Editoriali
Caricabatterie unificato: la rivoluzione Green che smaschera la truffa Apple
L’Unione Europea ha avviato un percorso normativo per giugere all’unificazione dei caricabatterie per tutti i cellulari indipendentemente dalle marche. Chiede che il formato di ricarica standard sia il nuovo USB-C che dovrebbe sostituire quelli precedenti e consentire la divisione del mercato tra dispositivi e caricatori delle batterie. Tutte le aziende sono d’accordo tranne una e precisamente quella dei fighetti americani.
Premessa d’obbligo, chi vi scrive è un possessore fidelizzato della Apple che ha ovviamente un iPad di vecchissima generazione ed ha cambiato 3 iPhone nel corso della sua vita. L’ultimo acquistato proprio nel 2020 quando la casa di Cupertino ha rilasciato il suo primo cellulare 5g.
Ed è stato già qui che si è intravista la prima truffa nel nome della rivoluzione green di Apple sul caricabatterie. L’iPhone 12 è stato venduto monco di caricabatterie ma con il cavo perchè abbiamo tanti caricabatterie in casa e quindi possiamo utilizzare quelli che sono già presenti nelle nostre abitazioni. Ci feci un video su questa cosa, una reaction a freddo quando l’ho comprato:
Peccato però che chi come il sottoscritto è passato dal 7plus al 12, non ha potuto utilizzare i caricabatterie esistenti perchè l’estremità del cavo apple è un USB-C che ovviamente non è compatibile con lo standard USB.
Apple non ha tenuto conto che una persona green non cambia telefono ogni anno, ma plausibilmente ogni 3-4 e magari 5-6 anni come nel caso del sottoscritto.
In poche parole sono stato costretto a comprare un caricabatterie nuovo per utilizzare quel cavo uscitomi dalla scatola spacciata per Green. Ancora più deludente il fatto che mi è stato venduto un caricabatterie compatibile con Apple, ma dalla potenza inferiore e quindi alla fine della fiera non solo mi hanno venduto a caro prezzo un pro max da 512 gb, ma ho dovuto comprare un caricabatterie che non carica come uno della Apple.
Questo è il mercato Green oppure è la giungla Green?
Apple giudica questa scelta dell’Unione Europea insensata e lesiva per il progresso tecnologico, magari può anche esserlo, ma mi sembra un attimo come la truffa della Tesla che ha uno standard di ricarica valido solo per i supercharger di sua proprietà mentre il resto delle auto elettriche ha un connettore universale facilmente gestibile in tutte le colonnine presenti su territorio nazionale e globale.
Perchè secondo voi?
Per soldi e per avere una propria rete che fidelizza non solo il pubblico, ma lo costringere ad attingere alle sole risorse che un determinato mercato offre, ai prezzi che il mercato propone che sono sempre più alti rispetto alla media perché più esclusivi.
Uno standard tollerabile per marchi di moda, dove spesso una maglia che costa 40 euro viene pagata 400 o addirittura 800, vedi Gucci, ma per un cavo elettrico non penso sia corretto e soprattutto sostenibile se pensiamo che l’azienda si vende in giro come green.
C’è anche un altro dettaglio al limite del ridicolo nel fatto che la Apple fornisce sui suoi cavi e la ritengo l’esperienza più lesiva per un utente che mediamente spende 10 o 20 euro in più solo per il connettore che ricarica il suo cellulare: i cavi della Apple costano ed hanno una durata limitata nel tempo se pensiamo che tutti i consumatori lamentano dell’usura del gommino che anticipa l’uscita del cavo Lightnening. Bene, sono anni che i consumatori protestano per questa fragilità che Apple ovviamente non risolve ed il motivo è logicamente elementare: più si rompono i cavi, più si comprano al negozio e questo è un dettaglio che una azienda Green non può sottovalutare e precisamente che più cavi si rompono, più cavi sono in giro tra discariche, fogne, campi agricoli e mare.
Questo ad Apple importa oppure no?
Parliamoci chiaramente, un’azienda che vende prodotti già vecchi, tecnologie ampiamente superate dai suoi competitor, che oramai fanno spot pubblicitari dove prendono in giro, e a ragione, l’azienda americana sul fatto che venda come nuove delle funzioni che gli altri hanno da almeno 2 anni, può mai avere una credibilità nel settore green imponendo l’acquisto a prezzi maggiorati prodotti che si rompono facilmente?
La risposta è semplicemente no ed è per questo che bisogna smascherare la truffa green dell’azienda di Cupertino e fare in modo che finisca il tranello in danno ai consumatori europei. Sarebbe un segnale di civiltà e autonomia tecnologica che manca da tempo.
Editoriali
MITRE vittima di zero day Ivanti: anche i migliori le prendono
Tempo di lettura: 2 minuti. Anche le organizzazioni ben preparate come MITRE possono essere vulnerabili a minacce cibernetiche avanzate
Nel contesto della sicurezza informatica, anche le organizzazioni più preparate possono trovarsi vulnerabili di fronte a minacce persistenti e avanzate, come dimostrato dagli attacchi recentemente subiti da MITRE. Questo caso sottolinea l’importanza di adottare un approccio informato sulle minacce per la difesa contro gli attacchi cyber sempre più sofisticati.
