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Google e Amazon al servizio del Mossad nel progetto Nimbus a favore dei crimini contro i palestinesi
“Siamo anonimi perché temiamo ritorsioni“. Questo il testo di una lettera firmata da 500 dipendenti di Google lo scorso ottobre, in cui hanno denunciato il sostegno diretto della loro azienda al governo e ai militari israeliani.
Nella loro lettera, i firmatari protestavano contro un contratto da 1,2 miliardi di dollari tra Google, Amazon Web Services (AWS) e il governo israeliano che fornisce servizi cloud per l’esercito e il governo e che “permette un’ulteriore sorveglianza e raccolta illegale di dati sui palestinesi, e facilita l’espansione degli insediamenti illegali di Israele sulla terra palestinese“.
Il tutto rientra nel progetto Nimbus, annunciato nel 2018 ed entrato in vigore nel maggio 2021, nella prima settimana della guerra israeliana su Gaza assediata, che ha ucciso oltre 250 palestinesi e ferito molti altri.
I dipendenti di Google non erano solo disturbati dal fatto che, stipulando questo accordo con Israele, la loro azienda è diventata direttamente coinvolta nell’occupazione israeliana della Palestina, ma erano altrettanto indignati dal “modello inquietante di militarizzazione” che ha visto contratti simili tra Google – Amazon, Microsoft e altri giganti della tecnologia – con l’esercito degli Stati Uniti, Immigration and Customs Enforcement (ICE) e altre agenzie di polizia.
In un articolo pubblicato sul quotidiano The Nation in giugno, tre rispettati accademici statunitensi hanno rivelato la componente finanziaria della decisione di Amazon di essere coinvolta in un business così immorale, sostenendo che tali contratti legati all’esercito sono “diventati una grande fonte di profitto per Amazon”. Si stima, secondo l’articolo, che la sola AWS sia stata responsabile del 63% dei profitti di Amazon nel 2020.
La massima “le persone prima del profitto” non può essere più appropriata che nel contesto palestinese, e né Google né Amazon possono dichiararsi ignoranti. L’occupazione israeliana della Palestina è in atto da decenni, e numerose risoluzioni delle Nazioni Unite hanno condannato Israele per la sua occupazione, espansione coloniale e violenza contro i palestinesi. Se tutto ciò non fosse stato sufficiente a far calare l’entusiasmo di Google e Amazon nell’impegnarsi in progetti che mirano specificamente a proteggere la “sicurezza nazionale” di Israele un rapporto del più grande gruppo israeliano per i diritti umani, B’tselem avrebbe dovuto servire come campanello d’allarme.
B’tselem ha dichiarato Israele uno stato di apartheid nel gennaio 2021. Il gruppo internazionale per i diritti, Human Rights Watch (HRW) ha seguito l’esempio in aprile, denunciando anch’esso lo stato di apartheid israeliano. Questo accadeva solo poche settimane prima che il Progetto Nimbus fosse dichiarato. Era come se Google e Amazon dichiarassero di proposito il loro sostegno all’apartheid. Il fatto che il progetto sia stato firmato durante la guerra israeliana su Gaza la dice lunga sul totale disprezzo dei due giganti della tecnologia per il diritto internazionale, i diritti umani e la stessa libertà del popolo palestinese.
E c’è di peggio. Il 15 marzo, centinaia di lavoratori di Google hanno firmato una petizione per protestare contro il licenziamento di uno dei loro colleghi, Ariel Koren, che è stato attivo nel generare la lettera di ottobre per protestare contro il Progetto Nimbus. Koren era il product marketing manager di Google for Education, e ha lavorato per l’azienda per sei anni. Tuttavia, era il tipo di dipendente non gradito a Google, dato che l’azienda è ora direttamente coinvolta in vari progetti militari e di sicurezza.
“Per me, come dipendente ebrea di Google, sento un profondo senso di intensa responsabilità morale“, ha detto in una dichiarazione lo scorso ottobre. “Quando lavori in un’azienda, hai il diritto di rendere conto e di essere responsabile del modo in cui il tuo lavoro viene effettivamente utilizzato“, ha aggiunto.
Google ha subito reagito a questa dichiarazione apparentemente oltraggiosa. Il mese successivo, il suo manager “le ha presentato un ultimatum: trasferirsi in Brasile o perdere la sua posizione“. Alla fine, è stata cacciata dall’azienda.
