Inchieste
I falchi di Vladimir Putin su Telegram
Tempo di lettura: 7 minuti. Andrey Pertsev racconta come Telegram sia diventato la principale piattaforma di informazione per i falchi russi e la loro realtà alternativa
L’applicazione di messaggistica Telegram è stata creata da Pavel Durov, che in precedenza aveva fondato Vkontakte, una società russa di social media. Molto rapidamente, Telegram è diventato un altro classico esempio di come gli addetti ai lavori del governo e degli affari russi cercano di manipolare la vita politica negli anni 2010. Subito dopo la sua fondazione sono iniziati a nascere canali anonimi su Telegram, con post presumibilmente provenienti da addetti ai lavori all’interno di uffici burocratici, di sicurezza e di partito; questi hanno iniziato a prendere piede e figure influenti hanno iniziato a leggerli per avere un’idea di ciò che sta accadendo in un’altra “torre del Cremlino”, spesso rivale. Agli albori dell’esistenza di Telegram, molte informazioni privilegiate apparivano davvero in questi canali. Le ragioni erano molteplici. I media economici e politici erano sottoposti a pressioni e censure crescenti; a differenza di Telegram, le organizzazioni mediatiche spesso si rifiutavano di pubblicare informazioni esclusive scomode per il Cremlino. In secondo luogo, l’anonimato di Telegram comportava un maggior grado di sicurezza per gli autori dei testi e i loro insider, rispetto alla stampa tradizionale.
Dal territorio della libertà all’immondezzaio
Ben presto, però, tecnologi e responsabili delle pubbliche relazioni si sono resi conto che la nuova piattaforma poteva essere utilizzata per pubblicare informazioni utili per i loro clienti e patroni; alcuni canali promossi (come Nezygar) hanno iniziato a passare di mano e i post a pagamento hanno iniziato a essere inseriti tra i loro contenuti. Gruppi influenti e singoli uomini d’affari e politici iniziarono ad aprire i “loro” canali anonimi pseudo-insider. La possibilità di rimanere anonimi gioca di nuovo un ruolo, ora negativo. L’anonimo non ha reputazione, quindi in teoria può pubblicare informazioni manipolative e false finché il pubblico non si accorge di queste manipolazioni. L’esposizione di un canale anonimo non impedisce in alcun modo ai suoi proprietari di creare un nuovo canale, dove in un primo momento verranno pubblicati i veri insider, e poi la situazione potrebbe ripetersi. Di conseguenza, nel febbraio 2022, il segmento politico di Telegram russo ha acquisito una reputazione dubbia; molti canali hanno iniziato a essere chiamati “discariche”, gli utenti hanno scoperto le reti di canali controllati da vari beneficiari e chi sono questi stessi beneficiari (ad esempio, il primo vice capo dell’Amministrazione presidenziale, il curatore del blocco informativo del Cremlino Alexei Gromov, il capo di Rosneft Igor Sechin e l’ex addetta stampa di Rosmolodezh Kristina Potupchik). Molti lettori di Telegram hanno imparato a distinguere le informazioni manipolative e hanno cambiato il modo in cui ottengono informazioni dalla maggior parte dei canali politici: li hanno trasformati da una fonte di insider in un’interessante illazione sulle lotte intestine tra le “torri del Cremlino”.
