Editoriali
Russia disconnette Internet e passa a RuNet per resistere agli attacchi cibernetici. FALSO
In questi giorni di guerra cibernetica sono diversi i pareri degli esperti del settore riguardo i successi informatici della temibile Russia e quelli dell’occidente pro Nato e pro Ucraina. Mentre si consumano azioni mediatiche contro Putin ed il suo governo, l’Europa e l’Italia gioiscono ed esultano per i successi di defacement e dataleak già visti più volte nell’attualità generale.
Secondo le testate giornalistiche della penisola, la Russia l’11 marzo si staccherà da internet perché sta subendo troppi attacchi informatici che la stanno mettendo in difficoltà.
Notizia falsa, anzi, falsissima.
La Russia sta recintando tutti i suoi siti governativi all’interno di una intranet, una rete interna e accessibile dall’esterno del paese solo da alcuni punti scelti o, in caso estremo, da nessuno che non sia autorizzato. La nuova rete russa sarebbe decentralizzata quindi dal World Wide Web e questo aspetto è positivo per un regime tirannico, o non abbastanza democratico, perché consente di chiudere l’ingresso ad informazioni indesiderate come le notizie occidentali sul conflitto ucraino dove Putin ne esce malissimo a causa di una concentrazione mondiale di articoli negativi sulla sua reputazione.
Più che un progetto dell’ultima ora, RuNet, l’Intranet russa, è realtà dal luglio del 2021 e precisamente da quando la Russia ha effettuato un test di decentralizzazione della sua rete internet che per dimensioni si può tranquillamente definire una wan alternativa all’Internet che siamo abituati a navigare da 30 anni. Le maggiori compagnie telefoniche, le istituzioni dei vari settori che incidono sul Paese e la pubblica amministrazione, come scuole o ospedali, si appoggeranno a questa intranet.
E’ la scelta giusta?
Dal punto di vista militare sì perché chiude diverse sponde ai malintenzionati, ma non la rende del tutto impenetrabile. Il rischio c’è sempre, ma il rapporto spione e spiato è sicuramente a favore del primo. Per la Russia dovrebbe essere più facile affacciarsi all’esterno del suo spazio cibernetico, mentre ai malintenzionati è riservato un lavoro più oneroso per accedervi.
Quello che ad oggi sfugge in molte ricostruzioni sulla vicenda, è che l’iniziativa sia stata già premeditata come abbiamo visto nel 2021, ma è stata anche “necessaria” per contrastare le sanzioni che incombono in questo momento sul Paese a causa del conflitto ucraino. Tra queste, la richiesta di evitare alle infrastrutture internazionali di servire digitalmente il governo di Putin e la società Cogent, specializzata nella fornitura di infrastrutture per la rete Internet, sulla scia delle sanzioni ha annunciato che limiterà i servizi web ai cittadini russi ed alle imprese che si appoggiano su esse.
Nel turbine delle sanzioni, nella claque occidentale che ha accolto eventi sanzionatori come questi, l’occasione è stata ghiotta per Putin di accelerare il processo di migrazione nella sua rete made in Russia esponendo i suoi cittadini ad una maggiore censura e ad un isolamento che consentirà a Putin di procedere avanti nella sua campagna di propaganda e di narrazione a senso unico della sua verità.
In conclusione, la Russia passerà all’interno di una sua rete Internet e lo farà per tutelare il suo spazio cibernetico così come già fanno la Cina ed altri paesi, ma la scelta non è dovuta agli attacchi di Anonymous e nemmeno dei collettivi che si stanno prodigando nel creare disagi alla struttura web gestita dal Cremlino ed ai media ad esso collegati.
Piuttosto fa riflettere come in Italia sia scoppiato il caso Kaspersky a causa dell’origine russa dell’Antivirus, considerata ad oggi rischiosa, ma viene da domandarsi:
se tutti convengono che lo straniero fa paura, perché quando si tratta di tutelare lo spazio cibernetico italiano con misure minime e nettamente diverse dalla misura russa, si fa appello agli alleati stranieri e non alle imprese ed al capitale umano del Bel Paese?
Editoriali
Perchè l’arresto di Durov è giusto e perchè dobbiamo avere paura?
