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La sovranità digitale è un inganno. Lisi “la strada da percorrere è difficile, ma l’alternativa c’è”

Tempo di lettura: 4 minuti. La storia di Web Analytics Italia è lo specchio di un paese e di un’Europa che non ha saputo evolversi in una propria identità digitale. Colpa della politica, mele marce e anche di hacktivisti che non hanno visione.

Tempo di lettura: 4 minuti.

Pillola blu o pillola rossa? Con questa frase estrapolata dallo storico film Matrix si apre il dibattito sulla matrice digitale dei nostri tempi composta dall’ambiente e dall’infrastruttura di rete che custodisce tanti piccoli segmenti dei nostri dati nazionali. Dopo anni di battaglie contro il sistema GAFAM (Google, Amazon, Facebook, Apple, Microsoft) ci troviamo ad un bivio oppure alla fine del labirinto che sembra essere senza uscita, arrivando alla conclusione che la sovranità digitale non esiste. A darci questo indizio c’è una delle tante polemiche scoppiate in questi giorni contro AGID e che coinvolgono l’ennesimo servizio statale italiano venduto come libero da piattaforme straniere, ma che in realtà si appoggia per poter funzionare ad una multinazionale nota a molti per il commercio elettronico, ma che in realtà genera più margine offrendo servizi digitali all’oscuro della più vasta fetta di consumatori: Amazon.

In sintesi, l’Italia e la sua pubblica amministrazione per monitorare il traffico sui propri siti utilizzavano Google Analytics che, a seguito di una sentenza europea (la nota sentenza Schrems II della Corte di Giustizia), è stato messo al bando dai sistemi di rilevazione riconosciuti perché non ha del tutto tagliato quel cordone ombelicale che collega le infrastrutture di rete europee del GAFAM dalle origini territoriali statunitensi.

Attraverso un gruppo di attivisti, Monitora PA, che hanno sfruttato un sistema di pec automatizzato, le Pubbliche Amministrazioni sono state intimate nel trasferirsi da Google Analytics a Web Italia Analytics sviluppato da Agid, ma con il senno di poi è avvenuto che il grande inganno si è svelato con il tempo. Per poter funzionare l’applicativo di auditing italiano, ha avuto bisogno dei server di quelli brutti sporchi e cattivi con la chicca del passaggio di mano da Google ad Amazon Web Services.  Matrice Digitale ha intervistato l’avvocato Andrea Lisi, presidente di Anorc professioni, esperto di diritto digitale e Componente del Comitato di Esperti di comprovata esperienza e qualificazione in materia di innovazione tecnologica e transizione digitale della PA presso il Sottosegretariato alla Presidenza del Consiglio con delega all’innovazione tecnologica, il quale ben conosce l’excursus storico di questa vicenda e che fa cadere il velo di Maya su una questione che sta a cuore a tutti i puristi del mondo digitale: la sovranità.

“è una chimera rincorsa, da rincorrere, ma non ci sono oggi soldi e tempo sufficienti per realizzarla nell’immediata concretezza e, quindi, la soluzione non può che essere un’altra”.

L’Europa ha fallito per anni, consentendo a queste grandi piattaforme di poter agire indisturbate per troppo tempo in una acquisizione sempre più importante di fette di esistenza sempre più profilate che ci riguardano; questo sonno profondo europeo ha finito così per consegnare lo spazio cibernetico dei suoi cittadini nei voraci ed enormi tentacoli di società presenti fuori dai confini territoriali europei”. Secondo l’avvocato Lisi “bisogna individuare nella sovranità digitale una strada da percorrere a livello europeo, ma è altrettanto opportuno governare in modo ancora più incisivo gli ambienti cibernetici ad oggi così esposti ai poteri di Big Tech targate USA e questo deve inevitabilmente portarci a risolvere in modo equilibrato una questione anche di natura politica con i  nostri storici alleati Oltreoceano”. Perché come racconta l’avvocato Lisi “il paradosso è che abbiamo speso tempo e soldi per sviluppare una soluzione nazionale partendo da una piattaforma open source come Matomo, ma ci siamo accorti successivamente che il vero problema non alloggiava nell’applicativo, ma nell’intera infrastruttura che lo ospitava e consentiva così l’erogazione del servizio alla miriade di pubbliche amministrazioni che dovevano utilizzarlo. E ci siamo così trovati a dover scegliere inevitabilmente l’infrastruttura statunitense di Amazon perché garantiva maggiore stabilità per un flusso di dati simultaneo verso chiunque utilizzava Web Analytics Italia”.