Telegramma in prima linea
Lo scoppio della guerra cambiò la situazione. Il “semi-decommissionato” Telegram ha ricevuto una nuova vita come piattaforma principale per le dichiarazioni del partito della guerra. È su Telegram che l’ex presidente, e ora vicepresidente del Consiglio di sicurezza, Dmitry Medvedev, pubblica i suoi post arrabbiati. Il capo della Cecenia Ramzan Kadyrov comunica con il pubblico tramite Telegram. Un uomo d’affari molto controverso, il fondatore di Wagner PMC Yevgeny Prigozhin, ha una rete di canali (ad esempio, “Kepka Prigozhina” e Grey Zone). È su Telegram che vengono pubblicati i cosiddetti “corrispondenti militari”, autori ideologici di testi dal fronte, che spesso non lavoravano nemmeno come giornalisti. Sullo sfondo della guerra, l’interesse per i canali giornalistici e pseudo-analitici ultrapatriottici, anonimi e non, già esistenti, si è riscaldato e sono apparsi in massa anche nuovi progetti con la lettera Z nel nome. Il contenuto di Telegram russo pro-guerra è molto diverso da quello dei testi e delle storie su argomenti militari dei media filogovernativi. I discorsi infuocati di Dmitry Medvedev, che minaccia direttamente un attacco nucleare all’Ucraina e insulta i politici occidentali, e i discorsi di altri funzionari, tra cui Vladimir Putin, differiscono all’incirca nello stesso modo. Quest’ultimo tipo di discorsi rimprovera gli astratti “anglosassoni”, ma almeno a livello di parole parla del desiderio di avviare negoziati e disconosce l’escalation del fronte. Le notizie ufficiali, di norma, contengono storie sulla potenza delle attrezzature militari russe, sulla conquista di singoli villaggi nel Donbass, sulle azioni di singoli soldati e ufficiali, che vengono presentate ai lettori e agli spettatori come atti eroici. I corrispondenti militari e i canali di analisi pro-militari riferiscono non solo dei successi, ma anche dei problemi, chiedendo contemporaneamente al Cremlino e al Ministero della Difesa le azioni più dure possibili. Pubblicisti e analisti criticano il “partito della pace” condizionato e scrivono della necessità di continuare le ostilità fino alla fine, chiedono la mobilitazione generale e il trasferimento dell’economia sul piano bellico. I rappresentanti del segmento Telegram favorevole alla guerra criticano sempre più le autorità. Di norma, lamentano l’indecisione e l’insufficiente rigidità del Ministero della Difesa, dei singoli generali e di una cerchia indefinita di civili, accusandoli di tradimento. Per certi versi, questa situazione assomiglia a quella di Telegram agli albori della sua popolarità in Russia. I canali a favore della guerra pubblicano punti di vista diversi dalla posizione ufficiale del Cremlino, oltre a informazioni più o meno affidabili sulla situazione al fronte. Naturalmente, questo punto di vista alternativo attrae il pubblico – i “canali z” sono piuttosto popolari – ad esempio, l’inviato militare Semyon Pegov è letto da 1,3 milioni di utenti e Rybar, uno dei canali analitici pro-militari più popolari, ha poco più di un milione di abbonati. In un certo senso, Telegram può essere definito il principale media militare russo. I sostenitori della “guerra per la piena vittoria” cercano la verità e le risposte alle domande – “di chi è la colpa” delle sconfitte e “cosa fare” nei “canali z”, ricevendole in forma semplice e armoniosa. Naturalmente, la colpa è dei “generali sciocchi e dei funzionari traditori”, e per vincere bastano azioni estremamente dure al fronte e il trasferimento del Paese su binari di mobilitazione. Questo quadro tranquillizza il pubblico favorevole alla guerra, che ha iniziato a sospettare che lo stato dell’esercito russo nella realtà e nei servizi televisivi siano cose diverse e si preoccupa delle sconfitte. Nel frattempo, questi canali riscaldano il fervore militare dei cittadini che sostengono la guerra. Paradossalmente, i corrispondenti militari e i pubblicisti e analisti favorevoli alla guerra sono letti anche dagli oppositori delle ostilità: vogliono ricevere informazioni veritiere sulla situazione e capire l’umore del pubblico z.