Koren non è stata la prima dipendente di Google – o di Amazon – ad essere licenziata per essersi schierata contro per una buona causa, e purtroppo non sarà nemmeno l’ultima. In quest’epoca di militarismo, sorveglianza, riconoscimento facciale ingiustificato e censura, dire la propria opinione e osare combattere per i diritti umani e altre libertà fondamentali non è più un’opzione.
Paradossalmente i profitti generati dal monopolio del mercato, dal maltrattamento dei lavoratori o da altri comportamenti scorretti sono diversi dai profitti generati dal contribuire direttamente ai crimini di guerra e ai crimini contro l’umanità.
Anche se le violazioni dei diritti umani dovrebbero essere evitate ovunque, indipendentemente dal loro contesto, la guerra di Israele contro il popolo palestinese, ora con l’aiuto diretto di tali aziende, rimane una delle ingiustizie più gravi che continua a sfregiare la coscienza dell’umanità. Nessuna quantità di giustificazione di Google o razionalizzazione di Amazon può cambiare il fatto che stanno facilitando i crimini di guerra israeliani in Palestina.
Per essere più precisi, secondo The Nation, il servizio cloud di Google-Amazon aiuterà Israele a espandere i suoi insediamenti ebraici illegali “supportando i dati per l’Israel Land Authority (ILA), l’agenzia governativa che gestisce e assegna le terre statali“. Questi insediamenti, ripetutamente condannati dalla comunità internazionale, sono costruiti su terra palestinese e sono direttamente collegati alla pulizia etnica in corso del popolo palestinese.
Secondo il quotidiano israeliano Haaretz, il Progetto Nimbus è “la gara d’appalto più lucrativa indetta da Israele negli ultimi anni“. Il progetto, che ha scatenato una “guerra segreta” che coinvolge i più alti generali dell’esercito israeliano ha anche stuzzicato l’appetito di molte altre compagnie tecnologiche internazionali, tutte desiderose di far parte della spinta tecnologica di Israele, con lo scopo ultimo di mantenere i palestinesi intrappolati, occupati e oppressi.
Questo è precisamente il motivo per cui il movimento di boicottaggio palestinese è assolutamente critico in quanto si rivolge a queste aziende internazionali, che stanno migrando in Israele in cerca di profitti. Mentre la generazione di profitti è comprensibilmente l’obiettivo principale di aziende come Google e Amazon, questo obiettivo può essere raggiunto senza necessariamente richiedere la sottomissione di un intero popolo, che è attualmente vittima dell’ultimo regime di apartheid rimasto al mondo.
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Kapeka: nuova backdoor di Sandworm per l’Est Europa
Tempo di lettura: 3 minuti. Kapeka, nuova backdoor utilizzata da Sandworm in attacchi all’Europa orientale, con capacità avanzate di controllo e flessibilità operativa.
Una nuovo backdoor denominata “Kapeka” è stato individuato mentre veniva impiegato in attacchi mirati contro l’Europa orientale, inclusi Estonia e Ucraina. Questo malware, sviluppato dal gruppo di minaccia persistente avanzato (APT) collegato alla Russia, noto come Sandworm, ha mostrato capacità estremamente sofisticate nell’esecuzione di cyber-attacchi, secondo un rapporto di WithSecure.
Caratteristiche del Backdoor Kapeka
Kapeka è una backdoor flessibile scritta in C++ e confezionato come una DLL di Windows. È progettato per mascherarsi da componente aggiuntivo di Microsoft Word per sembrare legittimo e evitare il rilevamento. Il malware è dotato di una configurazione di comando e controllo (C2) incorporata che stabilisce contatti con server controllati dall’attaccante e ottiene istruzioni su come procedere.
Funzionalità del malware
Le funzionalità di Kapeka includono la capacità di leggere e scrivere file, lanciare payload, eseguire comandi shell e persino aggiornare o disinstallare se stesso. Utilizza l’interfaccia COM di WinHttp 5.1 per la comunicazione di rete e impiega il formato JSON per inviare e ricevere dati dal suo server C2. Il backdoor può anche aggiornare la propria configurazione C2 “al volo”, ricevendo una nuova versione dal server C2 durante il polling.
Metodi di propagazione e associazioni
La modalità esatta di propagazione di Kapeka non è ancora stata pienamente identificata, ma le analisi indicano che il dropper del malware viene recuperato da siti web compromessi utilizzando il comando certutil, un esempio di utilizzo di binari legittimi per eseguire attacchi (LOLBin). Kapeka è stato collegato a precedenti famiglie di malware come GreyEnergy e Prestige, suggerendo che potrebbe essere un successore di quest’ultimo, usato in intrusioni che hanno portato al dispiegamento del ransomware Prestige alla fine del 2022.
