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Economia

Dazi USA: Apple e Samsung tra rischio rincari, produzione asiatica e strategie di contenimento

iPhone e Galaxy a rischio rincaro con le tariffe USA: Apple e Samsung valutano strategie per contenere gli aumenti su produzione asiatica

La recente decisione del presidente Donald Trump di imporre nuovi dazi su scala globale sta spingendo i giganti dell’elettronica di consumo verso una crisi di prezzo e logistica. Le aziende più esposte, Apple e Samsung, si trovano a fronteggiare l’impatto di dazi fino al 54% sui prodotti importati dalla Cina e fino al 46% da Paesi come il Vietnam, dove è concentrata gran parte della produzione. L’eventualità di uno smartphone da 2.300 euro, come ipotizzato per l’iPhone 16 Pro Max, è considerata possibile ma non probabile. Tuttavia, un aumento generalizzato dei prezzi sembra inevitabile, soprattutto per la gamma medio-bassa e i nuovi modelli attesi nel 2025.

Apple sotto pressione: tra speculazioni sul prezzo e mosse strategiche per evitare rincari eccessivi

Secondo gli analisti finanziari, il prezzo di un iPhone 16 Pro Max da 1TB potrebbe salire da 1.470 euro a oltre 2.110 euro, nel caso in cui Apple decidesse di trasferire interamente il costo del dazio del 54% al consumatore. Tuttavia, osservatori come Kate Leaman di AvaTrade e Nick Rakovsky di DataDocks ritengono questa ipotesi estrema e poco realistica. Apple ha già dimostrato di saper assorbire parte degli aumenti, comprimendo i margini e ottimizzando le catene di approvvigionamento.

In uno scenario più credibile, l’incremento massimo per i modelli top di gamma si attesterebbe attorno al 25%, portando l’iPhone più caro a circa 1.900 euro. Le fasce intermedie, come l’iPhone 16 e 16e, potrebbero subire aumenti del 15-20%, con il modello base che passerebbe da 550 a 780 euro circa.

Apple sta intensificando la produzione in Paesi come India, Vietnam, Thailandia e Malesia. Tuttavia, anche questi mercati sono colpiti da dazi significativi (Vietnam al 46%, India al 26%), limitando la reale efficacia della diversificazione. Inoltre, Cupertino non ha ottenuto finora alcuna esenzione tariffaria diretta, e non esistono meccanismi ufficiali per richiedere deroghe specifiche, a differenza del passato.

Un impatto più ampio: Apple Watch, iPad, Mac e AirPods nella spirale inflattiva

Le tariffe non colpiscono solo gli iPhone. Secondo uno studio di Rosenblatt Securities, Apple potrebbe dover aumentare i prezzi anche di:

  • Apple Watch: +43%
  • iPad: +42%
  • Mac e AirPods: +39%

A ciò si aggiungono gli effetti collaterali sulle scorte: Apple ha accelerato gli invii verso gli Stati Uniti prima dell’entrata in vigore ufficiale dei dazi (9 aprile), ma queste scorte potrebbero durare solo pochi mesi. Dopo l’esaurimento delle spedizioni pre-dazio, Cupertino sarà costretta a prendere decisioni difficili: o aumentare i listini o vedere erodere la marginalità.

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Apple Watch Ultra
Apple Watch Ultra

Alcuni analisti stimano che Apple potrebbe mantenere stabili i prezzi fino al lancio di iPhone 17 in autunno, ma che a quel punto l’aumento sarà inevitabile. CFRA Research prevede un rincaro massimo del 10% per evitare di compromettere la domanda, mentre Bank of America stima che assorbire completamente l’impatto ridurrebbe l’utile per azione del 2026 di 1,24 euro.

Samsung nella stessa trappola: il 45% della produzione viene dal Vietnam

Anche Samsung è fortemente esposta, in particolare per quanto riguarda la gamma Galaxy destinata al mercato statunitense. La maggior parte degli smartphone venduti negli USA viene prodotta in Vietnam, che ora è soggetto a un dazio del 46% sul valore dichiarato all’importazione. Per un dispositivo valutato 1.000 euro, il solo costo doganale salirebbe a 1.460 euro, a cui si aggiungono logistica, margini e costi operativi.

Samsung Galaxy Z Fold Special Edition vs Galaxy Z Fold 6
Samsung Galaxy Z Fold Special Edition vs Galaxy Z Fold 6

Fino a oggi Samsung ha evitato aumenti nei prezzi statunitensi, mantenendo il posizionamento competitivo dei suoi flagship come la serie Galaxy S. Tuttavia, in assenza di accordi bilaterali, l’azienda si troverà costretta ad aumentare i prezzi, almeno sui modelli a margine più basso. Gli smartphone top di gamma, come il Galaxy S25 Ultra o il prossimo Z Fold 6, potrebbero assorbire una parte dell’incremento, ma per dispositivi come il Galaxy A56 sarà difficile evitare rincari.

Samsung potrebbe spostare parte della produzione in India, dove l’impatto tariffario è “solo” del 26%, ma le capacità produttive locali non sono sufficienti a coprire il fabbisogno per il mercato americano nel breve termine.

Strategie incrociate: ottimizzazione supply chain e pressione diplomatica

Per entrambi i colossi, le soluzioni immediate passano da tre direzioni strategiche:

  1. Ottimizzazione logistica: aumentare la produzione nei Paesi meno colpiti, come India o Brasile, pur con capacità limitate.
  2. Riduzione dei margini: accettare una compressione della redditività in cambio del mantenimento del prezzo finale.
  3. Lobbying politico: tentare, attraverso canali diretti o tramite governi alleati, di ottenere esenzioni o revisioni tariffarie.

Apple, ad esempio, ha investito 500 miliardi di dollari negli USA, e potrebbe far valere questo impegno come leva negoziale. Samsung, invece, punta a una pressione multilaterale tramite Corea del Sud e Vietnam per raggiungere intese commerciali agevolate.

Il rischio più grande: la perdita di domanda nei mercati più sensibili al prezzo

Un dato emerge con chiarezza: gli aumenti colpiranno in modo sproporzionato le fasce di prezzo medio e basso. In un contesto di inflazione globale e rallentamento dei consumi, alzare il costo di smartphone che superano i 700-800 euro rischia di spingere molti utenti verso marchi alternativi, in particolare cinesi, che potrebbero mantenere margini più flessibili o avvantaggiarsi di produzioni locali per i singoli mercati.

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Le implicazioni vanno oltre i listini: anche i piani tariffari, gli abbonamenti device + dati e le offerte legate ai trade-in potrebbero subire modifiche, con una revisione strutturale del posizionamento commerciale nei principali mercati occidentali.

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