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Inchieste

AWS e Microsoft investono in Italia: numeri farlocchi?

AWS investirà 880 milioni di euro in Italia, promettendo 5.500 nuovi posti di lavoro entro il 2029, ma gli esperti sollevano dubbi sull’impatto reale, dai numeri occupazionali sovrastimati alla concentrazione del mercato nelle mani delle Big Tech.

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Amazon Web Services (AWS) ha annunciato un investimento di 1,2 miliardi di euro per potenziare la propria infrastruttura cloud in Italia nei prossimi cinque anni. Questo intervento, secondo il colosso americano, contribuirà con 880 milioni di euro al PIL italiano e creerà 5.500 nuovi posti di lavoro entro il 2029. Tuttavia, mentre il governo e alcuni stakeholder accolgono con entusiasmo la notizia, numerosi analisti ed esperti del settore esprimono forti perplessità sul reale valore e impatto di questi interventi.

I dubbi di Raffaele Barberio: “I data center non generano innovazione”

Raffaele Barberio, presidente di Barberio & Partners, è tra i principali critici di questa operazione. Secondo Barberio, i numeri e le promesse legati ai data center sono spesso sovrastimati e rischiano di confondere l’opinione pubblica:

“I data center non portano occupazione significativa, se non per ruoli limitati come la vigilanza. Inoltre, non favoriscono il trasferimento tecnologico o lo sviluppo di competenze digitali locali. Sono operazioni immobiliari che servono solo a supportare i servizi delle Big Tech.”

Secondo Barberio, l’attenzione dovrebbe spostarsi dalle infrastrutture fisiche al valore generato dai servizi cloud e dal know-how tecnologico, aspetti in cui l’Italia rischia di restare subordinata ai grandi player internazionali.

Raffaele Barberio

A confermare la tesi di Barberio c’è un dato che potrebbe far riflettere chiunque: Aruba, azienda leader in Italia ha 440 dipendenti e gestisce diversi datacenter. Sarebbe curioso sapere come possano venire fuori 5.500 posti di lavoro nuovi.

Un datacenter per funzionare potrebbe tranquillamente avvalersi di 20 dipendenti, facciamo anche 50. Il dato di 5.500 posti di lavoro nuovi è per caso riferito all’indotto composto da impiantisti, ditte esterne di costruzione che già esistono e non sono strettamente subordinati all’attività a regime?

La concentrazione del mercato: il dominio delle Big Tech

Un altro punto critico è la concentrazione del mercato cloud. Secondo uno studio di Statista, nel primo trimestre del 2024 AWS controllava il 31% del mercato globale, seguita da Microsoft Azure (25%) e Google Cloud (10%). Questo significa che le prime tre aziende gestiscono complessivamente il 66% del mercato mondiale, una posizione che, come sottolinea Massimo Nasini, Sales Manager di CoreTech, rappresenta un serio problema per la concorrenza e la sostenibilità del settore IT:

“La concentrazione del mercato nelle mani di poche grandi aziende limita la concorrenza e rende difficile per nuovi attori entrare nel settore. Questo frena l’innovazione e lascia gli utenti in balia delle politiche commerciali delle Big Tech.”

Nasini evidenzia inoltre come le politiche di prezzo e la rigidità del mercato aumentino i costi per le aziende italiane, accentuando la dipendenza da fornitori stranieri.

Opportunità e sfide per le PMI italiane

Nonostante le criticità, gli esperti suggeriscono alcune strategie per mitigare i rischi e massimizzare i benefici. Per esempio, “CoreTech ha adottato un approccio basato sulla collaborazione e formazione continua, invitando le PMI italiane a sviluppare partnership strategiche con fornitori globali ma anche a costruire reti di competenza locali“. Secondo Nasini, un ruolo cruciale spetta anche al settore pubblico, che dovrebbe introdurre normative volte a favorire la concorrenza e a incentivare la nascita di fornitori locali di servizi cloud.

Possibili evoluzioni: come affrontare il dominio delle Big Tech?