Bussare alla porta del Cremlino
Naturalmente, i blogger politici presenti sulla piattaforma stanno cercando di trasformare Telegram militare, così come Telegram politico, in uno strumento di influenza sulle persone che prendono le decisioni – cioè i vertici del Paese, compreso Vladimir Putin. I canali di Telegram sono anche inclusi nel monitoraggio del presidente, il che significa che in teoria, attraverso i post di Telegram, è possibile esternare le proprie opinioni al capo di Stato. È a Putin che i sostenitori della guerra si rivolgono nei loro canali; è a lui che chiedono azioni dure e una campagna contro Kyiv e Lviv. Questi autori fanno pressione sull’ansia da indice di gradimento del presidente, insistendo sul fatto che i negoziati di pace o il ritiro delle truppe da un certo territorio non saranno compresi dal “popolo profondo”, che presumibilmente chiede la distruzione dell’Ucraina e dell’Occidente. E qui inizia la solita manipolazione politica di Telegram dell’opinione e del wishful thinking. Con tutte le caratteristiche dei sondaggi d’opinione in tempo di guerra, la maggioranza dei cittadini non è affatto assetata di sangue ed è pronta a sostenere la pace se Putin la accetta. I sondaggi mostrano come la gente sia preoccupata per la guerra, la mobilitazione e il deterioramento del tenore di vita; anche il rating delle autorità è in calo. Ma gli autori favorevoli alla guerra e i loro patrocinatori dipingono un quadro diverso, di preparazione alla vittoria a tutti i costi. Kadyrov e Prigozhin, citati con rispetto dai corrispondenti militari, il primo vice capo dell’amministrazione presidenziale Alexei Gromov, che supervisiona i tabloid del Cremlino dove lavorano i corrispondenti militari, sembrano essere probabili patrocinatori di questo punto di vista, dipingono una realtà alternativa in cui il “popolo” è pronto a sopportare qualsiasi difficoltà in nome della vittoria e chiede un’azione decisiva (e quindi gli indici di gradimento di Putin calano solo per l’indecisione). In questo senso, il telegramma pro-guerra non è solo il portavoce del partito della guerra, ma anche la sua realtà parallela. Ha i suoi eroi leggendari, i suoi corrispondenti militari che raccontano la verità, il concetto di “signori della guerra” è apparso di recente, con i presunti leader militari di successo come Yevgeny Prigozhin, Ramzan Kadyrov e i loro comandanti scelti del MOD come Sergei Surovikin. Questa realtà è piena di persone desiderose di combattere, ma poi vengono fermate dai traditori nei quartieri generali militari e negli uffici civili di Mosca. Questo “mondo” può essere spaventoso e sembrare abbastanza reale – soprattutto se lo confrontiamo con le risposte dei cittadini alle domande dirette dei sociologi sul loro sostegno a un'”operazione speciale” (ad esempio, secondo l’ultimo sondaggio del VTsIOM, circa il 70% dei cittadini lo sostiene). Ma questo significa che questo “mondo di Telegram” è legato alla realtà, oppure gli autori dei canali z stanno programmando gli atteggiamenti dei russi delusi dalla propaganda televisiva? Probabilmente è la seconda. Inoltre, l’influenza dei canali di telegramma come versione più dura e veritiera della propaganda ufficiale, che colpisce i desideri nascosti del pubblico, è stata ampiamente sopravvalutata. Certo, la copertura dei corrispondenti militari più popolari, ad esempio Semyon Pegov, è di 1,3 milioni di abbonati, ma sommare l’audience di Pegov e di altri corrispondenti con più di un milione di abbonati, ad esempio Alexander Sladkov o “Rybar”, è inutile: molto probabilmente vengono letti dalle stesse persone. Decine di migliaia di persone si sono già iscritte ai canali di pubblicisti e analisti che, nascondendosi dietro l’opinione del “popolo profondo”, chiedono sangue. Non si tratta più, cioè, di una copertura totale, almeno in parte paragonabile a quella televisiva. Inoltre, non dimentichiamo che i corrispondenti militari, i pubblicisti e gli analisti favorevoli alla guerra sono letti da un pubblico di opposizione, che dovrebbe essere tranquillamente escluso dai sostenitori della guerra. Se si sottraggono i bot, si scopre che il principale portavoce del partito della guerra suona forte, ma attira una parte piuttosto limitata del pubblico – soprattutto chi è interessato alla politica e alla guerra in particolare.
