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Twitter Files: dirigenti factchecker e ban ombra per gli utenti con la regia dell’intelligence USA

Tempo di lettura: 4 minuti. L’ascensore sociale non è per tutti, ingerenze delle agenzie di sicurezza USA nella gestione del social con dirigenti compiacenti e dirigenti finanziatori del PD di Biden.

Tempo di lettura: 4 minuti.

Elon Musk continua la diffusione dei documenti di Twitter al centro di uno scandalo internazionale. Non sono presenti buone notizie per coloro che hanno descritto dogmaticamente i social network come dei campi di battaglia ed hanno perpetrato, volontariamente o inconsciamente, azioni politiche e commerciali con il fine di conquistarli. Anche i fondatori delle piattaforme di social media, che ad oggi rappresentano una grande piazza virtuale dove si pubblicano notizie e ci si confronta su argomenti di vario genere, più volte si sono detti perplessi di una forte regolamentazione su quel che si può dire e cosa no perché non si arriva mai ad una soluzione equilibrata che rappresenti gli interessi di tutti.

Dopo aver descritto come si è arrivati al ban dalla piattaforma della notizia del figlio del presidente Biden sotto quelle elezioni che lo hanno visto diventare il nuovo presidente degli Stati Uniti D’America , Elon Musk è arrivato ad una fase avanzata dei Twitter files dove è spiegato come in passato si è arrivati al di Donald Trump dalla piattaforma rilevata da poco.

C’è stato ancora più clamore, rispetto alle prime pubblicazioni, quando il fondatore e primo proprietario Jack Dorsey ha iniziato a criticare il metodo di diffondere le informazioni a poco a poco , insinuando un sospetto su un’eventuale preconfezionamento e censura di informazioni che potrebbero essere utili a smontare la tesi che ci fosse una regia nelle censure applicate tempo fa sui social network.

Ban ombra: l’ascensore social non esiste o non è per tutti

La risposta di Elon Musk non si è fatta attendere ed ha spiegato più volte che molti documenti sono andati persi ed è per questo che per effettuare una collazione di tutte le informazioni necessarie risulta molto complesso. Prima di arrivare però al ban dell’ex presidente degli Stati Uniti d’America, nonostante le rassicurazioni di Elon Musk sulla figura di Dorsey che non identifica come deus ex machina di tutte le operazioni di copertura avvenute in favore del Partito Democratico, è emersa una realtà che dovrebbe far riflettere molto gli utenti che credono nei social network come un ascensore sociale giusto per le loro qualità inespresse nel mondo reale. È stato sciolto ogni dubbio sul fatto che la piattaforma Twitter avesse la possibilità di effettuare dei “ban ombra” che, su indiscrezione dei dipendenti, riducesse la visibilità degli utenti creando un oscuramento di alcuni contenuti rispetto ad altri su discrezione personale e non dell’algoritmo.

Perché i famosi “Shadow Ban” sono importanti in questa vicenda?

Semplicemente perché Dorsey ne ha pubblicamente negato l’esistenza ed ha effettivamente aprendo un sospetto fondato sul come avvenissero delle vere e proprie restrizioni su eventuali idee e libertà di espressioni sulla base di un principio morale condizionato dalla politica e non dall’etica delle regole universali per tutti gli iscritti alla piattaforma.

Questo aspetto è emerso anche quando ci fu un hacking alla piattaforma e fu possibile vedere che era effettivamente possibile per alcuni dipendenti modificare il gradimento di utenti ignari.

Un titolare schiavo dei dipendenti, spesso agenti infiltrati da intelligence e partiti

E’ pur vero che il titolare dell’azienda possa essere informato di tutto quello che succede, ma allo stesso tempo presenta un ridotto campo di azione rispetto agli indirizzi dei dirigenti, è proprio il fatto che lo stesso Jack Dorsey ha espresso più volte perplessità nel limitare determinate teorie e determinati pensieri ascrivibili ad un’unica parte politica. Non si può ignorare, soprattutto negli States dove le lobby sono regolamentate, un principio di affiliazione ideologica che una buona parte dei dipendenti di queste piattaforme ha e che più volte è emerso sotto diversi fatti accaduti realmente. In primo luogo si ricordano le opposizioni che i lavoratori LGBTQ+ ed afro discendenti hanno rivolto a Mark Zuckerberg e Facebook sia per la questione di Giorge Floyd sia per le dichiarazioni forti pronunciate da Donald Trump sul tema dei diritti civili, così come è giusto anche tener conto dei finanziamenti partiti negli ultimi anni e nelle ultime campagne elettorali dagli alti dirigenti di Twitter, nei confronti del Partito Democratico americano. Su Twitter sta accadendo una rivoluzione che apparentemente sembrerebbe essere rivolta ad un riequilibrio che riporta il social network ad una piazza virtuale dove nessuno viene trattato in modo diverso da altri grazie a policy certe, ma così come ad oggi le piattaforme social sono succubi non dei diritti universali bensì della politica e dei potenti di turno, non è detto che Elon Musk non possa effettivamente farne un uso strumentale in base a quelle che saranno le sue convenienze politiche in futuro. Quindi Donald Trump è stato bannato dalla piattaforma dopo che si era provato in corso di campagna elettorale, con discussioni interne, a mutare due hashtags riconducibili alla campagna di disinformazione messa in piedi dai controversi Qanon che hanno proposto in quei giorni #stopthesteal e #kraken come attività borderline, farcite da notizie molte delle quali riscontrate false.

Caso Trump: bannato dall’intelligence americana

Donald Trump è stato bannato il 7 gennaio, ma la discussione era nell’aria da mesi oramai così come è stato certificato che il ban sia avvenuto per il “contesto” e non per qualcosa che riconducesse alla sua attività nel fomentare le folle a Capital Hill così come dimostrato dagli ultimi  tweet cristallizati nella sua bacheca ripristinata a furor di popoli. Emergono invece dei rapporti molto intensi tra un dirigente della piattaforma Roth e tre organismi nazionali come FBI, DHS, DNI dai quali prendeva spunti per l’attività che il social doveva avere sulle questioni politiche. L’opposizione alla parzialità della scelta solo perché in favore dei democratici è quella che il sistema messo in piedi in quei giorni aveva la scopo di iniziare nel mettere in discussione anche i successivi presidenti degli States, ma ahimè è difficile ritenere un’applicazione futura equa di questo metodo se poi i dirigenti dell’azienda siano i finanziatori delle campagne elettorali di un unico partito in maggioranza. Sorprende invece come molte verifiche alle affermazioni politiche siano state fatte da un livello dirigenziale elevato al gruppo “Trusty e Safety” con metodi alla giornata basati non su un metodo accademico e scientifico, ma con ricerche su Google, impressioni o dettature di riferimenti molto alti nelle sfere del partito competitor di Trump.

Di Livio Varriale

Giornalista e scrittore: le sue specializzazioni sono in Politica, Crimine Informatico, Comunicazione Istituzionale, Cultura e Trasformazione digitale. Autore del saggio sul Dark Web e il futuro della società digitale “La prigione dell’umanità” e di “Cultura digitale”. Appassionato di Osint e autore di diverse ricerche pubblicate da testate Nazionali. Attivista contro l’abuso dei minori, il suo motto è “Coerenza, Costanza, CoScienza”.

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