L'Altra Bolla
TikTok sul banco degli imputati: sicurezza o ennesima sanzione alla Cina?
Tempo di lettura: 3 minuti. Quello strano binomio sicurezza nazionale e guerra commerciale che trova giustificazioni nella lotta alla disinformazione

TikTok sta affrontando problemi di sicurezza e accuse di essere sovversivo ed addirittura equiparato ad un spyware, con conseguenti divieti da parte dei governi di Stati Uniti, Unione Europea e Australia sui dispositivi governativi. Il Regno Unito è sotto pressione per seguire l’esempio. I problemi di sicurezza derivano dalla prova che i dati degli utenti potrebbero essere accessibili al Partito Comunista Cinese su richiesta. Il Consiglio di gestione aziendale della Commissione europea ha sospeso l’uso dell’applicazione TikTok sui suoi dispositivi aziendali e sui dispositivi personali iscritti al servizio di dispositivi mobili della Commissione per aumentare la sicurezza informatica.
TikTok è stato anche descritto come una droga, un sovversivo e uno spyware. Si dice che crei dipendenza e sfruttamento, tanto che i politici del Regno Unito hanno chiesto di vietare ai funzionari governativi e al personale parlamentare di installare l’applicazione sui telefoni cellulari utilizzati per lavoro. Il timore è che TikTok sia una “mega organizzazione di raccolta dati affiliata allo Stato” che rappresenta un rischio per la sicurezza del Regno Unito. Nonostante gli operatori di sicurezza occidentali abbiano mostrato i rischi per la sicurezza di TikTok, alcuni politici del Regno Unito sembrano trascinarsi, cercando di non far arrabbiare la Cina.
Solo TikTok è un problema di sicurezza nazionale?
Tutto vero, tutto brutto, ma c’è qualcosa che dovrebbe essere analizzata sul fronte italico. TikTok è un’app straniera al pari di LinkedIn, Facebook, Instagram e Twitter. I dati commerciali degli utenti sono spesso stati invischiati in operazioni di intelligence come ampiamente dimostrato dalle denunce di Snowden e da alcune partecipazioni finanziarie parastatali di delle nazioni. Che in Cina ci sia l’obbligo di riferire al Governo tutto quello che accade nelle attività imprenditoriali è un fatto acclarato, che in Europa si sia data troppa libertà commerciale alle piattaforme social anche. Quante volte le stesse aziende americane hanno ostacolato la magistratura italiana in quelli che potremmo definire veri e propri atti di criminalità?
Tante, troppe, e continuano a farlo oggi, facendo pagare con le spunte un servizio che dovrebbe essere gratuito vista la funzione sociale alla quale assurgono anche per ottenere diversi benefit fiscali. Ci sono più eventi occorsi negli ultimi mesi dove TikTok è stata considerata complice di attività poco sospette ed addirittura utilizzata per monitorare i giornalisti di mezzo mondo nei loro spostamenti con particolare riferimento a quelli impegnati in indagini sulla Cina.
C’è però dall’altra parte un ruolo sempre più complice da parte delle piattaforme statunitensi nel contribuire ad un clima di regime e di censura di molte idee ed opinioni avverse ai dettati politici governativi Europei che non ammettono ricostruzioni diverse da quelle impartite dalla cabina di regia e tagliano la visibilità alle testate editoriali ed agli accademici e professionisti che esprimono dubbi su teorie in contrasto con dettati in linea con le nuove teorie ambientaliste, atlantiste e di gender. Le stesse piattaforme si avvalgono di società e ONG angloeuropee che finanziano con progetti per combattere la disinformazione ed assolvere l’odore di censura in vigore da quando c’è il conflitto tra il blocco Atlantico e quello Orientale.
E’ solo una questione di sicurezza nazionale?
Al netto dell’obbedienza che una piattaforma profonde verso l’una o l’altra posizione politica, dell’utilità oramai conclamata da fatti incontrovertibili che una piattaforma social ha nel restringere lo spazio di Internet, c’è in atto una guerra commerciale in un momento di forte crisi del settore che preoccupa di molto le realtà statunitensi come YouTube, Instagram e Facebook, i cui piani commerciali hanno fallito dinanzi a TikTok che di soldi ne redistribuisce non agli eletti secondo uno schema di censura preventiva, ma da subito ha dato possibilità di guadagno anche alle fonti di informazione alternativa. La sicurezza nazionale, poi, non è altro che un motivo di sudditanza dove si scelgono piattaforme straniere in cambio di altre in un settore dove è preponderante la libertà di pensiero e di informazione. In uno stato di censura, di regime, questi sono i validi motivi per appellarsi alla sicurezza nazionale.
L'Altra Bolla
L’Adige è diventata una spiaggia: la foto fake di Myrtha Merlino