Tuttavia, il pericolo dei canali z che invitano all’escalation non deve essere sottovalutato; non è la quantità che conta, ma la qualità del pubblico – in questo caso, il presidente. Non per niente a settembre girava voce che il Ministero della Difesa stesse preparando repressioni per i “corrispondenti militari” che avessero criticato il ritiro delle truppe russe dalla regione di Kharkov. Alla fine non ci sono state repressioni, ma i “corrispondenti militari” hanno capito correttamente il segnale e hanno smesso di attaccare i generali per nome. Putin vive da tempo in una realtà particolare. È pronto a passare ore a raccontare al pubblico la sua versione della storia mondiale, la perfidia degli anglosassoni e la grande missione della Russia, credendo che queste storie siano accattivanti per i suoi ascoltatori. La versione della realtà alternativa dei canali z con gente bellicosa e vittoria ad ogni costo si adatta in parte all’immagine del mondo di Putin. I corrispondenti militari partecipano a eventi pubblici con Putin, lui li incontra e probabilmente li ascolta in qualche modo. Putin non vuole perdere; permette passi impopolari come la mobilitazione perché non li considera impopolari – il capo di Stato crede che la popolazione sia pronta ad andare con lui verso la vittoria e a sopportare le difficoltà. Il portavoce del partito al potere punta con precisione all’orecchio del presidente ed è quindi pericoloso. Putin ricorda i tempi sovietici; ricorda come si distinguevano la propaganda ufficiale e i canali di informazione alternativi, come il samizdat. Il presidente, molto probabilmente, è consapevole di come la fiducia nella propria propaganda sia finita per il governo sovietico. I canali di telegramma filo-militari potrebbero diventare (e a giudicare dal rapporto con i commissari militari) già un “samizdat” per Putin; questi brandelli di informazione potrebbero trasmettergli una confortante narrazione di eroismo, predisponendolo a uno spirito di pericolosa escalation.
Inchieste
Google licenzia 28 dipendenti in protesta per il Cloud con Israele
Tempo di lettura: 3 minuti. Google ha licenziato 28 dipendenti dopo proteste riguardanti un contratto cloud con Israele: una scelta che farà discutere
Google ha recentemente licenziato 28 dipendenti in seguito alla protesta legata al suo contratto cloud con Israele del progetto Nimbus. Queste proteste, avvenute negli uffici di New York e Sunnyvale, hanno portato a comportamenti giudicati inaccettabili dalla compagnia, inclusa la presa di controllo di spazi ufficio, danneggiamenti della proprietà, e ostacoli fisici all’attività lavorativa di altri dipendenti.
Dettagli del licenziamento
Le proteste hanno portato alla defenestrazione e al danneggiamento della proprietà di Google, comportamenti che l’azienda ha categoricamente condannato. I dipendenti coinvolti sono stati immediatamente messi sotto indagine e i loro accessi ai sistemi di Google sono stati revocati. Alcuni di questi, che si sono rifiutati di lasciare gli uffici, sono stati arrestati dalle forze dell’ordine. Dopo un’indagine approfondita, Google ha deciso di terminare il rapporto lavorativo con 28 dei dipendenti coinvolti.
Politiche e standards di Comportamento
Google ha ribadito che il comportamento manifestato viola molteplici politiche aziendali, tra cui il Codice di Condotta e le politiche su Molestie, Discriminazione, Ritorsioni, Standard di Condotta e Preoccupazioni sul Posto di Lavoro. L’azienda ha sottolineato che tali azioni non trovano spazio all’interno del suo ambiente lavorativo e che qualsiasi violazione delle politiche interne è soggetta a severe sanzioni, inclusa la possibile terminazione del contratto di lavoro.
Implicazioni per il Futuro
Questo episodio segnala un chiaro messaggio agli impiegati di Google: l’azienda prende molto sul serio le politiche interne e non tollererà comportamenti che le violino. È atteso che i leader aziendali comunichino ulteriormente sui standard di comportamento e discorso ammissibili in ambito lavorativo, riaffermando l’impegno di Google nel mantenere un ambiente professionale e rispettoso.
Dichiarazione dei Lavoratori Google sulla Campagna No Tech for Apartheid e i Licenziamenti di Massa
Una recente dichiarazione rilasciata dai lavoratori di Google associati alla campagna “No Tech for Apartheid” solleva preoccupazioni serie riguardo alle azioni dell’azienda. I lavoratori denunciano licenziamenti di massa come atto di ritorsione per le loro proteste contro il contratto Project Nimbus di Google con il governo israeliano, che considerano supporto a operazioni militari contro i Palestinesi.
Dettagli dei licenziamenti
La dichiarazione specifica che Google ha licenziato indiscriminatamente più di due dozzine di lavoratori, inclusi alcuni che non hanno partecipato direttamente alle proteste di 10 ore che hanno avuto luogo nelle sedi di New York e Sunnyvale. I lavoratori descrivono questi licenziamenti come una chiara dimostrazione che Google dà priorità ai suoi contratti da miliardi con il governo israeliano rispetto al benessere dei suoi dipendenti.
