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Inchieste

Cypherpunk e Anarco Capitalismo: provocazione o nirvana dell’umanità?

Tempo di lettura: 9 minuti. Il mondo ha le sue tecnologie per poter cambiare i modelli economici dati per falliti.
L’intervista a Matteo Navacci, Privacy Network, prova a fornire una visione diversa di un futuro già scritto.

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Il Presidente Macron ha dichiarato in questi giorni che “è finita l’abbondanza”, il tedesco Scholz ha ammesso che il modello economico della Germania, la locomotiva d’Europa, ha fallito ed è giusto tassare i cittadini, mentre in Italia abbiamo avuto come Presidente del Consiglio uno dei maggiori sostenitori di quanto occorso nelle politiche economiche dell’occidente. Il mondo ad Ovest si sta adattando alle nuove sfide in lacrime e sangue e sarebbe opportuno rivedere i modelli di gestione su cui si fonda la società moderna ed in rete c’è qualcosa che va oltre i principi Keynesiani: la newsletter Privacy Chronicles (https://privacychronicles.substack.com) offre uno spaccato futuristico con approfondimenti su leggi e avvenimenti che hanno un impatto sulla nostra vita privata e libertà e commenta le notizie della settimana, scrive pensieri di filosofia libertaria, che si legano strettamente al concetto di privacy e libertà di cui parla. La newsletter è realizzata da Matteo Navacci che lavora da anni nel campo della privacy e protezione dei dati come consulente per imprese, divulgatore e ogni tanto docente. Nel 2018 ha fondato, insieme a due soci, Privacy Network, un’organizzazione noprofit che si occupa di privacy, diritti e tecnologia ed ogni anno organizza l’evento Privacy Week, che assurge a diventare il riferimento nazionale per parlare di privacy, cybersecurity, bitcoin e temi affini al digitale.

I termini che utilizza spesso sono anarco capitalismo e cypherpunk due cose diverse messe insieme oppure l’una correlata all’altra?

La filosofia anarcocapitalista o libertarian e il movimento cypherpunk sono due cose diverse.

L’anarco capitalismo è una filosofia politica relativamente recente, che alle sue spalle ha però secoli di storia liberale. Se vogliamo, l’anarco-capitalismo non è altro che una versione estrema del liberalismo classico. L’estremismo sta nel fatto che i libertari riconoscono che non è possibile avere una società umana realmente libera fin tanto che ci sarà un monopolista della violenza aggressiva, quello che chiamiamo stato, che può essere sfruttato di volta in volta da diversi gruppi, con interessi contrapposti, che salgono al potere o riescono comunque a influenzarne le decisioni. La filosofia libertaria cerca di riconciliare i principi dell’anarchia classica con il capitalismo, cioè creare una società orizzontale con regole condivise senza regolatori centrali caratterizzata da un sistema economico di libero mercato in cui tutti i mezzi di produzione e le risorse materiali sono proprietà degli individui, che sono liberi di scambiare tra loro titoli di proprietà. Senza scendere nei dettagli, un assioma molto importante della filosofia libertaria è il principio di non aggressione. Questo è importante perché l’anarchia spesso viene erroneamente paragonata a movimenti violenti. Per un libertario la violenza è legittima solo come autodifesa, cioè come risposta proporzionale a un’aggressione, e solo come extrema ratio.

Per quanto riguarda invece il movimento cypherpunk, questo nacque spontaneamente nei primi anni ’90 da una mailing list di ricercatori e ingegneri nel campo della crittografia a cui piaceva parlare di tecnologia, politica e libertà. Tra loro si chiamavano scherzosamente Cypherpunk, dall’unione di Cipher (codice, messaggio cifrato) e Cyberpunk (genere letterario di science-fiction distopica, dove stati totalitari e corporazioni onnipotenti controllano il mondo). A consolidare il termine ci pensò Eric Hughes, uno dei fondatori della mailing list, che nel 1993 scrisse il Cypherpunk Manifesto. Il modo migliore per spiegare le idee dei cypherpunk originari è proprio citare un passaggio del manifesto:

  • Non possiamo aspettarci che i governi, le corporazioni e altre organizzazioni senza faccia ci lascino generosamente la nostra privacy. Parlare di noi (leggi: interferire nella vita privata) è nel loro interesse, e per questo dovremmo aspettarci che lo facciano.
  • Noi Cypherpunk siamo impegnati nel costruire sistemi anonimi. Difendiamo la nostra privacy con la crittografia, con sistemi anonimi di posta elettronica, con firme digitali e moneta elettronica.
  • I Cypherpunk scrivono codice. Sappiamo che qualcuno deve scrivere software per difendere la privacy, e saremo noi a farlo. (originale in inglese)

Possiamo dire quindi che Cypherpunk e Libertari hanno in comune una completa sfiducia nelle istituzioni statali e nel fatto che queste possano in qualche modo essere garanti della libertà e rispettare diritti umani basilari e fondamentali come la privacy, che è un elemento fondamentale oggi per avere libertà di pensare, agire e avere relazioni, oltre che essere liberi da ingerenze arbitrarie nella nostra vita privata. I Cypherpunk sono coloro che creano e diffondono strumenti tecnologici per proteggersi dall’ingerenza dello stato, aiutando le persone a difendere la propria libertà in un ambiente ostile. I libertari sono invece coloro che vorrebbero liberare le persone da questo ambiente ostile. In questo senso le idee Cypherpunk e Anarcocapitaliste sono complementari tra loro.

Spesso dici che la società deve essere libera, con riferimenti a libera circolazione di armi, valuta digitale e quindi sistema anarchico che può essere anche pronto e predisposto a una lotta armata quando le cose non vanno bene. Provocazione o c’è un significato di utilità alla base?

Per me libertà significa libertà di autodeterminazione, di pensiero e di agire sulla base del pensiero. Per avere libertà però è fondamentale proteggere se stessi da ingerenze di terzi, che con violenza vorrebbero limitare la nostra autodeterminazione, il nostro pensiero e la nostra capacità di agire. La libertà non può quindi prescindere dalla capacità di autodifesa, cioè il diritto di difendere la proprietà, il pensiero e la vita da aggressioni esterne.