In occasione della giornata mondiale dell’acqua, la conduttrice di La7 Myrtha Merlino ha pubblicato sul suo profilo social la foto dell’Adige in quel di Verona.
Davvero preoccupante, agghiacciante, lo stato in cui versa il fiume, ridotto ad una spiaggia, ma c’è un trucco che è stato scoperto dai debunker autonomi di Twitter, e non da quelli professionali pagati per censurare notizie false e fare disinformazione. Proprio gli utenti del social hanno mostrato diverse immagini del fiume che non appare così “vuoto”, ma è facile sostenere che il fiume in alcuni luoghi è più “pieno” e in altri invece con un livello dell’acqua più basso. Proprio per questo c’è la controprova e la foto pubblicata da un utente che spiega la scelta della Merlino e del suo staff di pubblicare una foto da una posizione strategica per diffondere l’impressione che il fiume fosse secco.

L'Altra Bolla
Un Posto al Sole e l’antisemitismo che non c’è: Repubblica non verifica la notizia
Tempo di lettura: 3 minuti. Cancella l’articolo senza rettificarlo, creandone uno nuovo. Confermate le analisi di Matrice Digitale sul tema.

Nella giornata del 23 marzo, il sito di Repubblica ha pubblicato un articolo “video” dai toni altisonanti come se il lettore si trovasse dinanzi ad uno scoop importante:
“Quelli sono due rabbini…”. L’invettiva antisemita in “Un posto …
Dopo il comunicato stampa della Redazione di Un Posto al Sole, programma RAI, il quotidiano diretto da Maurizio Molinari ha corretto il tiro dopo tre ore scusandosi pubblicamente con la Rai per la soffiata giunta dall’Osservatorio Antisemitismo del Centro di documentazione ebraica di Milano senza che la notizia fosse verificata dalla redazione politica.
E’ la seconda volta in pochi anni che il quotidiano casca in una notizia inesatta o inesistente in questo caso. Già in occasione della scorta alla Segre, il Centro di Documentazione Ebraica (non più presente) ha fornito un dato di duecento commenti quotidiani di odio contro la senatrice Segre, smentito dal fact checker David Puente che invitava a non “creare attenzione su un problema così serio ed attirare maggiori attenzioni“.
Questo ricalca un fenomeno su cui c’è un problema, esiste, ma continua ad essere “ridotto”, non irrilevante, nei paese occidentali e proviene dagli ambienti ridotti di estrema destra, che secondo l’attuale narrazione giornalistica si trova al governo sottoforma di fascismo, e soprattutto da popolazioni miste musulmane che vivono la questione palestinese in modo differenze dalla nostra.
Ovviamente l’errore ci può stare, e Matrice Digitale conferma che dare del rabbino ad un tirchio è un concetto che ricalca uno stereotipo antisemita.
Però il “pareva infatti definire” non è una scusa, ma un’ammissione di processo ad eventuali intenzioni.

Cancellare un link è possibile? Sì, ma solo se ti chiami Repubblica e … Corriere
Certamente è possibile, ma non se ti chiami Repubblica ed hai un direttore che ha collaborato in prima persona con la Commissione Europea per stabilire un principio di correttezza del giornalismo. Secondo i canoni moderni, le correzioni vanno fatte all’interno dell’articolo indicando eventuali cambi “strutturali” in calce all’articolo già pubblicato e modificato.
Questo metodo è anche parte dei sistemi di valutazione della società statunitense NewsGuard che offre bollini di qualità ai giornali, tra cui è compresa la correzione del testo. Nel board di NewsGuard c’è un grande “amico” di Repubblica, Gianni Riotta.
In virtù del Ministero della Verità voluto dal Commissario UE Gentiloni, che collabora costantemente con Riotta e la Luiss di cui l’Editorialista de La Stampa è il direttore della scuola di giornalismo che ha ricevuto fondi europei con il fine di insegnare ai giornalisti chi può essere degno giornalista, fa un pò paura a chi è indipendente sapere che nessuno controlla i controllori.
Mentre Repubblica non verifica la notizia, la pubblica, getta un sospetto nei confronti di una produzione napoletana di successo con un’accusa infamante come quella dell’antisemitismo, la stessa sollevata da Stefano Cappellini per la questione Schlein al Fatto Quotidiano, non rispettando i canoni giornalistici imposti dalle istituzioni presiedute dai suoi dipendenti.
Sempre a proposito di correzioni e questioni politiche, ricordiamo l’articolo pubblicato da Concita de Gregorio che faceva riferimento al sito Mokked che non aveva indicato la modifica del testo traendo molti in inganno, compresa la redazione di Matrice Digitale. Lasciare l’articolo online per la nostra testata è stato un obbligo morale, comprese le correzioni e le sentite scuse alla de Gregorio ed alle testate che riportavano la notizia, a differenza di Repubblica che ha il pallino verde della società che dispensa lezioni di giornalismo.
Corriere copia Repubblica? Sbagliando
Per correttezza delle informazioni, anche il Corriere ha rimosso il link, ma non ha i difensori del giornalismo ed i portatori del perfetto codice dell’informazione all’interno delle istituzioni politiche ed accademiche. Certo è anche che nemmeno la pezza a colori delle scuse ha fornito ai suoi lettori, confermando la regola del web che vede i giornali copiarsi a vicenda sugli scandali per fare click e conversioni. Anche quando c’è di mezzo un tema come quello dell’antisemitismo.