Accuse di Comportamenti Inaccettabili
Secondo la dichiarazione, durante le proteste, Google avrebbe chiamato la polizia sugli stessi lavoratori, portando all’arresto di nove persone. I licenziamenti sono stati giustificati dall’azienda con accuse di “bullismo” e “molestie”, che i lavoratori ritengono infondate, sottolineando che anche i colleghi palestinesi, arabi e musulmani hanno subito discriminazioni e molestie supportate dalla tecnologia Google.
Reazioni e Supporto Interno
Nonostante la pressione e le azioni legali, i lavoratori affermano di aver ricevuto un supporto massiccio e positivo durante le proteste, smentendo le affermazioni di Google su danni alla proprietà o impedimenti al lavoro di altri. La dichiarazione evidenzia l’importanza del sostegno collettivo e la determinazione dei lavoratori di continuare a organizzarsi fino a che Google non abbandonerà Project Nimbus.
I lavoratori di Google chiamano in causa la leadership dell’azienda, in particolare Sundar Pichai e Thomas Kurian, accusandoli di trarre profitto da azioni considerate genocidi. La dichiarazione termina con una nota di sfida, promettendo di intensificare gli sforzi organizzativi nonostante i licenziamenti, mirando a porre fine al supporto di Google a ciò che percepiscono come azioni di genocidio.
Il licenziamento di questi 28 dipendenti da parte di Google evidenzia la tensione tra libertà di espressione dei lavoratori e le necessità di mantenere un ambiente di lavoro ordinato e conforme alle politiche aziendali. Questo evento è destinato a influenzare il dialogo interno sulla gestione delle proteste e delle espressioni di dissenso all’interno dell’azienda.
Inchieste
Banca Sella: il problema che i detrattori del Piracy Shield non dicono
Tempo di lettura: 3 minuti. Banca Sella ha terminato il suo periodo più buio della storia dopo 5 giorni di disagi che hanno lasciato i suoi dipendenti senza soldi
Banca Sella ha subito un blocco delle sue operazioni insieme al circuito Hype per quattro giorni abbondanti nella scorsa settimana. Quello che resta di questa storia è il clamore di un fail epico della migliore banca italiana nel campo dell’innovazione dell’Internet Banking proprio nei suoi sistemi informatici che l’anno resa da sempre un’eccellenza italiana.
I disagi sono stati enormi se consideriamo che tutte le carte di credito appoggiate a Banca Sella sono state escluse dai circuiti internazionali, così come i bancomat del Gruppo e le movimentazioni online sui conti correnti, impossibili attraverso Internet. La banca è stata costretta ad aprire per più ore nei giorni del blocco per ritornare al contante. Alla Redazione di Matrice Digitale sono arrivate diverse segnalazioni di preoccupazione anche dell’eventuale mancato accredito di rate che avrebbero esposto i clienti dell’Istituto alla centrale di rischio.
Ma cosa è successo?
Banca Sella e Hype hanno subito gravi disagi tecnologici che Matteo Flora descrive come una delle più serie catastrofi tecnologiche mai avvenute in una banca italiana. Questi problemi sono stati associati a un malfunzionamento dopo un aggiornamento dei sistemi gestiti da Oracle, precisamente riguardanti l’hardware Exadata. La piattaforma interna che gestisce i servizi bancari sembra essere stata al centro dell’interruzione, influenzando servizi cruciali come il Personal Finance Management (PFM), i gateway PSD2, il Corporate Banking, i Payment Hub per bonifici, , Fabrick Platform, i Virtual IBAN e le operazioni di E-commerce.
Nonostante le significative interruzioni, le informazioni rilasciate finora assicurano che l’integrità dei dati non è stata compromessa. Tuttavia, la portata completa dell’incidente e delle sue ripercussioni rimane sotto osservazione, con la comunità che attende ulteriori aggiornamenti su cosa sia avvenuto attraverso un Post Mortem del reparto informatico e sulle misure di mitigazione al problema. Data la gravità dell’incidente, è probabile che entità regolatorie come l’ABI, la CONSOB e il Garante per la Privacy possano intervenire o richiedere dettagli aggiuntivi riguardo alla gestione dell’evento e alle strategie adottate per prevenire futuri incidenti.