La diffusione di armi per autodifesa è quindi un presupposto fondamentale per avere un sistema libero. Le armi sono uno strumento di autodifesa ma anche un deterrente all’uso di forza aggressiva, poiché aumentano il costo della violenza. Un conto è rubare la borsa a una donna indifesa; un conto è rubarla a una donna che gira con la pistola in fondina. La pistola non annulla la violenza, ma ne aumenta il costo. Al tempo stesso la libera circolazione delle armi è anche una conseguenza di un sistema libero: senza un monopolista (lo stato) produttori e commercianti sarebbero liberi di soddisfare la domanda di armi con la loro offerta.

Quando parlo di armi però non mi riferisco solo alle armi da fuoco. Da qualche decennio abbiamo a disposizione un altro tipo di arma, chiamata crittografia. Ai libertari tradizionalmente non è mai piaciuta molto la tecnologia, perché nella maggior parte dei casi lo stato detiene il monopolio della tecnologia offensiva e difensiva, che viene usata come strumento di sottomissione dei popoli. Ed è vero: fino agli anni ’70 i protocolli di crittografia erano considerati al pari di armi da guerra e strettamente monopolizzati dagli stati.

Ma oggi grazie a internet e software open source, tutti possono usare protocolli crittografici, e lo fanno! La crittografia già protegge silenziosamente le nostre comunicazioni, transazioni e la nostra vita in modi che le persone neanche concepiscono. La crittografia, proprio come la diffusione delle armi portatili, è uno strumento equalizzatore. Aumenta il costo della violenza fino al punto di renderla sconveniente per la maggior parte degli attaccanti. La crittografia, come le armi da fuoco, le spade o le balestre, può essere usata come tecnologia difensiva o aggressiva. I ransomware sono un esempio di crittografia usata a scopo aggressivo.

I Cypherpunk sviluppano strumenti di crittografia per aiutare le persone a difendersi dalla violenza e credono fermamente nella libera circolazione di queste armi. I libertari credono nella libera circolazione di tutte le armi, perché non esiste solo il mondo virtuale – benché oggi sia una gran parte della nostra vita.

Sostenere la libera circolazione delle armi, siano pistole o protocolli crittografici, non è affatto per prepararsi a una “lotta armata” nel senso di rivoluzione contro il sistema, ma per difendere la propria libertà di autodeterminazione, di pensiero e capacità di agire in un mondo ostile.

Anche Bitcoin, ad esempio, è uno strumento di autodifesa nato grazie alla diffusione della crittografia. Attraverso la crittografia Satoshi Nakamoto, l’ideatore del protocollo Bitcoin, ha saputo creare un sistema di transazioni totalmente peer to peer, con un sistema di produzione decentralizzato e un registro delle transazioni distribuito. Grazie alle sue caratteristiche Bitcoin aumenta a dismisura il costo della violenza da parte di un attaccante, al punto da renderla praticamente impossibile, tenendo al sicuro il network. Ma non solo, Bitcoin diminuisce anche i costi di transazione tra gli individui, agevolando lo scambio a livello globale. L’altra faccia della medaglia è che separa ontologicamente Stato e individuo, che quindi può esistere funzionalmente al di fuori del monopolio statale della moneta e della violenza. Al tempo stesso aumenta di molto il costo della sorveglianza, del controllo finanziario e dell’esproprio da parte dello Stato, proteggendo la proprietà, la libertà di autodeterminazione, di pensiero e anche di azione delle persone. Come vedi quindi la mia è tutt’altro che una provocazione fine a se stessa.

Socialismo porta alla riduzione dei diritti, come social scoring, identità digitale, da cui possono derivare conseguenze negative (es. blocco conti bancari). Non è che questo tipo di socialismo sia il fascismo di questo nuovo secolo utile a controllare 8 miliardi di persone?

Fascismo e socialismo sono solo due facce della stessa medaglia. Se volessimo essere precisi dovremmo parlare di statalismo. Se parlo di socialismo è soltanto perché oggi viviamo in sistemi socialisti. L’Italia, come la maggior parte dell’UE, è un sistema socialista. Come anche la Cina, modello ispiratore di moltissimi intellettuali tecnocrati occidentali. Quando dico che il socialismo porta alla riduzione dei diritti (che per me sono esclusivamente: proprietà, privacy, vita, libertà), è perché per funzionare il socialismo ha bisogno di rendere sempre più trasparenti le persone. Il cittadino è tale solo in quanto completamente e totalmente trasparente verso lo Stato, che si erge a detentore, e non garante, della libertà. Perché detentore? È molto semplice: è lo Stato che, attraverso contorti e arbitrari valori morali, assegna di volta in volta privilegi politici che chiama diritti e libertà. Il cittadino è quindi racchiuso in un recinto innalzato dallo stato, ed è soltanto libero di muoversi attraverso un percorso prestabilito.

La sorveglianza digitale, fisica e finanziaria non è nient’altro che uno strumento di pianificazione sociale. Lo stato oggi ha bisogno di identità digitale per collegare ogni azione e relazione ad una specifica persona, così da poter soddisfare i suoi “bisogni” in tempo reale, oltre che controllare e censurare quando serve, vedi ad esempio in Italia chi spinge per subordinare la registrazione sui social network all’uso dello SPID. A questo discorso si lega strettamente quello della censura finanziaria, sempre più evidente in occidente, e la futura evoluzione della moneta di stato, cioè le Central Bank Digital Currencies, che saranno la trasformazione della moneta da strumento per il libero scambio a strumento di ingegneria sociale.

La necessità di controllo e sorveglianza poi aumenta di pari passo col deteriorarsi della situazione economica e sociale, come accade sempre in un sistema statalista e socialista. Viviamo in un periodo di estrema volatilità in ogni ambito umano ed economico; lo Stato deve fare di tutto per diminuire le variabili.

La principale variabile rimane sempre il comportamento umano, ecco perché il più grande stato socialista al mondo, la Cina, già dal 2014 ha rispolverato il programma di social scoring ideato negli anni ’90.

Il social scoring, che potremmo tradurre con cittadinanza a punti, non è altro che un modo per standardizzare il comportamento umano e renderlo più prevedibile e manipolabile, attraverso un sistema di incentivi e sanzioni. Il problema degli incentivi è che funzionano, e non ho dubbi che questi sistemi, se diffusi capillarmente, abbiano il potere di soggiogare completamente la volontà e libertà di autodeterminazione delle persone.