Pavel Durov, fondatore di Telegram, è in stato di arresto in una prigione francese dopo essere stato bloccato all’aeroporto di Parigi. Le motivazioni dell’arresto riguardano la responsabilità oggettiva del proprietario di una piattaforma di messaggistica “che fino ad oggi ha consentito una marea di reati indeterminata” e Telegram ha da tempo un grande problema con i principi basilari dei codici internazionali.
Perchè l’arresto è tecnicamente giusto?
Telegram è un programma di messaggistica che si è evoluto nel tempo con più servizi che l’hanno proiettato in una dimensione fittizia di piattaforma di Social Media. Telegram è l’evoluzione del Dark Web che si annida nella rete Tor, anzi, lo ha sostituito. La rete nascosta di Internet è famosa per ospitare tutto ciò che non è consentito ed è di conseguenza filtrato dai motori di ricerca e Telegram ad oggi è il luogo preferito dalla massa per accedere a contenuti vietati e servizi illegali.
E’ su Telegram che Matrice Digitale ha scoperto in esclusiva nazionale i Greenpass distribuiti gratuitamente ed è su Telegram che si articolano quotidianamente i canali che vendono droga, sottoscrizioni al pezzotto per non pagare abbonamenti salati legittimi e questo può essere anche un male minore.
E’ su Telegram che si è massimizzata la distribuzione dei Contenuti di Abuso su Minore e se prima questi contenuti erano relegati alle riservate community del Dark Web, è dalla piattaforma di Durov che sono stati diffusi contenuti di questo tipo su una scala maggiore di utenti. Quando si parla di armi e CSAM, si passa su un livello di attenzione superiore e Durov mai si è mostrato disponibile come tutti gli altri suoi colleghi che sulla moderazione dei contenuti sono stati sempre attenti a garantire il minimo essenziale ed è per questo motivo che difendere Durov dall’arresto risulta difficile mentre Musk si è protetto sulla moderazione dei contenuti illegali ed ha orientato la difesa della sua piattaforma sul dibattito della libertà di espressione. Proprio qui che iniziano le paure su un arresto che poteva essere evitato.
L’arresto di Durov mina la libertà di espressione?
L’arresto di Durov è un colpo alla libertà di espressione che dai tempi della rete combatte con la sicurezza OnLine e la domanda ricorre costantemente:
Più libertà di espressione o più sicurezza e meno free speech?
Il caso di Durov va analizzato in un contesto più ampio che parte dal Covid ed arriva fino alla guerra in Ucraina: banco di prova del mondo dell’informazione e delle prime censure ufficiali da parte dei governi e delle istituzioni. Durov è il titolare di una piattaforma che ha ospitato tutti coloro che costantemente venivano censurati dagli algoritmi di Facebook e Instagram oppure che venivano messi in shadow ban da Twitter prima dell’arrivo di Musk ed allo stesso tempo Telegram è stato il ponte tra l’informazione Russia e quella occidentale dopo che l’Europa ha comminato il primo pacchetto di sanzioni a Mosca che prevedeva l’oscuramento delle fonti vicine al Cremlino. Grazie a Telegram sono girate notizie false e propagandistiche, ma anche informazioni che si sono dimostrate corrette a differenza di quanto raccontato dai media ordinari.
L’arresto di Durov in Francia evidenzia la particolare attenzione che Macron e soci hanno nei confronti delle multinazionali tecnologiche, in virtù anche del fatto che quando ci fu l’incidente di Marsiglia, dove un giovane fu sparato dalla polizia, il presidente francese riuscì a limitare la diffusione del filmato su tutte le piattaforme social, tranne che su Telegram tanto da invocare il Digital Services act prima che entrasse in vigore.
Nel conflitto russo ucraino, Durov non si è schierato, così come non si è voluto assumere la responsabilità dei contenuti che vengono diffusi sulla sua piattaforma, ma in questo momento Telegram è la piattaforma più vicina alle fonti russe che diventano sempre più nemiche visto il coinvolgimento diretto dell’Europa nella guerra e questa può essere la causa ufficiale dell’arresto, ma c’è il forte sospetto che il motivo sia quello di ospitare le diverse propagande che si articolano quotidianamente sulla piattaforma dando vita ad una guerra simmetrica.