Massimo Nasini – CoreTech

Il mercato del cloud, dominato da pochi colossi, potrebbe ancora evolversi in direzioni che favoriscano una maggiore diversificazione. Tuttavia, Massimo Nasini di CoreTech avverte che il processo sarà lungo e richiederà cambiamenti significativi, sia a livello tecnologico che normativo:

“Lo spostamento verso l’alto della soglia di ingresso nel mercato PaaS e SaaS renderà sempre più difficile per le piccole aziende affermarsi. La qualità richiesta per competere con i leader aumenterà, così come i costi iniziali.”

Questo scenario impone alle PMI italiane di puntare su due direttrici fondamentali:

  1. Alleanze strategiche: Collaborare con aziende già consolidate per ottenere supporto tecnologico e accedere a mercati più ampi.
  2. Formazione continua: Partecipare a programmi di aggiornamento e corsi specifici per sviluppare competenze all’altezza delle sfide tecnologiche.

Nasini cita come esempio il lavoro svolto da CoreTech, che da anni promuove corsi di formazione gratuita e soluzioni collaborative per supportare le imprese italiane nel percorso di digitalizzazione.

Il ruolo del governo: regolamentazione e investimenti mirati

Gli analisti sono concordi nell’affermare che il governo italiano debba assumere un ruolo attivo per ridurre i rischi legati alla concentrazione del mercato cloud. Tra le proposte, spiccano:

  • Incentivi fiscali per i fornitori locali: Per agevolare la nascita e la crescita di operatori italiani nel settore cloud.
  • Normative antitrust: Per limitare la dipendenza dalle Big Tech e garantire un ambiente competitivo.
  • Sovranità digitale: Promuovere lo sviluppo di infrastrutture nazionali che garantiscano un maggiore controllo sui dati e sulle tecnologie critiche.

Reazioni di supporto e valorizzazione del tema

Gabriele Conte, Direttore Generale di ClioCom, ha accolto positivamente l’intervento, evidenziando l’urgenza di evitare una “colonizzazione digitale” e di promuovere la competitività degli operatori nazionali. Secondo Conte, il problema è la mancanza di regole paritarie e del riconoscimento del valore di questi operatori da parte dei decisori politici.

Giuliano Peritore, Vicepresidente di AIIP (Associazione Italiana Internet Provider) e Panservice, ha sottolineato l’importanza di mantenere il “saper fare italiano,” evitando il rischio di agire da “utili idioti” mossi dal provincialismo che porta a considerare “grande è bello”. Peritore ha ribadito che l’Italia ha sempre avuto le capacità di esportare il proprio sapere e che è fondamentale far sì che i giovani diventino attori protagonisti e non semplici utenti di servizi gestiti da altri. Enrico Verga, esperto di geopolitica, ha condiviso il suo contributo in materia, approfondendo il tema strategico della logistica legata ai data center, che considera un pilastro per la crescita economica futura.

Critiche e preoccupazioni

Non sono mancate voci critiche, come quella di Dario Denni, esperto di telecomunicazioni e concorrenza nei mercati digitali, che ha sollevato il problema dell’impatto energetico delle grandi infrastrutture. Denni ha denunciato l’iperbolica esaltazione degli investimenti esteri, che spesso trascurano le conseguenze pratiche per città e cittadini, come l’aumento dei costi energetici.

Ivan E. Sessa, consulente digitale presso Intellera Consulting, ha posto l’attenzione sulla mancanza di provider cloud europei di livello globale. Pur riconoscendo il valore strategico dei data center, Sessa ha espresso perplessità sulla coerenza della strategia nazionale, che sembra consolidare il ruolo dei leader di mercato internazionali, piuttosto che creare un vero valore locale.

Proposte e prospettive innovative

Dan BOG, esperto in diritti digitali e imprenditoria tecnologica, ha presentato un’alternativa interessante. Ha sottolineato come tecnologie decentralizzate come il Web3 e la blockchain possano restituire agli individui il controllo sui dati e sui benefici economici generati dall’intelligenza artificiale. Secondo BOG, un approccio decentralizzato garantirebbe diritti digitali più solidi e una maggiore equità economica.