Qual è la differenza tra la società del futuro che tu vorresti e la società che invece ci sarà? C’è la possibilità realmente di arginare fenomeni come quello della finanza speculativa o della redistribuzione delle tasse?

Purtroppo, non prevedo il futuro e faccio pure fatica a capire il presente. So però che oggi abbiamo tutti gli strumenti per poter scegliere, pacificamente, un modello di società diverso. La società che vorrei è una società orizzontale, dove i rapporti umani sono regolati da legge privata su base volontaria, dove le persone si costituiscono in comunità fisiche e/o virtuali, dove la moneta non è monopolio di un Sovrano con il monopolio della violenza aggressiva. In un certo senso credo che questa possa essere un’evoluzione forzata della civiltà umana. Da sempre la tecnologia è uno dei fattori che plasmano l’evoluzione umana, abbiamo visto in soli 30 anni in che modo Internet ha cambiato il mondo intero e il modo in cui ci rapportiamo l’un l’altro. Come sarà il mondo dopo 30 anni di Bitcoin? I nativi digitali saranno sempre più nomadi; avranno sempre meno rispetto per l’organizzazione statale. A cosa serve uno stato quando puoi lavorare ovunque nel mondo, scambiare valore e avere relazioni con 9 miliardi di persone senza intermediari e in tempo reale? Lo stato diventerà sempre più un intralcio e le persone faranno sempre più attenzione ai servizi offerti dalle città, non tanto dagli Stati in sé. Questo potrebbe portare a una naturale disgregazione dello stato nazione, a favore di stati federalisti e comunità locali sempre più rilevanti rispetto all’unità centrale. La visione opposta è invece quella tipica dei romanza cyberpunk: stati totalitari sempre più grandi e sovranazionali, con poteri illimitati, sorveglianza illimitata e monopolio di armi e tecnologia. Una cosa è certa, oggi ci sono delle forze istituzionali, come il World Economic Forum, che spingono verso il secondo scenario. Io spero che in ogni caso vinca la ragione e la libertà.

Pedofilia, sorveglianza, crittografia e strumenti di controllo. Entrando nel merito politico, secondo te i politici hanno libera scelta di poter intervenire e contrastare questo fenomeno oppure indipendentemente dal politico che salirà al potere questa è una scelta obbligata da seguire perché c’è un indirizzo politico globale dove già altri paesi fanno da apripista?

I politici nazionali oggi hanno sempre meno libertà d’azione, almeno nelle questioni che contano davvero. Basta guardare alle questioni che hai citato tu. Dagli anni ’90 gli Stati Uniti cercano di rimettere il coniglio nel cappello e limitare in qualche modo la diffusione della crittografia delle comunicazioni. Non ci sono mai riusciti, quindi ora tentano un approccio diverso: oltrepassare legalmente e tecnologicamente la crittografia stessa. Anche in questo ambito non c’è differenza tra Stati Uniti e Unione Europea.

La pedofilia è uno dei campi da gioco scelti per limitare e bypassare la crittografia delle comunicazioni. Da un paio d’anni è oggetto di una campagna politica trasversale che spinge per promuovere leggi liberticide e di sorveglianza di massa contemporaneamente in UK, USA, Australia e Unione Europea. Le proposte di legge, se vai a guardarle, sono praticamente identiche tra loro, usano gli stessi termini e hanno la stessa ratio, oltre ad essere uscite nello stesso periodo di tempo. Questo, tra l’altro, è un tema che ho trattato abbondantemente nella mia newsletter, credo di averci scritto sopra almeno 4-5 articoli.

Questa spinta nasce da un accordo internazionale tra i paesi dei Five Eyes, cioè USA, UK, Canada, Australia e Nuova Zelanda. L’UE poi, in quanto colonia statunitense, ha seguito rispettosamente.

Lo stesso vale per altri ambiti dove la sorveglianza elettronica la fa da padrone, come la normativa antiriciclaggio e contro il finanziamento al terrorismo. In UE siamo oggi alla sesta revisione del pacchetto normativo. Ogni revisione aumenta il controllo e diminuisce gli spazi di privacy e anonimato nelle transazioni elettroniche. Anche qui la legge non arriva dall’UE, ma dalle linee guida del FATF – ente sovranazionale e senza alcuna responsabilità politica, che da 40 anni detta legge nell’ambito dell’antiriciclaggio. Questo non lo sostengo io, ma lo stesso legislatore europeo che nei considerando della legge ammette espressamente di seguire le direttive del FATF. Dov’è quindi la libertà politica di intervenire e contrastare questi fenomeni? Non esiste. Come scrivevo qualche settimana fa in un articolo, la sorveglianza è figlia dello statalismo, e lo statalismo oggi è globale. Non esiste alcun partito nazionale forte abbastanza da poter andare contro questa corrente. L’unica soluzione è la disgregazione dello statalismo.

Inchieste

Papa Francesco sarà al G7 e l’Italia festeggia il DDL AI

Tempo di lettura: 6 minuti. Papa Francesco partecipa al G7, focalizzato su etica e IA e il Parlamento discute il DDL AI con Meloni che promuove l’IA umanistica.

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Tempo di lettura: 6 minuti.

Giorgia Meloni, presidente del Consiglio, ha recentemente annunciato l’eccezionale partecipazione di Papa Francesco alla sessione del G7 dedicata all’intelligenza artificiale con in tasta il DDL sul tema. Questo evento sottolinea l’importanza crescente delle questioni etiche e umanistiche connesse allo sviluppo tecnologico.

Un impegno umanistico nell’era digitale

Durante la presidenza italiana del G7, si discuterà ampiamente su come l’intelligenza artificiale possa essere guidata da principi etici che pongono l’umanità al centro. Meloni ha enfatizzato che l’intelligenza artificiale rappresenta la più grande sfida antropologica dei nostri tempi, portando con sé notevoli opportunità ma anche rischi significativi.

La premier ha citato l’esempio della “Rome Call for AI Ethics” del 2022, una iniziativa avviata dalla Santa Sede per promuovere un approccio etico allo sviluppo degli algoritmi, un concetto noto come algoretica. L’obiettivo è sviluppare una governance dell’IA che rimanga sempre centrata sull’essere umano.