Durov è russo anche se ha studiato a Torino. Prima di Telegram aveva creato VK, il social russo. Nel 2011 e nel 2014 ha rifiutato di dare alle autorità russe i dati dei contestatori e di bloccare la pagina di Navalny. Putin non gli ha fatto nulla, anche se lui ha cambiato la sede dei suoi affari nel Medio Oriente, Macron, invece, l’ha sbattuto in carcere confermando la propensione ai metodi fascisti del presidente francese. In virtù delle ultime voci sugli investitori russi di X vicini al Cremlino, matura il sospetto che il prossimo ad essere colpito sia Elon Musk, già allontanato da brasile e Venezuela, perchè considerabile tecnicamente raggiungibile dalle sanzioni europee comminate alla Russia.
Editoriali
Robot viventi: interveniamo prima che sia troppo tardi
Tempo di lettura: 2 minuti. Lo sviluppo dei robot viventi richiede regolamentazione e dibattito pubblico per garantirne un uso etico e sicuro: potenzialità e sfide di questa tecnologia.
Lo sviluppo di robot viventi, una fusione tra biotecnologia e robotica, rappresenta una delle frontiere più avanzate e controverse della scienza moderna. Questi “xenobot”, come vengono spesso chiamati, sono organismi programmabili creati a partire da cellule viventi. Mentre le potenzialità di questa tecnologia sono immense, sollevano anche numerose questioni etiche e legali che necessitano di un dibattito pubblico e di una regolamentazione adeguata.
Il potenziale dei Robot Viventi
I robot viventi hanno il potenziale di rivoluzionare diversi settori, dalla medicina all’ambiente. Possono essere programmati per svolgere compiti specifici, come riparare tessuti danneggiati, rimuovere microplastiche dagli oceani o trasportare farmaci all’interno del corpo umano. Questi organismi biologici possono auto-ripararsi e adattarsi a diversi ambienti, offrendo soluzioni innovative a problemi complessi.
Questioni Etiche e Legali
Nonostante le loro promettenti applicazioni, i robot viventi sollevano importanti questioni etiche. La capacità di creare e programmare esseri viventi introduce dilemmi morali su cosa significhi “vivente” e fino a che punto possiamo spingerci nel controllo della vita biologica. La mancanza di una regolamentazione chiara potrebbe portare a usi impropri o pericolosi di questa tecnologia.
La regolamentazione è fondamentale per garantire che lo sviluppo e l’uso dei robot viventi avvengano in modo etico e sicuro. Ciò include la definizione di linee guida su come devono essere creati, utilizzati e smaltiti. Inoltre, è essenziale stabilire chi è responsabile in caso di malfunzionamenti o danni causati da questi organismi.
La necessità di un dibattito pubblico
Oltre alla regolamentazione, è cruciale coinvolgere il pubblico nel dibattito su questa tecnologia. La trasparenza e l’educazione sono chiavi per garantire che la società comprenda i benefici e i rischi associati ai robot viventi. Un dibattito pubblico inclusivo può aiutare a formare un consenso sulle direzioni etiche e pratiche per l’uso di questa tecnologia.
Lo sviluppo nel campo rappresenta una straordinaria opportunità scientifica, ma richiede un approccio attento e responsabile. La regolamentazione e il dibattito pubblico sono essenziali per assicurare che questa tecnologia venga utilizzata in modo sicuro ed etico, proteggendo sia gli individui che l’ambiente. Solo attraverso un impegno collettivo possiamo sfruttare pienamente il potenziale dei robot viventi, minimizzando al contempo i rischi.
Editoriali
Julian Assange patteggia ed è libero. L’Italia deve vergognarsi
Tempo di lettura: 3 minuti. Julian Assange, fondatore di WikiLeaks, è stato liberato dal Regno Unito dopo un accordo di patteggiamento con il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti.
Julian Assange, fondatore di WikiLeaks, è libero ed è stato rilasciato dal Regno Unito dopo aver scontato più di cinque anni in una prigione di massima sicurezza a Belmarsh. Questo evento conclude una saga legale durata 14 anni.