A queste osservazioni si aggiunge una di Matrice Digitale che ha notato una ricostruzione attendibile sia di Flora sia dello stesso Istituto di Credito sulla base del famoso collo di bottiglia che generavano gli aggiornamenti. Negli ultimi giorni del guasto, l’applicativo di internet banking di banca Sella funzionava bene, ma con l’aumentare del picco di utilizzo, ancor di più maggiore perchè veniva da giorni di inutilizzo forzato, faceva ritornare l’app ai suoi messaggi di errore.
Analsi a freddo di Roberto Beneduci
Roberto Beneduci, CEO di CoreTech s.r.l, Milano, attraverso il suo profilo LinkedIn ha avviato una riflessione sull’incidente che ha interessato Banca Sella, sottolineando un punto fondamentale: “i sistemi informatici, per quanto robusti, non sono immuni da rischi e le loro conseguenze non possono essere completamente annullate”.
Analisi dell’incidente
L’incidente in questione è stato causato da operazioni sul database Oracle, specificatamente aggiornamenti software. Questo esemplifica una realtà comune nel settore IT, dove anche routine di manutenzione programmata possono portare a disfunzioni impreviste, sottolineando la vulnerabilità intrinseca dei sistemi informatici.
Reazione e Resilienza
Secondo Beneduci “Post incidente, è probabile che Banca Sella elabori nuove procedure per gestire meglio simili situazioni in futuro. Questo solleva una riflessione critica: spesso si pensa a misure preventive solo dopo aver sperimentato una crisi“. Beneduci fa un parallelo ironico con i controlli di sicurezza aeroportuali, notando come, nonostante le misure severe, ci sono ancora limiti a ciò che si può prevenire.
Gestione delle aspettative e comunicazione
Durante un’interruzione, la domanda più frequente da parte degli utenti e dei clienti è: “Quando torneremo operativi?” Beneduci sottolinea che, in situazioni di crisi, anche le stime più informate possono diventare obsolete in un istante a causa di nuovi problemi imprevisti, rendendo la comunicazione durante gli incidenti una sfida delicata.
Critiche e considerazioni sulla Ridondanza
La frustrazione degli utenti impossibilitati a effettuare operazioni bancarie durante l’interruzione solleva un punto valido: l’importanza di avere sistemi di backup. Beneduci critica la tendenza comune di affidarsi a un unico sistema o soluzione, suggerendo che mantenere un approccio più diversificato e resiliente potrebbe mitigare i danni in situazioni critiche.
Verità scomoda per i puristi della moneta virtuale e per i detrattori di Privacy Shield
Chissà cosa hanno pensato i puristi della moneta virtuale quando i clienti di Banca Sella sono dovuti correre nelle banche per prelevare denaro per fare la spesa senza che ci fosse la possibilità di fare la spesa perché le carte digitali erano fuori uso. Una considerazione che la comunità informatica non ha discusso, concentrandosi sull’aspetto tecnico, ma resta singolare il fatto che ci si preoccupa che Piracy Shield possa rompere Internet e non si è mai posto il problema che i sistemi di pagamento elettronici potessero saltare, compresi i sistemi bancari. Un caso impossibile? Da oggi, secondo un ragionamento empirico visto il precedente di Banca Sella possiamo dire che è possibile. Chissà perché nessuno, tecnico informatico o accademico, si sia mai accorto di questo rischio sponsorizzando indistintamente il contante e relegando al complottismo e all’antiscientifico ragionamenti sui rischi derivanti da eventuali blocchi. L’unica spiegazione è che produrre carta, seppur abbia un valore, non da lavoro ad informatici o accademici, come potrebbe invece fornire una Banca.
Inchieste
Piracy Shield: Capitanio (AGCom) risponde alla nostra inchiesta
Tempo di lettura: 5 minuti. Piracy Shield: alla seconda inchiesta di Matrice Digitale segue un editoriale di Massimiliano Capitanio dell’AGCom: analizziamo le differenze
Il dibattito su Piracy Shield, la piattaforma antipirateria promossa dall’Agcom, si è arricchito di prospettive diverse, riflesse nell’editoriale di Massimiliano Capitanio dell’AGCOM su AgendaDigitale.eu poche ore dopo la pubblicazione della seconda inchiesta di Matrice Digitale. E’ opportuno fare un’analisi che intende evidenziare le differenze ed i punti di incontro tra le due narrazioni, considerando la sequenza temporale delle pubblicazioni e le divergenze nei toni, nei contenuti, ma anche principi comuni.
