In questi giorni TIM ha presentato in pompa magna il suo software antivirus, nazionale, che ambisce a sostituire dei software stranieri indesiderati e potenzialmente pericolosi. La reazione di molti professionisti del settore a Telsy, disponibile da maggio, è stata di sorpresa mista a scetticismo e le motivazioni sarebbero ricondotte al fatto che è “improbabile” creare da zero un antivirus-malware, in tempi ridotti, a meno che non si sia acquistato un codice già pronto da un’altra azienda per poi implementarlo con modifiche che si sperino essere migliorative.
Oltre alla questione del codice, subentra quella della casistica perchè un antimalware di ultima generazione ha bisogno di avere quanti più dispositivi con il suo software installato per generare statistiche utili ad un approccio euristico predittivo dei potenziali rischi. Non solo quindi sviluppare firme antivirali, ma bloccare processi potenzialmente pericolosi.
Sul sito del colosso italiano delle telecomunicazioni il messaggio è chiaro:
TIM lancia sul mercato con Telsy, società del Gruppo specializzata in cybersecurity e crittografia, un nuovo sistema antivirus avanzato interamente ‘made in Italy’ e destinato alla clientela Business e alla Pubblica Amministrazione. Progettato, sviluppato e gestito in Italia, il nuovo sistema di Endpoint Protection garantisce funzionalità di anti-virus, anti-malware, anti-spyware e anti-ransomware.
La nuova soluzione, disponibile da maggio, è il risultato del lavoro di esperti specializzati nella cybersecurity, del Telsy Incident Response Team e della grande esperienza maturata negli anni dall’azienda del Gruppo nella realizzazione di prodotti e servizi per la sicurezza delle informazioni e delle comunicazioni.
Secondo una fonte interpellata da Matrice Digitale, il Ministero dell’Interno sta già provvedendo a sostituire Kaspersky con un prodotto non europeo e nemmeno statunitense. Dopo essersi affidati per anni ai temibili russi, si è passati ai miti, almeno apparentemente, giapponesi di TrendMicro.
Trend Micro è una azienda con sede in Giappone e negli States, conta seimila dipendenti ed ha un fatturato di quasi 2 miliardi di dollari. Scegliere un’azienda giapponese, significa rimanere nel perimetro della NATO e quindi sotto la potenziale sorveglianza delle agenzie statunitensi.