L’intervento di Papa Francesco al G7 sarà cruciale per rafforzare questa visione, offrendo una prospettiva che combina tradizione e innovazione nell’affrontare le sfide poste dall’IA alla società contemporanea.

Intelligenza Artificiale: innovazioni legislative in Italia con il DDL

L’Italia si posiziona all’avanguardia nel panorama europeo con l’approvazione di un nuovo disegno di legge sull’intelligenza artificiale. Questa legislazione pionieristica mira a promuovere un utilizzo etico e responsabile dell’IA, con un forte accento sulla protezione dei diritti fondamentali e sull’inclusione sociale.

Differenza tra Disegno di Legge e Decreto Legge

Prima di procedere, è doveroso spiegare la differenza tra un “DDL” (Disegno di Legge) e un “DL” (Decreto Legge) e che riguarda principalmente il processo legislativo e la loro natura giuridica all’interno del sistema legale italiano. Ecco i dettagli chiave:

Disegno di Legge (DDL)

  1. Definizione: Un DDL è una proposta legislativa elaborata e presentata al Parlamento per la discussione e l’approvazione. Può essere presentata da membri del Parlamento o dal Governo.
  2. Processo: Dopo essere presentato, il DDL segue un processo di esame approfondito che include discussioni, emendamenti e votazioni sia in commissione che in aula nelle due Camere del Parlamento (Camera dei Deputati e Senato della Repubblica). Questo processo può essere lungo e richiede l’approvazione finale di entrambe le Camere.
  3. Natura: Il DDL è di natura ordinaria, significando che non ha effetto immediato e deve seguire il normale iter parlamentare prima di diventare legge.

Decreto Legge (DL)

  1. Definizione: Un DL è uno strumento legislativo che il Governo può adottare in casi straordinari di necessità e urgenza. Questo decreto ha forza di legge dal momento della sua pubblicazione, ma è temporaneo.
  2. Processo: Un DL deve essere convertito in legge dal Parlamento entro 60 giorni dalla sua pubblicazione, attraverso un processo che può includere modifiche e approvazioni. Se non convertito, perde efficacia retroattivamente.
  3. Natura: Il DL ha un’immediata efficacia legale ma è temporaneo e condizionato alla sua conversione in legge ordinaria, che stabilizza le disposizioni contenute nel decreto.

Confronto e uso

  • Velocità ed Efficienza: Il DL è molto più rapido nel rispondere a situazioni di emergenza, dato che entra in vigore immediatamente. Tuttavia, questa rapidità viene bilanciata dalla necessità di una successiva conferma parlamentare.
  • Stabilità e Riflessione: Il DDL segue un processo più riflessivo e può essere soggetto a più ampie discussioni e revisioni, il che può contribuire a una legislazione più ponderata e dettagliata.

Il DL è utilizzato per situazioni urgenti che richiedono una risposta legislativa immediata, mentre il DDL è il mezzo standard per la creazione di nuove leggi, offrendo più opportunità per l’esame e la discussione parlamentare.

Focus sui Principi Generali e innovazioni

Il disegno di legge definisce norme precise per la ricerca, lo sviluppo, e l’implementazione dell’IA, assicurando che ogni applicazione tecnologica rispetti la dignità umana e le libertà fondamentali, come stabilito dalla Costituzione italiana e dal diritto dell’Unione Europea. Tra i principi chiave, spicca l’impegno verso la trasparenza, la sicurezza dei dati, e l’equità, evitando discriminazioni e promuovendo la parità di genere.

Uno degli aspetti più rilevanti è l’introduzione di un quadro normativo per garantire che l’IA non sostituisca ma supporti il processo decisionale umano, mantenendo l’uomo al centro dell’innovazione tecnologica. In particolare, il disegno di legge enfatizza l’importanza della cybersicurezza e impone rigidi controlli di sicurezza per proteggere l’integrità dei sistemi di IA.

La legge stabilisce principi chiave per l’adozione e l’applicazione dell’IA in Italia, focalizzandosi su trasparenza, proporzionalità, sicurezza e non discriminazione. Viene data particolare attenzione al rispetto dei diritti umani e alla promozione di una IA “antropocentrica”, ossia che metta al centro le esigenze e il benessere dell’individuo.

Settori di impatto e disposizioni specifiche

La legislazione tocca vari settori, dalla sanità al lavoro, dalla difesa alla sicurezza nazionale, delineando norme specifiche per ciascuno:

Sanità

L’IA dovrebbe migliorare il sistema sanitario senza discriminare l’accesso alle cure. Si promuove l’uso dell’IA per assistere la decisione medica, ma la responsabilità finale rimane sempre nelle mani dei professionisti. L’impiego dell’intelligenza artificiale nel settore sanitario, come delineato nella nuova legislazione italiana, è concepito per migliorare l’efficacia e l’efficienza dei servizi sanitari, pur salvaguardando i diritti e la dignità dei pazienti. La legge impone che l’introduzione di sistemi di IA nel sistema sanitario avvenga senza discriminare l’accesso alle cure e che le decisioni mediche rimangano prerogativa del personale medico, sebbene assistito dalla tecnologia. È previsto inoltre che i pazienti siano adeguatamente informati sull’uso delle tecnologie di intelligenza artificiale, ricevendo dettagli sui benefici diagnostici e terapeutici previsti e sulla logica decisionale impiegata.

Implicazioni della Legge sulla Sicurezza e Difesa Nazionale:

Le applicazioni di IA per scopi di sicurezza nazionale devono avvenire nel rispetto dei diritti costituzionali, con una regolamentazione specifica che esclude queste attività dall’ambito di applicazione della legge generale. La legge tratta specificamente l’applicazione dell’intelligenza artificiale per scopi di sicurezza e difesa nazionale, stabilendo che queste attività siano escluse dall’ambito di applicazione delle norme generali sulla regolamentazione dell’IA. Tuttavia, è chiaro che tali attività devono comunque svolgersi nel rispetto dei diritti fondamentali e delle libertà costituzionali. Si prevede che l’uso dell’IA per la sicurezza nazionale sia regolato da normative specifiche, garantendo la conformità ai principi di correttezza, sicurezza e trasparenza, e imponendo controlli rigorosi per prevenire abusi.