C’è anche chi se n’è accorto senza essere giornalista, nemmeno direttore, tantomeno esperto europeo sulla disinformazione.
Siamo sicuri che il pubblico sia sempre composto da analfabeti funzionali?
L'Altra Bolla
Perchè la “mostruosa” Elly Schlein non “puzza di antisemitismo”
Tempo di lettura: 3 minuti. Una caricatura sotto accusa per aver ritratto in modo mostruoso la nuova segretaria del PD. Peccato però che il suo status ebraico non la renda differente da Meloni, Draghi e Bellanova disegnati allo stesso modo dallo stesso autore.

Giù le mani da Elly Schlein, anzi via le caricature. E’ iniziata da qualche giorno la corsa al processo di vittimizzazione della segretaria del PD fresca di nomina. Esperti ed analisti della politica hanno elogiato la sua grande partecipazione sui social media condivisa dai tantissimi entusiasti del successo alle primarie Pd, c’è stato un nutrito fronte che ha ironizzato sul suo aspetto fisico, arrivando in alcuni casi al limite del body shaming a causa del suo naso. E’ anche vero però che in questi tempi di meme e di poco rispetto in generale nei confronti dei potenti, si sono susseguite diverse immagini che hanno ritratto la giovane politica dalla lunga militanza nei palazzi che contano in un modo molto ironico a causa della fisionomia nasale.

Sebbene in passato siano state spesso accostate immagini di volti con un naso accentuato al popolo ebraico, si è provato da subito a mettere alla gogna chi ha spesso delle vignette con il volto di cittadini e politici aventi un naso generoso ed appartenenti allo stesso tempo all’origine ebraica. Elly Schlein ha da subito provato ad accostare questi commenti alla “puzza di antisemitismo”, ma è stata già richiamata dalla comunità ebraica di Roma che ha smentito qualsiasi riferimento di queste attività all’odio che corre sui social contro il popolo ebraico. Subito dopo poche ore dal richiamo di Ruth Dureghello, la Schlein ha fatto un passo indietro dichiarando che le sue fattezze fisiche sono di origine etrusca.

Nonostante questo si continua a fare sempre riferimento all’antisemitismo quando la segretaria del PD viene ritratta anche sotto forma di vignetta. L’ultimo caso riguarda sempre il Fatto Quotidiano, dove è stato pubblicato il precedente di Vauro che ha disegnato il volto di Zelensky, anch’egli ebreo, con un naso pronunciato più del dovuto. Il Quotidiano di Travaglio ha pubblicato una vignetta dove è raffigurata una mostruosa Elly Schlein e subito è scattata la corsa alla dichiarazione di pericolo antisemitismo da parte della solita parte di stampa sempre attenta a fomentare odio sul tema.
A schierarsi subito in favore dei diritti del popolo ebraico è stato Stefano Cappellini di Repubblica, giornale orientato politicamente al Partito Democratico ed il primo giornalista ad intervistare in esclusiva Elly Schlein prima della sua candidatura a segretario del PD.
David Parenzo, più volte richiamato a sciacallare sulla questione ebraica, ha ripreso a polemizzare sul tema, ma sembrerebbe aver sbagliato, facendo intendere di voler censurare il vignettista Frank che è noto per raffigurare uomini e donne di potere in modo obbrobrioso come dimostra la raccolta di vignette pubblicata da Matteo Flora.
Parenzo e Cappellini non hanno preso a suo tempo le difese di Meloni e Bellanova, ma di Schlein solo perché definita “ebrea askenazita” che non è un’offesa, ma un dato di fatto da lei stessa rimarcato nella bio sul suo blog personale. Se dall’house organ del PD e dai giornalisti riconducibili alla posizione progressista ebraica si continua a portare avanti una battaglia strumentale al processo di vittimizzazione di aderenti alla comunità strumentalizzando un argomento serio e che merita maggior rispetto, se davvero vogliono bene alla Schlein, sappiano che la giovane segretaria del PD continua a guadagnare notorietà tra il pubblico grazie ai meme che per le sue proposte politiche, grazie proprio all’ironia social che in questi giorni sta tappezzando le piazze virtuali con le sue caricature. Da un lato potrebbe essere anche meglio se consideriamo che l’ultima dichiarazione sull’esproprio delle case sfitte in favore dei migranti ha messo un intero paese sul chi va la, alimentando le perplessità sulle idee politiche del successore di Enrico Letta.
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