Assange lascia il Regno Unito
Assange, 52 anni, è stato liberato dopo aver accettato di dichiararsi colpevole di un solo conteggio di cospirazione per ottenere e divulgare informazioni sulla difesa nazionale degli Stati Uniti. Il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti aveva precedentemente presentato oltre una dozzina di accuse contro di lui. Dopo essere stato rilasciato, Assange è salito su un volo per l’Australia, sua patria natale.
L’accordo è stato raggiunto per evitare ulteriori tempi di prigionia, dato che Assange aveva già scontato una pena più lunga rispetto alla maggior parte delle persone accusate di reati simili. Il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti ha accettato di non infliggere ulteriore pena detentiva poiché Assange aveva già trascorso abbastanza tempo in prigione.
Processo e patteggiamento
Secondo il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti, l’accordo di patteggiamento con Assange è stato raggiunto anche grazie a una campagna globale che ha coinvolto organizzatori di base, attivisti per la libertà di stampa, legislatori e leader politici di vari schieramenti, oltre che le Nazioni Unite.
Il patteggiamento prevede che Assange compaia davanti a un giudice federale nelle isole Marianne Settentrionali, un territorio statunitense nel Pacifico, per dichiararsi colpevole. Dopo la dichiarazione di colpevolezza, Assange potrà tornare in Australia come uomo libero. Le autorità statunitensi, britanniche e australiane non hanno ancora rilasciato dichiarazioni ufficiali sul perché e come sia stato raggiunto questo accordo.
Storia di WikiLeaks
Fondata nel 2006, WikiLeaks ha pubblicato oltre 10 milioni di documenti riguardanti guerre, spionaggio e corruzione. Tra le rivelazioni più note vi sono i registri di guerra dall’Afghanistan e dall’Iraq, i cablogrammi diplomatici degli Stati Uniti (noti come Cablegate) e informazioni sui detenuti nel campo di prigionia di Guantanamo Bay. Inoltre, WikiLeaks ha pubblicato una serie di strumenti di cyber-guerra e sorveglianza presumibilmente creati dalla CIA, conosciuti come Vault 7 e Vault 8.
Assange ha trascorso circa sette anni in esilio volontario nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra per evitare l’estradizione in Svezia, dove era indagato per accuse di stupro e aggressione sessuale, che ha sempre negato. Nel 2019, è stato arrestato dalla polizia britannica dopo che l’Ecuador ha revocato il suo asilo.
Implicazioni e futuro di Assange
L’accordo di patteggiamento segna un momento cruciale nella lunga battaglia legale di Assange contro le accuse statunitensi. Sebbene l’accordo riduca le accuse a un solo conteggio di cospirazione, l’impatto delle azioni di Assange sulla sicurezza nazionale degli Stati Uniti è stato significativo, come dichiarato dal Dipartimento di Giustizia. Il futuro di Assange sembra ora indirizzato verso un ritorno in Australia, dove potrà finalmente godere della libertà dopo anni di battaglie legali e detenzione.
L’Italia che lo voleva negli USA
Sebbene l’Italia sia stata attraverso l’Espresso negli anni di WikiLeaks una nazione che ha coperto le inchieste internazionali pubblicate su tutti i giornali, negli ultimi anni si è aperto un fronte della stampa contro la libertà di Assange da parte del direttore della scuola di giornalismo della Luiss, Gianni Riotta, ed il suo collega Maurizio Molinari direttore del gruppo Gedi. Dopo il cambio di guardia che ha previsto la vendita de L’Espresso dal gruppo di Repubblica ed il passaggio di Gedi ad Agnelli, la giornalista Stefania Maurizi, conoscente diretta di Assange, è stata licenziata in tronco ed è passata al Fatto Quotidiano. Il gruppo di Repubblica è stato l’unico tra le testate internazionali a non rinnovare la richiesta pubblica al governo USA di cedere e mostrare clemenza verso il capo di Wikileaks.
Anche la politica italiana si è mostrata sempre distante dalle posizioni di Assange salvo il Sindacato Unitario dei Giornalisti che ha ottenuto nella città di Napoli il riconoscimento della cittadinanza Onoraria. La posizione del giornalismo e dei politici su Assange ha descritto ancora una volta il posizionamento della società di potere italiana e per fortuna che il promotore si sia trovato al di fuori dei confini italici, altrimenti sarebbe stato consegnato e mai stato libero come oggi.
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