Lavoro

Viene regolato l’utilizzo dell’IA per migliorare le condizioni lavorative e la produttività, garantendo trasparenza e sicurezza nell’uso dei dati dei lavoratori. L’adozione dell’intelligenza artificiale nel settore lavorativo, secondo la nuova normativa italiana, mira a migliorare le condizioni di lavoro e accrescere la produttività mantenendo al centro la sicurezza e la trasparenza. Gli impieghi di sistemi di IA devono avvenire nel rispetto della dignità umana e della riservatezza dei dati personali. I datori di lavoro sono obbligati a informare i lavoratori sull’utilizzo dell’IA, delineando chiaramente gli scopi e le modalità di impiego. La legge pone un’enfasi particolare sulla non discriminazione, assicurando che l’IA non crei disparità tra i lavoratori basate su sesso, età, origine etnica, orientamento sessuale, o qualsiasi altra condizione personale.

Iniziative per l’inclusione e la formazione

Significative sono le disposizioni per garantire l’accesso all’IA da parte delle persone con disabilità, assicurando pari opportunità e piena partecipazione. Viene inoltre data importanza alla formazione e all’alfabetizzazione digitale in tutti i livelli educativi per preparare i cittadini a interagire con le nuove tecnologie.

Il disegno di legge promuove attivamente la formazione e l’alfabetizzazione digitale come componenti fondamentali per l’integrazione dell’intelligenza artificiale nella società. Questo include l’implementazione di programmi di formazione sia nei curricoli scolastici che nei contesti professionali, al fine di preparare studenti e lavoratori a interagire efficacemente e eticamente con le tecnologie avanzate. Si prevede inoltre che gli ordini professionali introducano percorsi specifici per i propri iscritti, affinché possano acquisire le competenze necessarie per utilizzare l’IA in modo sicuro e responsabile nel rispetto delle normative vigenti.

Tutela della Privacy e della Proprietà Intellettuale

La legge enfatizza la protezione dei dati personali e introduce regole per garantire che i contenuti generati o manipolati tramite IA siano chiaramente identificati, proteggendo così l’integrità informativa e i diritti d’autore. La nuova legislazione italiana stabilisce criteri rigorosi per la protezione della privacy degli individui nell’ambito dell’utilizzo dell’intelligenza artificiale. Si impone che ogni applicazione di IA che tratti dati personali debba avvenire in modo lecito, corretto e trasparente, conformemente alle normative dell’Unione Europea. La legge richiede inoltre che le informazioni relative al trattamento dei dati personali siano comunicate agli utenti in un linguaggio chiaro e accessibile, garantendo loro la possibilità di comprendere e, se necessario, opporsi al trattamento dei propri dati. Viene enfatizzata la necessità di una cybersicurezza efficace in tutte le fasi del ciclo di vita dei sistemi di IA, per prevenire abusi o manipolazioni.

Per quanto riguarda la proprietà intellettuale, il disegno di legge introduce misure specifiche per assicurare che le opere generate attraverso l’intelligenza artificiale siano correttamente attribuite e tutelate sotto il diritto d’autore. Viene riconosciuto il diritto d’autore per le opere create con l’ausilio dell’IA, purché vi sia un significativo contributo umano che sia creativo, rilevante e dimostrabile. Inoltre, la legge prevede che ogni contenuto generato o modificato significativamente da sistemi di IA debba essere chiaramente identificato come tale, per mantenere la trasparenza e prevenire la diffusione di informazioni ingannevoli o falsificate.

Libertà di Informazione e dati personali

L’articolo 4 del DDL stabilisce che l’uso dell’IA nel settore dell’informazione deve avvenire senza compromettere la libertà e il pluralismo dei media, mantenendo l’obiettività e l’imparzialità delle informazioni. È essenziale che l’intelligenza artificiale non distorca la veridicità e la completezza dell’informazione a causa di pregiudizi intrinseci nei modelli di apprendimento automatico.

Trasparenza e correttezza nel Trattamento dei Dati

Viene enfatizzato il trattamento lecito, corretto e trasparente dei dati personali, in linea con il GDPR. Il DDL richiede che le informazioni sul trattamento dei dati siano fornite in modo chiaro e comprensibile, consentendo agli utenti di avere pieno controllo sulla gestione dei propri dati.

Consapevolezza e controllo per i minori

Una specifica attenzione è rivolta alla protezione dei minori nell’accesso alle tecnologie AI. I minori di quattordici anni necessitano del consenso dei genitori per l’utilizzo di tali tecnologie, mentre quelli tra i quattordici e i diciotto anni possono dare il consenso autonomamente, purché le informazioni siano chiare e accessibili.

Governance e collaborazione tra Agenzie

Il DDL promuove un approccio di governance “duale”, coinvolgendo l’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale (ACN) e l’Agenzia per l’Italia Digitale (AgID) per assicurare che l’applicazione delle tecnologie AI sia conforme sia alle normative nazionali che a quelle dell’Unione Europea. Queste agenzie lavoreranno insieme per stabilire un quadro regolatorio solido che promuova la sicurezza senza soffocare l’innovazione.

Leggi il DDL sull’Intelligenza Artificiale

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Cloud Provider Italiani: quali sono le caratteristiche preferite dagli specialisti IT?

Tempo di lettura: 7 minuti. I Managed Service Providers (MSP) aiutano le aziende che desiderano esternalizzare la gestione della propria infrastruttura IT. Questo modello di outsourcing consente alle imprese di affidare le attività IT ad un partner esterno, garantendo efficienza, riduzione dei costi e miglioramento delle prestazioni.

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Tempo di lettura: 7 minuti.

Dopo aver approfondito attraverso una serie di inchieste lo stato del cloud in Italia concentrandoci sul mercato e sulle sue tendenze, Matrice Digitale termina l’inchiesta a puntate con un’analisi su un interrogativo che può sfuggire a molti ed interessarne a pochi: qual è il cloud che scelgono i professionisti it?

Perchè comprendere dove le aziende IT posizionano il loro cloud?