Cos’è MITRE?
MITRE è una corporazione senza scopo di lucro americana con sede principale a Bedford, Massachusetts, e una secondaria a McLean, Virginia. Fondata nel 1958, l’organizzazione opera centri federali di ricerca e sviluppo (FFRDCs) per conto del governo degli Stati Uniti. MITRE è dedicata all’interesse pubblico e lavora su una vasta gamma di questioni di sicurezza nazionale, aviazione, sanità, cybersecurity e innovazione del governo.
La missione principale di MITRE è quella di risolvere problemi complessi per un mondo più sicuro, fornendo ricerca, sviluppo e consulenza strategica ai vari enti governativi per aiutarli a prendere decisioni informate e implementare soluzioni tecnologiche avanzate. Uno degli aspetti notevoli del lavoro di MITRE è il suo impegno nella sicurezza informatica, attraverso lo sviluppo di framework e strumenti come il Common Vulnerabilities and Exposures (CVE) e l’ATT&CK framework, che sono largamente utilizzati a livello internazionale per la gestione delle minacce e la protezione delle infrastrutture critiche. Per ulteriori informazioni, puoi visitare il sito ufficiale.
Dettagli dell’attacco subito da MITRE
MITRE, un’organizzazione che si impegna a mantenere elevati standard di sicurezza cibernetica, ha recentemente rivelato di essere stata vittima di un attacco informatico significativo. Nonostante la solidità delle sue difese, MITRE ha scoperto vulnerabilità critiche che sono state sfruttate dagli attaccanti, segnalando un tema di sicurezza concentrato sulla compromissione di dispositivi di protezione perimetrale.
L’incidente e le sue conseguenze
L’attacco ha avuto inizio con un’intensa attività di ricognizione da parte degli attaccanti nei primi mesi del 2024, culminata nell’uso di due vulnerabilità zero-day nel VPN di Ivanti Connect Secure, bypassando l’autenticazione multifattore tramite session hijacking. Questo ha permesso agli attaccanti di muoversi lateralmente e infiltrarsi profondamente nell’infrastruttura VMware di MITRE, utilizzando account amministrativi compromessi e un mix di backdoor sofisticate e web shell per mantenere la persistenza e raccogliere credenziali.
Risposta di MITRE all’incidente
La risposta all’incidente ha incluso l’isolamento dei sistemi colpiti, la revisione completa della rete per impedire ulteriori diffusione dell’attacco, e l’introduzione di nuove suite di sensori per monitorare e analizzare i sistemi compromessi. Inoltre, l’organizzazione ha avviato una serie di analisi forensi per determinare l’entità del compromesso e le tecniche utilizzate dagli avversari.
Lezioni apprese e miglioramenti futuri
Questo incidente ha rafforzato per MITRE l’importanza di comprendere i comportamenti degli hacker come mezzo per sconfiggerli, spingendo l’organizzazione a creare tassonomie comportamentali che catalogano le TTP (tattiche, tecniche e procedure) degli avversari, che hanno portato alla creazione di MITRE ATT&CK®. Questo evento ha anche stimolato l’adozione del concetto di difesa informata dalle minacce, culminando nella creazione del Center for Threat-Informed Defense. L’incidente di sicurezza subito serve da monito per tutte le organizzazioni sulla necessità di mantenere sistemi di difesa aggiornati e proattivi, utilizzando le risorse come il MITRE ATT&CK, costantemente monitorato anche da CISA i cui bollettini sono riportati puntualmente da Matrice Digitale, per rimanere informati sulle ultime strategie degli avversari e su come contrastarle efficacemente.
Editoriali
Università, Israele e licenziamenti BigTech
Tempo di lettura: < 1 minuto. Una riflessione sull’eventualità di sospendere gli accordi nelle università italiane con progetti di ricerca israeliani
A distanza di un mese, l’Italia scopre il progetto Nimbus, di cui Matrice Digitale ne parla da più di un anno, dove Google fornisce un cloud ad Israele per il riconoscimento facciale di tutta la striscia di Gaza.
Essendo #Google una multinazionale, come tante altre #bigtech, si vanta di avere dipendenti maschi, femmine, gender fluid, cristiani, buddisti e pure musulmani.
Poi però licenzia i musulmani ed i bianchi pacifisti perchè partecipano a manifestazioni contro i progetti militari dell’azienda.
Vi sorprenderò: è giusto che lo faccia perchè sono interessi privati e se uno vuole vendere armi, anche quelle non convenzionali, può farlo.
Qui però entriamo nel merito delle Università che protestano per non sviluppare progetti di ricerca militari con l’una e l’altra nazione: questo dovrebbe sollecitare i rettorati ad aprire una riflessione sui progetti militari e l’art. 11 della ns Costituzione che tanto ripudia la guerra.
Quindi se sospendiamo i progetti militari dalle università, si risolve il problema?