Piracy Shield secondo l’AGCOM: una misura efficace
Prospettiva tecnologica e risultati
Nell’articolo di Capitanio, Piracy Shield è descritta come un’innovazione tecnologica di rilievo, con un bilancio iniziale di successo dimostrato dalla chiusura di migliaia di indirizzi IP e FQDN illegali. Questo approccio sottolinea l’efficacia operativa della piattaforma e la sua importanza nella lotta contro la pirateria che Matrice Digitale ha accolto, paventando il rischio che più IP si bloccano per un periodo di 6 – 12 mesi e più c’è il rischio che si restringa il campo della disponibilità sull’intera rete Internet con il rischio che qualche criminale possa iniziare ad utilizzare indirizzi condivisi da servizi essenziali.
Difesa dalle critiche e integrità della Piattaforma
Capitanio respinge le accuse di vulnerabilità di Piracy Shield, negando qualsiasi compromissione dovuta a presunti attacchi hacker. Nell’editoriale enfatizza la robustezza della piattaforma, validata da processi di verifica tecnica condotti da enti competenti. Un fatto che Matrice Digitale non ha citato, ma che ha intuito ponendo al lettore la domanda finale sull’eventuale utilizzo da parte del perimetro cibernetico nazionale di indirizzi IP commerciali e che dovrebbe, il condizionale è sempre un obbligo in questi casi, scongiurare un’ecatombe come invece sostengono alcuni megafoni della comunità informatica. Il coinvolgimento di ACN, sbandierato da Capitanio, in questo caso può essere una garanzia che il rischio blocco incontrollato sia minimo.
Approccio legale e collaborazione istituzionale
L’enfasi è posta sulla legittimità dell’iniziativa di Piracy Shield, sottolineando il sostegno unanime del Parlamento e la stretta collaborazione con l’industria, calcistica per lo più, e le autorità per la cybersicurezza. Viene inoltre difesa l’azione di Agcom nella chiusura temporanea di siti legali condivisi con indirizzi IP che difatti diventano illegali, sottolineando la rapidità del ripristino e la necessità di una maggiore consapevolezza e collaborazione da parte dei fornitori di servizi a cui Capitanio e l’AGCom non vogliono togliere spazio commerciale, ma responsabilizzarli sull’eventuale hosting di attività illecite. Questo punto è stato anticipato da Matrice Digitale nella sua seconda inchiesta ed è stato posto come prossima discussione in Europa tanto da far temere gli operatori di servizi qualche provvedimento impossibile da sostenere per l’attuale mercato. Sul ripristino degli IP innocenti, Capitanio dovrebbe spendersi ancora di più di quanto fatto per rodare al meglio il sistema di riattivazione. 3-5 giorni per vedersi online il proprio servizio bloccato ingiustamente sono troppi nell’era di Internet che viaggia in nano secondi.
La visione di Matrice Digitale: non solo buoni propositi, ma critiche e preoccupazioni
Focalizzazione su controversie e percezioni negative
Matrice Digitale ha presentato Piracy Shield in una luce più critica, evidenziando la diffusione del codice su GitHub che secondo alcune fonti dell’underground insistono sul fatto che “sia quello e scritto anche male” ed ha evidenziato le preoccupazioni relative alla censura e alla libertà digitale dinanzi a questo provvedimento che si prefigge di curare la malattia della pirateria. Questa prospettiva pone maggiore attenzione sulle potenziali implicazioni negative della piattaforma per gli utenti e sulla percezione di un attacco alla privacy e all’anonimato online.
Questioni di trasparenza e responsabilità
L’inchiesta di Matrice Digitale solleva dubbi sulla trasparenza delle operazioni di Piracy Shield e sull’efficacia delle politiche di Agcom, mettendo in discussione allo stesso tempo le istanze effettuate da soggetti interessati nei confronti dell’Autorità in occasione dei ricorsi legali. Il caso di Assoprovider è stato lampante.
Diffuso come scandalo il fatto che all’associazione sia stata respinta un’istanza e che AGCom abbia comminato sanzione di mille euro, la realtà risulta comunque diversa, leggendo l’ordinanza d’ingiunzione, peraltro definita ed emessa da AGCOM prima del rigetto dell’istanza.
