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Inchieste

Il ministero della Verità ha giustiziato i giornalisti prima del responso sull’origine del Covid

Tempo di lettura: 4 minuti. Cosa succede se un giornalista o un editore pubblica una notizia e viene accusato nella pubblica piazza di essere un bufalaro e poi si scopre che le accuse sono infondate oppure aveva ragione?

Tempo di lettura: 4 minuti.

In questi giorni è arrivata l’ennesima notizia che riapre lo scenario dopo essere stato chiuso da due ricerche pubblicate sul Covid e che hanno messo una pietra definitiva sulle ipotesi che il virus pandemico fosse stato creato all’interno dei laboratori di Wuhan. Non bisogna sottovalutare che le varie tesi sull’origine del virus, quella naturale e quella artificiale, si sono palleggiate nella narrazione del mondo accademico senza appunto dare una risposta certa alle fazioni createsi che si accusano a vicenda di essere da una parte complottisti e dall’altra talebani della scienza. Indipendentemente dal Covid e dalla sua origine, in questo preciso momento storico per noi operatori dell’informazione è doveroso accendere un riflettore sui partner istituzionali del Ministero della Verità. La società Newsguard, appena uscito il tema dell’artificialità del virus, ha emanato una lista di proscrizione delle testate giornalistiche che ne avevano diffuso la notizia colpendo Tgcom della Mediaset. La fonte era una ricerca statunitense ritirata per motivi di interessi particolari tra colui che l’aveva realizzata e la materia dei coronavirus.

Si solleva l’interrogativo: chi controlla il controllore?

In questo caso specifico, Newsguard, che dichiara di essere corretta nei suoi sistemi di rilevamento delle storture nel mondo dell’informazione, non ha arretrato, anzi, ha fatto finta di niente dopo aver descritto testate note e testate meno note come spacciatrici di notizie false sull’origine del Covid. L’esporre alla pubblica piazza professionisti dell’informazione, testate editoriali, che rappresentano delle imprese e delle aziende che danno lavoro a molti, ma anche pochi, dipendenti, ed indicarle come disseminatrici di notizie false e poco credibili rispetto ad altri giornali, non solo va a falsare il mercato, ma crea una lista di buoni e cattivi che nulla ha a che vedere con il diritto dell’informazione e quello della libertà di espressione. Sempre nel caso specifico, le dichiarazioni avvallate dalla stessa Newsguard in questi mesi non hanno trovato un riscontro e nemmeno una lista di proscrizione pronta quando è stato detto che i vaccini fossero sterilizzanti e annullassero l’infezione tra i vaccinati, nemmeno ha emanato una lista di medici, riviste e giornalisti che negavano lo status sperimentale degli stessi vaccini e che il Greenpass si basasse un provvedimento politico per nulla scientifico seppur fosse riferito alle capacità dei vaccini di “consentire ai vaccinati di incontrarsi tra loro e non infettarsi“. La stessa scienza a cui si appella Newsguard è stata praticamente smentita da se stessa più volte sia a causa dell’innovazione del Covid che ha introdotto nel mondo della medicina il dibattitto dei vaccini ad MRNA sia portando avanti il principio del “esiste una ricerca che” dopo due o tre mesi cambiava.

Il nodo non è l’origine del virus, ma la credibilità di una azienda privata

Il caso dell’origine del virus è politico perché in questi mesi abbiamo riscontrato più volte come l’argomento venga utilizzato secondo due narrazioni diverse della politica americana: il Partito Democratico sostiene la tesi che il virus derivi dai mercati alimentari dove si vendevano pipistrelli, mentre quella del Partito Repubblicano sospetta che il virus sia stato creato all’interno dei laboratori di Wuhan e non necessariamente per motivi dolosi, bensì anche secondo la probabilità di un errore umano. Oltre ad aver sfornato ricerche sul tema, non bisogna appunto considerare la stessa posizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, che ha spinto ad un’indagine approfondita sui laboratori di Wuhan ed altrettante ricerche pubblicate da altre prestigiosi atenei mondiali perché vi erano i presupposti per verificare eventuali manipolazioni dei virus “che non potranno mai essere verificate” secondo i detrattori della tesi riguardante l’artificialità. Così come è impossibile negare quanto raccontato anni prima da servizi giornalistici entusiasti delle attività che venivano svolte all’interno di quel centro di ricerca medica come la manipolazione degli agenti virali con l’uso dei pipistrelli, su cui sono state denunciate da alcuni condizioni di sicurezza inferiori rispetto a quelle richieste dagli standard internazionali.

A cosa è servita la censura preventiva?

Su questa vicenda, l’attività di Newsguard non solo è stata censoria, ma anche minacciosa ed ha avallato una narrazione provocando l’effetto di gettare acqua sul fuoco riguardo questioni che interessavano la sicurezza nazionale delle attività messe in campo dai Governi in piena emergenza. Anche in questo caso, come per il figlio di Biden tramite l’ingerenza dell’FBI sui social, alcuni paesi in campagna elettorale come gli USA sono stati viziati da quella definizione censurata senza troppe domande sul “china virus” che di fatto ha congelato le tensioni nei rapporti internazionali tra la Cina ed il resto del mondo “infettato”. “Scurdammoce o passato” direbbe qualcuno e gli errori capitano per carità, ma il solo fatto che un’azienda sia collegata ad attività di controllo e verifica, possa avere voce in capitolo sulla monetizzazione dei contenuti secondo l’ultimo dispositivo dell’Unione Europea del codice di condotta dell’informazione, e nello specifico decidere chi guadagna e chi no dalla sua attività di informazione anche quando si riportano tesi che non sono dimostrate scientificamente al pari di altre che non hanno il favore di una scienza certa, ma che sono avallate dal vento politico. News Guard è oramai parte integrante di una struttura piramidale che rappresenta l’iniziativa primordiale di restringere il campo delle comunicazioni e delle azioni in seno agli Stati del Territorio Europeo. Un’iniziativa che ha aspetti positivi nel tutelare il popolo europeo dalla disinformazione, ma non può vietare alla stampa di raccontare la verità nella sua interezza e che non sempre può basarsi su fonti attendibili, altrimenti i giornali passerebbero veline dei potenti di turno invece che esserne il cane da presa. Se il Ministero della Verità, così come ampiamente raccontato, si conferma essere un sistema al servizio di politici e centri di potere con la capacità di ricattare i professionisti dell’informazione e le aziende editoriali, sarebbe il meccanismo perfetto per veicolare solo ed esclusivamente quanto fa più comodo ai Governi ed alle Istituzioni.

Di Livio Varriale

Giornalista e scrittore: le sue specializzazioni sono in Politica, Crimine Informatico, Comunicazione Istituzionale, Cultura e Trasformazione digitale. Autore del saggio sul Dark Web e il futuro della società digitale “La prigione dell’umanità” e di “Cultura digitale”. Appassionato di Osint e autore di diverse ricerche pubblicate da testate Nazionali. Attivista contro la pedopornografia online, il suo motto è “Coerenza, Costanza, CoScienza”.

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