Editoriali
E se adesso dobbiamo realmente aver paura di Kaspersky?
In questi giorni di polemica sul software russo in dotazione ai sistemi informatici dell’occidente, a cui ha fatto seguito l’indicazione ufficiale del Governo Italiano nel disinstallare i software non solo dalle aziende, ma dagli Enti del Bel Paese, il software Kaspersky è stato quello più colpito per via di un fatturato consolidato da tempo a sette cifre.
Aldilà del fatto che non ci sono prove di violazioni passate, ma di un effettivo potenziale rischio presente e futuro, la posizione di Matrice Digitale è dal 2017 sempre unica: solo software italiani per la sicurezza del paese.
Non europei, ma italiani.
Precisata la nostra linea editoriale, possiamo adesso fare una analogia con una società italiana che vendeva software spia in giro per il mondo prima di essere sostituita dalla famigerata NSOGROUP. Si parla quindi di Hacking Team che, una volta costretta a rinunciare ai clienti di primo livello, ha iniziato a vendere il suo prodotto a quei Governi considerati canaglia, opponendosi alla sua mission di fornire strumenti di sorveglianza alle democrazie perchè per necessità è passata alle dittature.
Mai paragone, o meglio rischio, ci sembra, più azzeccato. Ad oggi Kaspersky mantiene ancora diverse strutture in giro per il mondo, ma se il fatturato proveniente dal territorio europeo uscirà di scena dalle voci di bilancio, numerosi dipendenti saranno costretti nel miglior modo a migrare verso le altre società che acquisiranno mercato e maggiore capacità di investimento.
Cosa può restare invece degli altri che andranno a spasso?
Cosa resterà dell’azienda?
Una soluzione potrebbe essere quella di aprirsi a nuovi mercati, cosa difficile visto che Kaspersky è presente già ovunque, e allora per sopravvivere potrà mettere la sua trentennale esperienza davvero al servizio del Governo russo o stringere accordi con quello cinese per esempio.
Uno scenario imprevedibile, ma certo se consideriamo che, prima di arrivare ad un eventuale fallimento, la società, pur di scongiurare il tracollo finanziario, sarà costretta davvero a rispondere a logiche offensive del suo governo di riferimento e non sarebbe sicuro per i nemici avere una società di sicurezza con diversi cani sciolti in giro e che impiega il suo know how ad attività offensive del suo governo di riferimento.
Molte ransomware gangs sono già passate sul campo bellico della guerra cibernetica, ma parliamo di poche persone. Immaginate invece se una buona parte dei dipendenti europei di Kaspersky si trasformino in militari al servizio di un APT russa.
Qualcuno direbbe che già lo sono, qualcun altro no, ma disperdere questo patrimonio, in dotazione anche all’Europol, non può non avere effetti negativi, aldilà di eventuali cause legali che il Governo vincerà non per merito, ma perchè è coinvolto in prima persona.
Editoriali
Ferragni pagliaccio: l’indignazione della rete alla prima dell’Espresso
Tempo di lettura: 2 minuti. La copertina de L’Espresso su Chiara Ferragni vestita da pagliaccio ha scatenato diverse reazioni, ma chi ha letto l’inchiesta?
Chiara Ferragni compare truccata da pagliaccio in prima pagina de L’Espresso che ne descrive la scarsa trasparenza nella gestione societaria e si fa riferimento a scatole cinesi, manager indagati e dipendenti pagati poco.
Tutto legale fino ad oggi, sia chiaro, ma se questo è il modello di Business da studiare ad Harvard, si può ampiamente pensare che negli USA siano arrivati tardi. Ritornando con i piedi per terra e conscendo molte realtà statunitensi, sarebbe da stupidi mettere Chiara Ferragni al primo posto di come si gestisce un’azienda: non è la prima e nemmeno l’ultima.
Matrice Digitale è la testata che ha denunciato per prima l’affaire di Sanremo, che ha giudicato la Ferragni per quello che si è mostrata da Fazio: un’utile manichino senz’anima al servizio delle case di moda.
Non solo lo scandalo nella gestione della beneficenza, ma la delusione nelle risposte in una trasmissione accondiscendente come quella di Fazio stanno facendo cadere definitivamente l’alone di divinità di colei che ha saputo nascondersi dietro di post su delle pagine social creandosi un’icona immacolata.