NO, e sapete perchè?
E la cosa vera l’ha detta Bersani in questi giorni ad Otto e Mezzo: esistono tanti progetti accademici di secondo livello che propongono buoni propositi, ma in realtà chi li gestisce ha già presente il fine e l’impiego militare.
Editoriali
Apple vuole fregarti con lo spot dei 128GB di spazio iPhone: aspetta il 16
Tempo di lettura: 3 minuti. Scopri se 128GB di spazio su iPhone sono sufficienti per le tue esigenze e considera le alternative di iCloud per una gestione ottimale dell’archiviazione.
L’iPhone 15 promette “molto spazio per molte foto”, come evidenziato nell’ultimo spot di Apple. Tuttavia, la sufficienza dello spazio di archiviazione dipende dall’utilizzo specifico che ciascuno fa del proprio iPhone e dall’opzione di memoria scelta. La capacità di archiviazione base dell’iPhone 15 è di 128GB, un notevole aumento rispetto ai 64GB degli anni precedenti, riflettendo l’esigenza crescente di più spazio dovuta all’ampliamento delle abitudini digitali.
Fotografia e video in Alta Risoluzione
Con le capacità fotografiche dell‘iPhone 15 che includono foto da 48 megapixel e registrazione video in 4K, lo spazio richiesto per questi file ad alta risoluzione è sostanziale. Questi miglioramenti, sebbene accrescano la qualità dei contenuti catturati, consumano rapidamente la capacità di archiviazione locale, rendendo quello che una volta sembrava ampio spazio, ora insufficiente per le esigenze di molti utenti.
iCloud come soluzione?
iCloud di Apple offre una soluzione alle limitazioni di spazio dei dispositivi, con piani che vanno oltre i 5GB gratuiti – quantità decisamente insufficiente per la maggior parte degli utenti. I piani di abbonamento a pagamento di iCloud+ offrono 50GB, 200GB e 2TB di spazio cloud, arricchiti da funzionalità aggiuntive. Di recente, Apple ha introdotto opzioni per 6TB e 12TB di spazio, pensate per utenti con esigenze di archiviazione estese, sebbene queste opzioni comportino costi significativi e la dipendenza da una connessione internet per accedere ai file e ad un aumento di prezzi con contratti unilaterali.
iPhone storage vs iCloud
Mentre i modelli standard di iPhone 15 e iPhone 15 Pro partono da 128GB di spazio di archiviazione, Apple offre opzioni di upgrade a 256GB e 512GB, con un’ulteriore opzione da 1TB per l’iPhone 15 Pro, verificare su Amazon i prezzi e le diverse caratteristiche. Optare per un modello con capacità inferiore e integrarlo con spazio iCloud aggiuntivo potrebbe rivelarsi una scelta più economica e pratica, considerando il costo e la durata potenziale del dispositivo rispetto all’investimento in un iPhone da 1TB.
Il futuro dello spazio di Archiviazione su iPhone
Data l’attuale traiettoria, sembra ragionevole che Apple aumenti la capacità di base di tutti i suoi modelli di iPhone a 256GB nelle generazioni future, e si auspica anche una revisione dell’aliquota gratuita di 5GB di iCloud, per riflettere meglio le realtà del consumo digitale moderno.
Chi vi scrive non casca nella fregatura salvo rottura
Apple invita gli utenti a fare l’upgrade di cellulare un motivo chiaro: cambiarlo e fare cassa. Il messaggio è rivolto agli utenti di iPhone 12 e 13 con le versioni base da 128GB. Chi vi scrive ha un iPhone 12 Pro Max che ha cambiato dopo un 7 plus da pochi GB. L’iPhone non si cambia ogni anno, ma si cambia quando arriva la tecnologia di discontinuità. Nel caso del 7 plus e della versione 12, oltre allo spazio, ad una durata sempre inferiore della batteria, il motivo che mi ha portato al cambio di dispositivo è stato il 5G che ha modificato i tempi di consultazione del Web. Anche la fotocamera è stata gradita al passaggio, ma, dalla versione 12 in poi fino alla 15, c’è poco da aggiungere se non appunto questioni di spazio, qualche avanzamento tecnologico nella fotografia e magari un 5g più veloce per via dei modem nuovi.
Se Apple fa questa proposta ansiolitica, mettendo in mezzo il fatto che possiate perdere la memoria della vostra defunta madre, è perchè le vendite vanno molto male ed il mondo sta sfornando cellulari nettamente superiori con l’Intelligenza Artificiale integrata dove Apple sta scopiazzando per il prossimo modello perchè rimasta indietro.
Sappiate che potete sempre trasferire le foto di mammà sul vostro PC e poi valutare se spostarle nel cloud Apple dove comunque potreste essere costretti nel fare l’upgrade del cloud se ovviamente vorrete fare il backup del dispositivo online. Se avete un iPhone 12 o anche un 14, attendete il primo iPhone AI, il iPhone 16, che arriverà verso settembre. Varrà ancor di più la pena di spostarci anche i propri ricordi.
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