Secondo il provvedimento AGCom in questione, cioè la Delibera 79/24/CONS del 19 Marzo, che vi invitiamo a leggere, Assoprovider non ha soddisfatto i requisiti previsti per la legittimazione del suo coinvolgimento nelle attività correlate alla piattaforma Piracy Shield.
L’atto ufficiale di contestazione AGCOM risale a Novembre 2023 ed è dovuto proprio al fatto che AssoProvider avesse iniziato a partecipare ai tavoli tecnici, senza però che AGCOM disponesse di evidenze o documentazioni di legittimazione per la sua partecipazione.
Non solo perché AssoProvider non ha un elenco pubblico di suoi soci, a differenza di altre associazioni rappresentative degli operatori. Soprattutto perché, sin dalle prime richieste informali ad Ottobre 2023 di fornire privatamente alla Direzione Servizi Digitali AGCOM perlomeno i riferimenti degli operatori, che stesse rappresentando ai tavoli, AssoProvider ha sempre opposto un netto rifiuto.
Potrà far storcere il naso a qualcuno, magari pure interessato perché fornitore o cliente dell’associazione anche dal punto di vista editoriale, ma le richieste AGCOM in merito erano e sono comunque fondate.
Lo erano infatti nell’autunno del 2023 per consentire la corretta partecipazione ai tavoli tecnici. Lo sono anche nel 2024 per valutare la legittimazione attiva, imprescindibile per poter sottoporre istanze conto terzi di accesso documentale ex L.241/90 (NON civico semplice o generalizzato/FOIA) ad atti relativi alla piattaforma Piracy Shield.
Implicazioni per i servizi Internet e la Libertà Digitale
Si evidenziano quindi le potenziali ripercussioni di Piracy Shield sui servizi di navigazione anonima, come le VPN, suggerendo una possibile conflittualità con la libertà di espressione e l’anonimato online. Questo punto di vista suggerisce che la lotta alla pirateria potrebbe trasformarsi in un pretesto per limitare servizi legittimi e fondamentali per la privacy degli utenti. “Per il bene dei bambini” ne abbiamo viste di “scorrettezze” in tal senso anche da parte del Garante Privacy Italiano sempre generoso con Meta nonostante le ripetute violazioni della privacy ed esposizione dei minori a contenuti vietati, ma soprattutto dalla Commissione Europea per quel che concerne il Chat Control.
Dibattito aperto fino all’ecatombe
Le differenze tra gli articoli di Capitanio e Matrice Digitale sono minime rispetto alle critiche giunte in questi giorni. Ci sono punti di incontro e sul fatto che qualcosa vada fatto e soprattutto fatto bene. Lo sa anche chi critica che, dinanzi ad un indirizzo politico di prospettiva europea, è meglio che le cose si facciano bene e non male con uno scontro istituzionale. Da qui nasce il sospetto che chi si agita stimolando un gregge di persone competenti, ma con scarsa visione e che casca sulla notizia falsa ed interessata di Assoprovider ad esempio, lo faccia per manipolare la massa per poi sedersi all’interno di una commissione politica o di un tavolo tecnico. Non solo il digitale è pieno di conflitti d’interesse editoriali, ma anche politici ed accademici come spesso proviamo a sensibilizzare i lettori. Mentre l’editoriale dell’AGCOM, attraverso la voce di Capitanio, presenta la piattaforma come una soluzione efficace e necessaria, supportata da dati e collaborazioni istituzionali, Matrice Digitale nella sua inchiesta pone l’accento sulle potenziali, non certe, conseguenze negative, sollevando questioni di trasparenza, etica ed impatto sui diritti digitali degli utenti coerentemente con il suo manifesto di trasparenza editoriale pur non disdegnando l’attività del Garante, il fine politico e sociale con tanto di proposta formulata nella prima inchiesta sul caso allo stesso Capitanio e all’Autorità su un eventuale accordo ufficiale tra AGCOM e multinazionali sui proventi delle tanto discusse multe agli utenti da destinare a bonus cultura finalizzati ad hoc e con l’impegno di abbassare le tariffe degli abbonamenti man mano che gli utenti legittimi aumentano.
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