Sembra esserci un’altra ragione però che potrebbe aver spinto l’Italia ad affidarsi oggi ad Amazon e la storia assume un carattere inaspettato che porta Lisi a ricordare un episodio singolare del recente passato, quando il Governo Renzi  affidò gratuitamente un rilevantissimo incarico governativo proprio a Diego Piacentini che rivestiva allora un ruolo apicale in Amazon. E quella nomina di Commissario straordinario per l’Italia digitale proprio in capo all’ex Vice di Bezos portò probabilmente già in quegli anni Amazon a investire su servizi cloud (AWS) in favore delle PA Italiane. 

Questo è quello che in questi anni, secondo Matrice Digitale, ha rovinato del tutto l’identità nazionale ed europea relegandola ad un business privato di piattaforme extra europee attraverso incarichi gratuiti e consulenze marce di conflitti di interessi, dove per risparmiare centinaia di migliaia di euro si sono affidati appalti milionari a grandi aziende estere. La storia sul conflitto di interessi di Piacentini insegna che è stato affidato un incarico di governo con formula gratuita a chi ha poi inevitabilmente favorito l’azienda per cui lavorava (e per di più continuava a detenere quote azionarie importanti del suo precedente datore di lavoro).

Questo modo di fare però non è stato solo italiano, ma è frutto di una strategia miope europea, Andrea Lisi sostiene “che l’Europa sta provando oggi a tornare indietro sui suoi passi e sta insistendo nel favorire finalmente una nostra sovranità digitale, ma la strada è sempre più complessa e ci sono enormi difficoltà non solo dal punto di vista dello sviluppo, ma soprattutto dell’attuazione nell’implementazione dei servizi fisici dove far ospitare gli applicativi di un intero continente su un cloud interamente siglato dalla bandiera blu con le stelle”.  Alla domanda sui fondi del PNNR, Lisi non crede che il tempo a disposizione sia “sufficiente” per consentire la nascita di una effettiva sovranità digitale nazionale. “Pochi soldi per implementare un’intera infrastruttura e poco tempo per metterla in piedi e l’esperienza di GaiaX (cloud europeo) ne è la conferma“.

La soluzione quindi qual è? Ci chiediamo e la risposta sembra scontata, ma pur sempre difficile da attuare per i motivi espressi più sopra. Secondo Lisi “la soluzione al problema della sovranità digitale è quella di incidere normativamente su queste piattaforme continuando a utilizzare la gabbia dei loro servizi, ma decidendo noi le regole attraverso sanzioni e ricatti normativi che le inviteranno con l’arma nobile del diritto ad avvicinarsi sempre più ai paradigmi imposti dal GDPR (e non solo quello) in modo tale che venga tutelato l’unico diritto che oramai possiamo davvero giocarci sui nostri dati, la circolazione degli stessi in modo rispettoso ed informare allo stesso tempo i cittadini su come vengono trattati i loro dati e sul loro reale valore”.

Perché su una cosa Lisi ha ragione, dopo anni che abbiamo ceduto a condizioni legislative molto bonarie i nostri dati alle piattaforme, parlare di privacy è oggi obsoleto, anzi un inganno, proprio come sembrerebbe esserlo quello della sovranità digitale Europea.

Di Livio Varriale

Giornalista e scrittore: le sue specializzazioni sono in Politica, Crimine Informatico, Comunicazione Istituzionale, Cultura e Trasformazione digitale. Autore del saggio sul Dark Web e il futuro della società digitale “La prigione dell’umanità” e di “Cultura digitale”. Appassionato di Osint e autore di diverse ricerche pubblicate da testate Nazionali. Attivista contro l’abuso dei minori, il suo motto è “Coerenza, Costanza, CoScienza”.

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