Sommario
Il mondo dell’intelligenza artificiale si trova in una condizione abbastanza complessa dopo i primi entusiasmi e le dichiarazioni dei leader politici sul tema e quella italiana è esposta più di tutti a margine della presidenza G7 culminata con l’evento di Savelletri dove la Meloni ha provato a dire la sua sul tema a nome dell’Italia.
La politica di Meloni sull’AI
Giorgia Meloni ha istituito due Commissioni di Governo per stabilire il ruolo dell’intelligenza artificiale all’interno della vita sociale e politica italiana, ma da subito ha scontentato in molti per la nomina di padre Paolo Benanti in quota Vaticano, nonostante sia stato presentato in pompa magna dal mainstream come italiano a causa delle sue origini senza tener conto, però, che il francescano è un portatore di interessi del papato che da tempo si propone all’avanguardia sul tema attraverso il concetto di algoretica.
A conferma di quanto scritto c’è l’ospitata di Papa Francesco al G7, che ha sancito l’indirizzo politico del Governo, già noto agli addetti ai lavori e ad un pubblico più attento, che utilizza il Vaticano come strumento per riuscire ad affermarsi a livello internazionale nei tavoli che contano, soprattutto quelli dove si parla di etica. A conferma di questa tesi c’è è la nomina di Paolo Benanti nella commissione AI delle Nazioni Unite.
Tanta digitalizzazione e poca intelligenza artificiale
A parte la ricostruzione politica, il Governo parla tanto di intelligenza artificiale, ma nei fatti ha prodotto nulla di concreto se non la digitalizzazione spinta che mancava al paese grazie ai soldi del PNNR spesi abilmente dal sottosegretario Butti. Su questo argomento si spera che l’enormità dei dati generati dagli italiani sia cautelativamente data in pasto all’AI, ma già emergono dubbi sul Fascicolo Sanitario Elettronico e sull’utilizzo delle informazioni raccolte. Un altro rischio è che l’intero pacchetto digitale oggi ospitato su server gestiti dallo Stato, tramite i suoi dipendenti pubblici, potrebbe un domani passare nelle mani dei privati come volevano fare al tempo del Covid con Immuni la classe dirigente politica. Questo timore aumenta dopo che Telecom è stata ceduta a un fondo americano, KKR, gestito da un ex capo della CIA, il generale Petraeus.
Perchè l’Italia è indietro sull’intelligenza artificiale?
Al netto di analisi avveniristiche, proclami presi come oro colato da coloro che non masticano la materia, il momento in cui l’Italia sta spingendo sull’acceleratore dell’intelligenza artificiale in realtà è un contesto in cui si stanno già tracciando le somme.
Giusto investire nell’intelligenza artificiale in questo momento?
È una domanda che tutti si pongono al di là delle belle parole su come l’intelligenza artificiale italiana possa trasformare il mondo che in questo momento volge nella direzione opposta dell’algoretica tanto decantata dalle stanze Vaticane con sede a Palazzo Chigi. L’operazione di puntare tutto sull’intelligenza artificiale rischia di diventare un favore personale del Governo alla Chiesa, stato straniero, e mostra come l’Italia sia in grande difficoltà nel generare una sua offerta concreta. Il ruolo di Padre Benanti serve anche ad attrarre investimenti ed è qui che nasce la necessità di scrivere una narrazione, visibile all’estero, che corrisponde più ai desideri dei politici che allo stato attuale delle cose.
Non è un caso che, negli ultimi giorni, sia emersa una classifica dove lo Stato Europeo che ha attratto più investimenti è la Francia. Un dato che dovrebbe far riflettere sul ruolo dell’Italia in un settore dove non figura nemmeno nelle mappe sul tema. La Francia è un Paese avanti nello sviluppo dell’intelligenza artificiale ed ha una società “statale” che ha iniziato a implementare un modello LLM “sovrano” attraverso una società pubblica ed una finanziata da uno dei fondatori di Google.
Meloni è in grande difficoltà se si paragona l’attività del Governo italiano a quella di altri Paesi, già muniti di infrastrutture digitali pubbliche. L’impressione è che si stia cercando di trovare un equilibrio interno difficile perché si riconosce l’alta probabilità di non ottenere una tecnologia propria e per questo ci si affida ad una soluzione tecnologica complementare a quelle offerte dai nostri alleati. Meloni sa anche di detenere il potere del miliardo di investimenti sul tema contro cui è difficile trovare tecnici, privati soprattutto, che vadano controcorrente al Governo, rischiando di perdere fondi pubblici.
L’AI ha bisogno di 600 miliardi di fatturato
Le multinazionali statunitensi hanno bisogno di recuperare ogni anno 600 miliardi di dollari solo ed esclusivamente dall’intelligenza artificiale per rientrare dagli investimenti in hardware.
Questa necessità di monetizzare, rende l’intelligenza artificiale un grosso problema per le democrazie rimaste indietro come l’Italia, perché se prima internet ci veniva offerto in cambio di varie concessioni e favori alle multinazionali statunitensi quotate a Wall Street, oggi, con l’AI rischiamo di finanziare piattaforme già esistenti per non restare indietro ed allo stesso tempo di crea una dipendenza che porta ad una strada senza uscita. E’ vero, non siamo Russia, Cina e nemmeno Corea del Nord a cui OpenAI ha chiuso le porte, aprendo le finestre attraverso Microsoft, ma è possibile un rischio ricatto AI da parte dei detentori della tecnologia.
Se le big tech dovessero realmente aver bisogno di rientrare dagli investimenti hardware per 600 miliardi di dollari, aumenterebbero le probabilità che l’Italia, che ancora non ha i costosissimi computer per sviluppare un suo modello LLM, non potrà garantire la sostenibilità del settore interno spendendo il solo miliardo stanziato e c’è il rischio concreto di spendere la maggior parte del denaro in tecnologia estera e non innovazione e ricerca interna.
Finito il G7 con questo grande regalo al Papa, instradato dalla lungimiranza e preparazione di Benanti sul tema, sarebbe opportuno discutere in modo concreto sul ruolo dell’Italia nel campo dell’intelligenza artificiale nonostante i tempi sembrino già superati con la forte concorrenza non solo nel contesto globale, anche all’interno del territorio europeo.
L’intelligenza artificiale italiana sospesa tra Bruxelles e Vaticano
Questo è il motivo per cui l’Italia dovrà affidarsi alle piattaforme statunitensi anche per sviluppare i suoi progetti. Resta un dubbio più ampio su come l’Europa possa entrare in gioco con una forza unica e su come possa essere compatibile con la transizione green l’implementazione di un’infrastruttura hardware che richiede materiali preziosi, tanti soldi, e consumi stratosferici di acqua ed energia elettrica. Al momento il Vecchio continente è quello che ha scritto un codice etico sull’AI.
Inoltre, come potrà essere compatibile la nascita di un’intelligenza artificiale europea che racchiuda le sensibilità e i valori di tutti gli stati?
Possiamo immaginare che l’intelligenza artificiale possa essere utile a cancellare i muri delle varie tradizioni su cui si fonda il sovranismo nemico di Bruxelles e lo faccia riscrivendo la storia europea da zero per le generazioni future compresa quella italiana. Progetto ambizioso che potrebbe essere pura fantascienza o semplicemente la naturale evoluzione dell’umanità durante l’era che ci attende, fatta di AI e robotica dove l’Italia è silenziosamente più avanti con eccellenze riconosciute in tutto il mondo, ma non è ancora arrivato il momento di gonfiare un’altra bolla di fondi pubblici.