’intelligence, come ad esempio Newsguard. È anche colui che ha cercato di chiudere il mercato editoriale favorendo determinati soggetti rispetto ad altri con accordi privati e non per una questione di autorevolezza, ma per ragioni lobbistiche. In un paese civile e sovrano, Mr. Facebook sarebbe messo alla gogna per ingerenze sulla vita e sull’opinione pubblica compresa la libertà di stampa fino ad arrivare alla concorrenza sleale in un mercato oramai drogato dall’influenza di entità oscure che impongono logiche torbide ai social. In un’Italia attenta alle ingerenze straniere, sarebbe stato bannato già da diversi anni e precisamente da quando ha iniziato a denigrare i giornalisti con le accuse più infamanti, gratuite e tollerate dalle associazioni di categoria del settore, per poi darli in pasto all’oblio regolamentato dai suoi algoritmi di intelligenza artificiale senza nemmeno degnarsi a rispondere a coloro che facevano appello per le decisioni prese.
Mark Zuckerberg ha dichiarato di aver subito pressioni sull’argomento COVID-19 da parte dell’amministrazione Biden affinché venissero cancellate determinate notizie sulla pandemia. Queste notizie, guarda caso, hanno interessato non solo la politica, ma anche gli affari di aziende private, che stanno emergendo in questi giorni come inopportuni e incapaci di risolvere effettivamente la pandemia passata, unitamente ad azioni che hanno inciso sulla spesa pubblica di interi continenti ed in danno ai cittadini. Questo ha significato che il silenzio di Facebook e Instagram non ha fatto altro che premiare scienziati finanziati dalle case farmaceutiche, ricerche farlocche, e poi ritirate, relegando colleghi indipendenti nell’oblio dei social attraverso ban di profili oppure shadow banning. Ed è proprio lo shadow banning lo strumento che Facebook ha sempre negato di utilizzare ma che, in realtà, ha applicato su larga scala dichiarandolo negli ultimi mesi quando ha imposto che per vedere contenuti socialmente rilevanti dal punto di vista delle tematiche trattate, bisognava abilitarli, altrimenti venivano relegati nell’oblio dei post visti nemmeno dai contatti più stretti. Elon Musk ha pubblicamente dichiarato che l’Europa ce l’ha a morte con lui proprio perché si è rifiutato di mettere in shadowban gli utenti su indicazione di Bruxelles.
Biden ha un figlio tossicodipendente che fa affari in Ucraina
Un’altra missione portata a termine da Zuckerberg, sempre nel 2020 e iniziata prima delle elezioni, è stata quella relativa alla storia del figlio del presidente Biden, noto tossicodipendente in affari condivisi col padre. Zuckerberg ha dichiarato di essere stato avvicinato dalle agenzie investigative di intelligence per mettere a tacere questa notizia, poiché considerata fonte di propaganda e disinformazione russa. La realtà è un’altra: Facebook è stata essenzialmente connivente con una situazione che, se mostrata al mondo intero a suo tempo, avrebbe sicuramente cambiato la percezione di ciò che Biden pensava dei russi e della scelta di criminalizzare Putin all’improvviso con un fulmine a ciel sereno appena eletto. La strategia di gettare ombre sul Cremlino, quando queste erano nella casa presidenziale, ha facilitato lo scoppio della guerra in Ucraina in virtù delle tensioni diplomatiche americane che tendevano ad accusare Mosca per ogni problema interno ed estero.
Zuckerberg ha paura del voto elettronico?
Zuckerberg ha anche dichiarato che in queste elezioni manterrà una maggiore neutralità evitando di finanziare attività con la fondazione della moglie di supporto al voto come avvenuto nelle precedenti elezioni. Questo per evitare che qualcuno possa travisare un suo personale coinvolgimento nelle operazioni di suffragio che hanno creato non poche polemiche sul voto postale lasciando l’amaro in bocca e qualche dubbio al popolo americano.
Qualcuno potrebbe pensare che la distanza di Zuckerberg intrapresa nei confronti di Biden sia una consapevolezza di un’altra vittoria di Trump, ma la realtà è ben diversa, basta avere la memoria lunga e notare la posizione di distacco che mr. Meta ha nei confronti delle elezioni pur avendo la maggioranza delle sue figure apicali aziendali schierate a favore dei Dem tra cui molti in quota LGBTQ e pro Obama.
La situazione italiana
Meta continuerà a censurare l’Italia e l’Europa sulla base delle disposizioni interne e lo farà preventivamente mentre negli USA eventuali ban alle notizie verranno effettuati non prima, bensì dopo l’eventuale intervento dei fact-checkers. Questo dimostra che l’Europa su alcune piattaforme ha un potere di censura preventiva e lascia eventuali decisioni ad associazioni che non sempre hanno una composizione giuridica interamente europea.
Giorgia Meloni è rimasta in silenzio nonostante abbia dichiarato in campagna elettorale di prendere provvedimenti verso la piattaforma, ma si sta consolando con l’assenza sulle polemiche che quest’estato hanno coinvolto Musk a botta di fake news.
Per quanto riguarda i fact-checkers, la dichiarazione sotto elezioni di Zuckerberg non solo ha definitivamente demolito la credibilità nei confronti dei lettori di chi fino a ieri censurava secondo una logica di governo straniero, ma mette in difficoltà anche il presidente Mattarella che più volte è intervenuto contro la disinformazione additando quella parte ritenuta coinvolta nelle ingerenze straniere e che, in alcuni casi ha avuto anche ragione per come si sono evolute le notizie.
Chi oggi esulta per aver detto la verità, non ricorda di averlo fatto qualche anno fa, sempre il CEO di Meta e sempre sotto Elezioni USA, ed oltre al successo personale, dovrebbe incanalare la discussione su un livello meno populista e più professionale come l’aula di un parlamento e magari qualche politico dovrebbe convocare una Commissione, ma il sospetto che sia tutto un unico sistema a godere dei lati positivi, pochi, e oscuri, tanti, dei social non è del tutto infondato.
Un cortocircuito che mette il lettore, il professionista e la casalinga verso una scelta:
continuare a credere nelle certificazioni delle notizie oppure sforzarsi nel verificare le notizie autonomamente?
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