Le imprese italiane, in piena migrazione di in massa verso i servizi cloud, sono assistite da esperti del settore IT che quotidianamente disegnano e realizzano architetture informatiche di tipo pubblico, privato ed ibrido.

I fruitori del Cloud è possibile dividerli in tre categorie che rispecchiano il mercato IT:

  • Singoli utenti
  • Aziende
  • Pubblica Amministrazione

Secondo un’analisi effettuata da Matrice Digitale, l’offerta dei servizi proposta dalle aziende individuate come operatori rilevanti di servizi cloud, è suddivisa in 17 soggetti che hanno prodotti standard, complementari o simili (come approfondito in precedenza) e soprattutto rivolti generalmente ad un pubblico di ampio target.

Confronto Canali di Vendita

Confronto canali di vendita

FornitoreDiretti PrivatiDiretti AziendeDiretti Pubblica AmministrazioneCanale ICT (MSP, Rivenditori)
Aruba
Cdlan
CoreTech
Elmec
Fastweb
Hosting Solutions – Genesys informatica
Naquadria
Netalia
Netsons
Noovle (TIM)
Reevo – It.net
Register – Keliweb
Retelit
DHH (Seeweb ed altri)
ServerPlan
Tiscali
Vianova – Host.it

Un mercato in crescita rivolto a tutti, ma di pochi

Le offerte nel mondo del cloud computing sembrano tante, ma sono poche se poi si stringe il cerchio sulle reali capacità delle imprese che erogano i servizi sulla carta. Le aziende IT che si rivolgono al mondo delle PMI e medie imprese sono più orientate verso soluzioni distanti dalle multinazionali, soprattutto dopo che Broadcom ha rilevato VMware ed ha creato grande panico nei confronti di coloro che necessitano di virtualizzare i server per il loro business, aumentando di molto i costi delle licenze. Un ricatto costante, quello tecnologico, che ciclicamente vede le multinazionali falciare chi non ha un piano B pronto e dipende totalmente dal loro schema che diventa sempre più costoso con meno servizi inclusi.

Anche il Cloud può essere Made in Italy

Il caso Broadcom non è isolato e soprattutto non è il primo nell’ambito informatico. Le aziende italiane che svolgono attività nel settore del cloud computing in opposizione alla forte concorrenza, spesso sleale che si nasconde dietro il concetto di economia di scala, sono quelle che preferiscono la nicchia al ventaglio di prodotti multiservizi. Solo Serverplan e CoreTech, con la differenza che la seconda si contraddistingue per la vendita al solo Canale di specialisti IT, svolgono questo tipo di attività come unica fonte di guadagno e di business. Molti imprenditori nel settore IT si affidano per i servizi cloud ad altri specialisti per continuare a produrre il proprio servizio o prodotto senza snaturare la propria impresa inglobando risorse materiali e umane ed i relativi costi per sostenerli che ne aumentano il rischio d’impresa. Per fronteggiare l’avanzata aggressiva delle Big Tech nel mercato Cloud, c’è chi gioca in favore come un qualsiasi rivenditore commerciale acquistando prodotti confezionati e chi invece si rivolge ad aziende di pari dimensione per ottenere prodotti che garantiscono servizi di assistenza meno freddi e forniscono prodotti di sicurezza inclusi come forma di garanzia di qualità di un prodotto. Non è un caso, infatti, che il mercato del lavoro attuale non solo richiede numerose figure specializzate in informatica, ma non apprezza quelle già presenti perché formate non secondo le esigenze della domanda nel settore. Questa mancanza di figure qualificate, mista all’insoddisfazione delle imprese, rende ancora più prezioso il lavoro di chi invece è altamente specializzato e preferisce rivolgersi ad una clientela di alto profilo.

Dubbio amletico sulla natura delle nuvole tricolori

Sulla base degli approfondimenti e delle riflessioni maturate attraverso questo lungo viaggio nel cloud italiano, Matrice Digitale si è immedesimata in un individuo che vuole acquistare in piena autonomia un servizio cloud ed ha scoperto che non tutte le aziende hanno la caratteristica di un servizio del tutto pubblico nonostante si promuovano in questo modo nella fase di posizionamento sul mercato.

Pricing trasparente

Prospettiva Pricing Trasparente

FornitorePubblicoNon presente su sito
Aruba
Cdlan
CoreTech
Elmec
Fastweb
Hosting Solutions – Genesys informatica
Naquadria
Netalia
Netsons
Noovle (TIM)
Reevo – It.net
Register – Keliweb
Retelit
DHH (Seeweb ed altri)
ServerPlan
Tiscali
Vianova – Host.it

Dalla ricerca effettuata da Matrice Digitale, la metà delle aziende presenti in lista (CdLan, Elmec, Fastweb, Netalia, NoovleTim, Retelit, Reevo, Tiscali, Vianova) non è munita di un listino prezzi consultabile liberamente online con annesso carrello elettronico per acquistare i servizi in ogni momento senza passare per un ufficio vendita-commerciale.

Le implicazioni di un pricing poco trasparente

Un fattore che fa riflettere sia in positivo perché si pensa ad un prodotto “su misura”, seppur odori di strategia di marketing, sia in negativo perché chi nel mondo IT cerca un prodotto come il cloud computing sa quali sono le sue esigenze, conosce anche i costi di mercato e riconosce chi espone i prezzi come un venditore specializzato in quel campo con un business già avviato e per nulla improvvisato. Inoltre, c’è anche il rischio che dinanzi ad alcune offerte di servizio ci sia chi fornisce il servizio di “housing” proponendolo al potenziale cliente come Cloud, ma nella pratica non farà altro che ospitare nella propria infrastruttura informatica un server fisico. Proprio per questo motivo, da profani apriamo una riflessione che rimettiamo al mercato sul se chi non espone i prezzi sia da considerare un “Cloud Pubblico” e non invece privato che offre successivamente lo spazio sui suoi server ai clienti che sottoscrivono un’offerta omnicomprensiva di servizi che spaziano dalla connettività fino ad arrivare alla fonia.

Qual è il cloud degli specialisti dell’IT?