Anche Fabrizio Quaglio Cotti, Product Owner e specialista in metodologie Agile, ha contribuito con un commento tecnico, richiamando l’attenzione sulle competenze elevate necessarie per sfruttare al meglio queste infrastrutture. Quaglio Cotti ha menzionato esempi concreti come il data center di Elon Musk a Memphis, costruito in tempi record con l’utilizzo di generatori mobili, evidenziando la necessità di modelli operativi innovativi.

Domande aperte e riflessioni

Pavel Soloviev, Account Manager, ha posto una questione cruciale: i data center senza una governance efficace non sono altro che “mucchi di pezzi di ferro”. Soloviev si è chiesto se gli investimenti siano pensati per creare valore reale attraverso la gestione e i servizi, o se si rischi di avere strutture inutilizzate senza un piano strategico adeguato. Carmine T., ICT Manager e CTO, ha concluso con una riflessione critica sul ruolo dominante delle big tech nei servizi cloud. Pur sperando di sbagliarsi, ha espresso preoccupazioni sul rischio di perdita di sovranità digitale, un tema che sta diventando sempre più rilevante nel panorama tecnologico europeo.

Una sfida tra opportunità e rischi

L’investimento di AWS rappresenta un’importante occasione per l’Italia di rafforzare le proprie infrastrutture digitali e accelerare la trasformazione tecnologica. Tuttavia, le critiche degli esperti mettono in evidenza come sia necessario un approccio più equilibrato e strategico per evitare che il Paese diventi sempre più dipendente dalle multinazionali tecnologiche.

Per trasformare questa opportunità in un reale vantaggio competitivo, l’Italia dovrà affrontare la sfida con una visione di lungo termine, puntando su formazione, innovazione e politiche di sostegno per le imprese locali. Solo così si potrà garantire un futuro in cui il cloud non sia solo un’opportunità per pochi, ma una risorsa condivisa e sostenibile per l’intero ecosistema digitale.

Chi paga la bolletta di acqua e luce?

I datacenter rappresentano oggi il cuore pulsante dell’infrastruttura digitale globale, alimentando servizi essenziali come cloud computing, intelligenza artificiale e applicazioni online. La crescente domanda di capacità computazionale porta con sé un aumento esponenziale del fabbisogno energetico. A livello globale, i datacenter si stanno affermando come veri e propri colossi del consumo di energia, con richieste sempre più elevate che spingono verso nuove soluzioni per garantire efficienza e sostenibilità.

Secondo l’analisi di Matrice Digitale, il fabbisogno energetico non può essere soddisfatto soltanto con fonti tradizionali o rinnovabili come il fotovoltaico e l’eolico. Nonostante i progressi nel settore delle energie pulite, nessuna soluzione è priva di impatti ambientali. Le big tech, come Google e Microsoft, stanno esplorando l’energia nucleare per alimentare i loro datacenter, soprattutto nei Paesi freddi dove i costi per il raffreddamento sono ridotti. Tuttavia, anche queste opzioni hanno limiti significativi, tra cui la gestione delle scorie nucleari e le difficoltà logistiche legate alla produzione e al consumo.

Un caso emblematico è rappresentato dagli accordi di multinazionali per acquisire energia nucleare con l’obiettivo di ottenere certificazioni di sostenibilità come il carbon neutral. Spesso queste iniziative sottraggono risorse energetiche pulite ai Paesi ospitanti, costringendoli a ricorrere a fonti meno sostenibili per soddisfare le necessità nazionali.

La sfida energetica per i datacenter non riguarda solo l’elettricità: emerge anche la questione dell’acqua, fondamentale per il raffreddamento dei sistemi. Ad esempio, le applicazioni di intelligenza artificiale come ChatGPT richiedono quantità significative di acqua per il raffreddamento, con stime che parlano di un litro per ogni interazione generata. Questa tendenza, destinata a crescere con l’adozione sempre più massiccia dell’intelligenza artificiale su dispositivi mobili, impone una riflessione sul consumo sostenibile delle risorse idriche e sull’implementazione di tecnologie avanzate per desalinizzazione o riutilizzo. E la domanda che bisogna porre ai sostenitori di questa politica industriale “entusiasmante” dell’ospitare super datacenter sul territorio è su quanto possa inficiare o meno sulle bollette di acqua e luce dei cittadini, considerando che il costo dell’elettricità in Italia sia quello più alto in Europa.