Le reazioni alla copertina dell’Espresso
La copertina de L’Espresso è l’ultimo attacco a quel pezzo di credibilità rimasto alla Ferragni: la donna imprenditrice che vince perchè ha racimolato soldi. In pochi hanno letto le notizie diffuse sui media un pò di anni fa che vedevano il brand Ferragni essere messo in vendita sul mercato anche per una esposizione finanziaria dovuta da una situazione debitoria sulla carta di piccolo conto. Se però le cose stanno come dice L’Espresso, la realtà sullo stato di salute delle sue società potrebbe essere diversa.
Riflessioni alle reazioni
Molti hanno reagito alla copertina della Ferragni con stupore ed indignazione, ma fa riflettere in realtà il fatto che nessuno abbia letto l’articolo e soprattutto tutti, dinanzi ad una persona che si presenta in un modo e dimostra di essere diverso da come viene descritto, lo apostroferebbero come un pagliaccio.
E fa male essere presi per i fondelli da un pagliaccio … questo nessuno ha il coraggio di ammetterlo.
Editoriali
Solo ora si accorgono del problema televoto e giornalismo musicale
Leggo molte critiche al “cartello di giornalisti” che ha boicottato la vittoria di Geolier a Sanremo. Sono davvero convinto che sia andata così, ma sono certo della tanta “colleganza” che oggi predica bene, ma ha sempre razzolato male per quel che concerne il discorso di “cartello”.
E non riguarda solo la musica, ma anche il calcio, la politica … quindi di cosa parliamo?
Qualche settimana fa fui molto chiaro: chi tratta moda, spettacolo, musica e gossip non si può considerare giornalista.
Chi lo fa dal punto di vista della critica diversamente lo è e vi assicuro che assistiamo a tanti giornalisti sportivi, che hanno visto milioni di partite, e non capiscono di calcio. Vediamo chi dei nostri farà un esposto all’Ordine per quel collega che ha commentato di non far votare la Campania.
Altra cosa: il 90% dei giornalisti che la criticano, non avrebbe avuto il coraggio di fare quell’indegna domanda, ma fondata, a Geolier sul risultato ottenuto “più per i suoi ospiti che per la sua performance”.
Così come hanno fatto più danni dei ladri di polli sanremesi quelli che hanno applaudito Presidenti del Consiglio e Ministri della Sanità nefasti.
Editoriali
Geolier a Sanremo rutta in napoletano. Perchè è un problema per i nativi digitali
Parliamoci chiaramente, questo qui, Geolier, è diventato famoso per una canzone che descrive il livello di tamarraggine napoletana che si manifesta “rint a n’audi nera opaca” dove magari ci si sballa pure.
Nello stesso brano cita tutte marche di lusso … che rappresentano quello stile di vita a cui ambiscono le baby gang che ieri hanno occupato la prima del tg5 nonostante a Napoli siamo in un periodo d’oro rispetto al resto del paese.
Amadeus quest’anno farà come la De Filippi, punta sul lato più becero della napoletanità fatto di lusso a debito che poi si sposa con il mondo degli influencer e della moda. Conferma anche di sapersi nascondere bene dietro l’equazione “è seguito, quindi può anche essere pericoloso e di scarsa qualità, ma è forte“
Che poi è il modello che i genitori evitano di caldeggiare per i propri figli, ma puntualmente vengono smentiti da social e tv. E la risposta è “il ragazzo fa numeri”.
Tra l’altro, il monologo in napoletano dell’anno scorso al festival ha anticipato la sua presenza ed era davvero pessimo, tanto da farmi prendere le distanze da un mio compaesano.
Questa non è Napoli e soprattutto non è l’evoluzione della napoletanità da tramandare alle nuove generazioni.
Perchè qui non si discute Geolier l’artista, che merita di fare il suo percorso e di vincere Sanremo, ma di Geolier che parla a nome dei napoletani. Ognuno si sceglie gli ambasciatori che merita, di certo non è una casa di moda o un affarista come Amadeus che decidono chi debba rappresentare un’intera città.
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