Gli specialisti del settore IT di lunga data non acquistano dai soliti rivenditori la tecnologia su cui costruire la nuvola per i propri clienti che, ricordiamo, per la maggiore sono Piccole o Piccole Medie Imprese. Molti MSP impiegano in forma esclusiva prodotti delle multinazionali svolgendo in primis un ruolo di rivenditori dei prodotti di terzi. Questa scelta potrebbe fornire più garanzie sulla carta, ma potrebbe rafforzare allo stesso tempo sistemi di potere già consolidati, traghettandoli verso una posizione monopolistica che riconosca un potere incontrastato nello stabilire un prezzo di mercato che con il tempo diventi insostenibile per le aziende. Oltre alla pura logica di mercato, c’è anche un problema identitario dell’azienda che subentra e dove è messo a rischio il brand del fornitore di servizi nel caso che il cliente continui ad interfacciarsi con prodotti di terze parti ignorando il valore del fornitore tanto da credere di poterlo sostituire perché tanto utilizza un prodotto di terze parti di marchi ben più noti e commerciali e facilmente sostituibile.

Se è consideriamo che l’87 per cento della spesa è riservata alle grandi imprese che sono più propense nel chiudere accordi con i grandi gruppi e spesso hanno uffici interni preposti all’Information Technology, c’è un tessuto produttivo composto da piccole e medie imprese che quotidianamente si affida al Canale composto dai già noti MSP (Managed Service Provider), sviluppatori e fornitori IT.

Cloud pubblico

Il Cloud Pubblico è un modello di cloud computing in cui i servizi e le infrastrutture sono ospitati da un provider di cloud e resi disponibili al pubblico o a grandi gruppi industriali tramite Internet. Queste risorse, come server e storage, sono di proprietà e gestite dal provider di cloud e condivise tra tutti i clienti. Gli utenti accedono ai servizi e li gestiscono tramite un browser web e pagano in base al consumo, senza dover investire in hardware o manutenzione. Ecco una lista dei cloud pubblici italiani in concorrenza con i big USA Amazon Web Services (AWS), Microsoft Azure e Google Cloud Platform (GCP) che forniscono servizi Cloud, ma lo fanno da piattaforme fisiche dislocate all’estero.

FornitoreCloud PubblicoCloud PrivatoData Center-ColocationMSP/System IntegratorFornitore CyberSecurityFornitore ConnettivitàFornitore Telefonia
Aruba
Cdlan
CoreTech
Elmec
Fastweb
Hosting Solutions – Genesys informatica
Naquadria
Netalia
Netsons
Noovle (TIM)
Reevo – It.net
Register – Keliweb
Retelit
DHH (Seeweb ed altri)
ServerPlan
Tiscali
Vianova – Host.it

Anche il metodo di classificazione di un’azienda che fornisce servizi Cloud risulta difficile agli occhi degli utenti e delle imprese. Un’impresa che eroga il servizio di noleggio delle infrastrutture informatiche sulla “nuvola” non può essere confusa né con chi vende servizi di connettività né con chi offre uno spazio sui propri server ai siti Internet dei clienti come da usanza delle web agencies che li realizzano. Partire da 2 milioni di euro di fatturato è un giusto parametro per avere una garanzia sia sul core business e sia per intuire la presenza di una fidelizzazione della clientela nei confronti dei servizi offerti dal fornitore del servizio di Cloud Computing.

Chi sono gli utenti del Cloud?

Le grandi imprese rappresentano l’87% della spesa complessiva nel cloud, evidenziando come queste organizzazioni stiano guidando l’adozione del cloud in Italia. Tuttavia, anche le PMI stanno rapidamente abbracciando il cloud, con una crescita del 34% nella spesa per servizi in Public Cloud, raggiungendo i 478 milioni di euro. Oltre la metà delle applicazioni aziendali nelle grandi imprese (51%) risiede ora nel cloud, segnalando un punto di svolta nella digitalizzazione del settore aziendale italiano. Un settore in espansione che mette alla luce diverse criticità soprattutto se si considera che il bene fisico dove sono custoditi i dati spesso viene abbandonato e dato in pasto ad aziende estranee, così come l’acquisto di licenze software per l’ufficio è sempre più sotto forma di abbonamento che, una volta scaduto, potrebbe minare il processo produttivo dell’azienda e la custodia “pro manibus” dei propri dati allontanandola da una capacità di essere indipendente e proprietaria nel medio lungo periodo.

Cos’è un MSP?

I Managed Service Providers (MSP) aiutano le aziende che desiderano esternalizzare la gestione della propria infrastruttura IT. Questo modello di outsourcing consente alle imprese di affidare le attività IT ad un partner esterno, garantendo efficienza, riduzione dei costi e miglioramento delle prestazioni.

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Inchieste

Managed Service Providers in Italia: numeri di un mercato in crescita

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Nel contesto italiano, caratterizzato da un tessuto imprenditoriale prevalentemente composto da piccole e medie imprese, gli MSP stanno emergendo come una componente importante per la trasformazione digitale dell’intero contesto produttivo del Bel Paese.

Cos’è un MSP?

I Managed Service Providers (MSP) aiutano le aziende che desiderano esternalizzare la gestione della propria infrastruttura IT in un modello di outsourcing che consente alle imprese di affidare le attività IT ad un partner esterno, garantendo efficienza, riduzione dei costi e miglioramento delle prestazioni delegando la gestione IT che con il tempo diventa sempre più complessa. L’attività degli MSP varia dalla normale amministrazione di tipo hardware e di rete fino all’offerta di una soluzione più complessa come quella di un cloud o di piattaforme software diverse sulla base ai settori di appartenenza dei propri clienti.

Un mercato in crescita

Con l’aumento della diffusione digitale nelle imprese, cresce anche l’esigenza di essere più completi e professionali da parte di coloro che lavorano nel settore IT. Questo fenomeno sta incidendo notevolmente sul fatturato degli MSP che tende a crescere in virtù della forte domanda di mercato e questo fa il paio con il bisogno costante di reperire nel mercato del lavoro personale altamente qualificato a cui sono richieste competenze spesso orizzontali e che rimane un ostacolo a causa della poca offerta lavorativa specializzata.

Costo del personale rispetto al fatturato

Secondo un’analisi emersa all’MSP Fest 2023 si è rivelato che il costo medio del personale nel settore ICT è del 30,8% del fatturato totale, un indicatore di quanto le aziende investono nelle loro risorse umane. Questo dato varia significativamente tra i diversi cluster:

Partner ERP (Enterprise Resource Planning), software che consente di gestire l’intera attività d’impresa, sostenendo l’automazione dai processi di finanza, risorse umane, produzione, supply chain, servizi, approvvigionamento e altro, mostrano una coerenza interna con un costo del personale che oscilla tra il 29% e il 33%.

MSP: registrano un costo inferiore, ridotto di circa 9-10 punti percentuali rispetto ai partner ERP, suggerendo una maggiore efficienza o un modello di business differente che minimizza i costi del personale.

Software House: presentano la variabilità più alta, con una media del 37% che in alcuni casi raggiunge il 70%, indicando un elevato investimento in capitale umano, tipico delle aziende che dipendono fortemente dalla manodopera qualificata.

Questi dati suggeriscono che le strutture aziendali, le strategie di outsourcing e l’automazione possono influenzare significativamente il rapporto tra costo del personale e fatturato.

Fatturato per dipendente

Passando alla produttività misurata come fatturato per dipendente, emergono ulteriori dettagli rilevanti:

Software House: alcune registrano cifre allarmanti come 50k€/anno per dipendente, un livello basso che potrebbe indicare margini ridotti e sostenibilità a lungo termine a rischio.

Media del settore: il fatturato medio per dipendente si attesta intorno ai 145k€, con punte superiori ai 200k€ in aziende più efficienti. Questo dato riflette una variazione sostanziale basata sulla natura del modello di business e sulla capacità di generare ricavi aggiuntivi attraverso la vendita di licenze software, servizi o hardware.

Questo indicatore è cruciale per valutare l’efficacia con cui le aziende utilizzano il loro personale. Un fatturato per dipendente elevato può indicare un’alta produttività e un modello di business efficace, mentre valori bassi possono segnalare la necessità di rivedere le strategie operative.

Più della metà degli MSP ad oggi tende a superare mediamente il milione di euro di fatturato, segnalando una maturazione del settore. Questo dato dimostra che ci si sta allontanando da un mercato composto prevalentemente da micro-imprese ed indica una tendenza verso una dimensione non più da incubatore di professionalità, bensì di aziende strutturate.

MSP a chi si rivolgono

I primi fruitori del mercato IT sono prevalentemente imprese produttive e studi professionali e questo consente di tracciare una linea di indirizzo generale sui prodotti necessari a garantire uno standard di qualità minimo ed uguale per tutti. Questo indirizzo operativo permette di affinare le offerte di servizi e di aumentare l’efficienza di gestione attraverso la standardizzazione e la personalizzazione delle soluzioni per i clienti di nicchia. Se prima ci si rivolgeva al negozio sotto l’ufficio o all’amico di famiglia più pratico con i computer, oggi la gestione delle reti informatiche e la manutenzione dei computer aziendali, compreso tutto l’aspetto che riguarda la complessa, quanto sentita, messa in sicurezza del perimetro cibernetico, sono gestiti dagli MSP che si presentano sul mercato con contratti annuali o con la possibilità di una tariffazione oraria. Un’altra capacità che è richiesta ai Managed Service Providers è l’affinare la propria scalabilità nella gestione di un numero di clienti che può aumentare anche repentinamente.

Tecnologia e innovazione

L’adozione di tecnologie avanzate come il monitoraggio remoto, l’automazione dei processi di servizio e la gestione avanzata dei ticket sta diventando sempre più comune rispetto alla telefonata amichevole di un tempo. Questi strumenti non solo migliorano l’efficienza operativa ma permettono agli MSP di offrire un livello di servizio superiore, indispensabile per competere in un mercato tecnologicamente avanzato ed in continua evoluzione sulla base delle esigenze del mercato. La convergenza tra la crescente necessità di servizi IT gestiti e le capacità avanzate offerte dagli MSP suggerisce un ruolo sempre più centrale per questi ultimi nel supportare le imprese italiane nel percorso di trasformazione digitale e questo richiede una formazione costante dei quadri dirigenziali e di tutto il personale e non solo attraverso la lettura di articoli tecnici. In aggiunta agli aggiornamenti generali del settore su riviste specializzate come Matrice digitale, gli MSP si concentrano su diversi campi specifici per il proprio sviluppo professionale, evidenziando le seguenti aree principali:

Cybersecurity

Con la crescente incidenza di minacce informatiche, la cybersecurity rimane un campo di primaria importanza. Gli MSP riconoscono la necessità di fortificare le proprie competenze in questo ambito per proteggere efficacemente le infrastrutture IT dei loro clienti.

Conoscenza dei prodotti utilizzati

Un’approfondita conoscenza dei prodotti è essenziale per gli MSP per garantire l’efficienza e l’efficacia delle soluzioni implementate. Questo include una comprensione dettagliata dei software e degli hardware impiegati nelle loro operazioni quotidiane.

Organizzazione e processi Aziendali

L’efficienza operativa attraverso l’organizzazione e la gestione ottimizzata dei processi aziendali è un altro pilastro fondamentale. Gli MSP investono in formazione per migliorare la gestione dei progetti, il flusso di lavoro, e le pratiche operative generali.

Sales & Marketing

Le competenze in vendita e marketing sono cruciali per gli MSP per attrarre e mantenere una clientela ampia. Questo aspetto della formazione è orientato a strategie di comunicazione efficaci, generazione di lead e tecniche di negoziazione.

Helpdesk e Customer Service

Queste aree sono vitali per il mantenimento delle relazioni con i clienti positive e per la gestione efficiente delle richieste di supporto e assistenza.

Il ruolo sociale degli MSP

Chi ha l’onere ed il compito di gestire le infrastrutture informatiche di porzioni della produttività italiana non solo ha il dovere di gestirle a dovere, avendo cura dei dati che gli vengono affidati, ma ha il compito di trasmettere valori educativi nel campo digitale verso tutti i suoi assistiti che non sono solo le imprese, ma anche i dipendenti. Questo aspetto non andrebbe sottovalutato in un momento storico dove gli attacchi informatici crescono sempre ed il primo contatto tra criminali ed imprese, sono proprio i dipendenti che aprono inconsapevolmente le porte alle azioni coordinate.

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