Implicazioni e significato
L’uso di Kapeka in operazioni di intrusione dimostra un’attività di livello APT, con un alto grado di stealth e sofisticazione, tipico di attacchi attribuibili a origini russe. La sua vittimologia sporadica e il targeting di specifiche regioni geopoliticamente sensibili come l’Europa orientale, evidenziano l’uso strategico di questo malware in operazioni di cyber spionaggio o sabotaggio.
Il backdoor Kapeka rappresenta una minaccia significativa per la sicurezza delle informazioni nelle aree colpite. Le organizzazioni in regioni potenzialmente a rischio dovrebbero rafforzare le loro difese e monitorare attivamente per rilevare segni di questo malware sofisticato, adottando misure proattive per proteggere i loro sistemi dagli attacchi.
APT44: pericolo globale del gruppo Sandworm
APT44, noto anche come Sandworm, è una delle unità di sabotaggio informatico più pericolose, attiva nell’ambito dei conflitti geopolitici a favore degli interessi russi. Questo gruppo è associato a numerosi attacchi di alto profilo e continua a rappresentare una minaccia elevata per governi e operatori di infrastrutture critiche a livello mondiale.
Caratteristiche e attività di APT44
APT44 è un gruppo avanzato di minaccia persistente (APT) che ha mostrato una capacità notevole e una tolleranza al rischio elevata nei suoi sforzi per supportare la politica estera russa. L’ampio mandato di questo gruppo lo rende una minaccia imprevedibile, pronta a colpire a breve termine ovunque i suoi obiettivi si allineino agli interessi nazionali russi.
Rischio di proliferazione di nuove tecniche
Le continue innovazioni di APT44 nell’uso di capacità cyber distruttive hanno potenzialmente abbassato la barriera all’ingresso per altri attori statali e non statali interessati a sviluppare i propri programmi di attacco informatico. Questo rischio di proliferazione è una preoccupazione crescente, poiché potrebbe portare a un aumento globale di attacchi cyber sofisticati e distruttivi.
Protezione e Azioni della Comunità
La ricerca di Google ha portato all’identificazione di varie misure per proteggere gli utenti e la comunità più ampia:
- Protezione attraverso Google’s Threat Analysis Group (TAG): I risultati della ricerca migliorano la sicurezza dei prodotti di Google.
- Aggiunte a Safe Browsing: I siti e i domini identificati sono stati aggiunti per proteggere gli utenti da ulteriori sfruttamenti.
- Allerte per attacchi supportati dal governo: Gli utenti di Gmail e Workspace coinvolti ricevono notifiche.
- Programmi di notifica delle vittime: Dove possibile, le vittime vengono informate tramite programmi dedicati.
- Risorse di VirusTotal: Una collezione di indicatori di compromissione legati ad APT44 è disponibile per gli utenti registrati.
Il continuo impegno di APT44 nel campo del cyber sabotage rappresenta una delle minacce più severe e pervasive a livello globale. È essenziale che la comunità internazionale rimanga vigile e preparata a fronteggiare le sfide poste da gruppi come Sandworm, specialmente in contesti geopolitici delicati.
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Miner di criptovalute arrestato per aver evaso pagamenti di Server Cloud per 3,5 Milioni di Dollari
Tempo di lettura: 2 minuti. Un miner di criptovalute è stato arrestato per aver evaso pagamenti per 3,5 milioni di dollari in servizi di server cloud
Charles O. Parks III, noto anche come “CP3O”, è stato arrestato e accusato di aver utilizzato server cloud noleggiati per minare criptovalute, causando un debito di 3,5 milioni di dollari con due fornitori di servizi cloud, senza mai saldare i conti.
Dettagli del caso
Parks ha ideato un sistema ingegnoso creando identità aziendali fittizie, come “MultiMillionaire LLC” e “CP30 LLC”, per aprire numerosi account presso fornitori di servizi cloud, ottenendo così accesso a una potenza computazionale significativa. Anche se il Dipartimento di Giustizia (DOJ) non ha nominato esplicitamente i fornitori coinvolti, le indicazioni geografiche suggeriscono che si tratti di Amazon e Microsoft, situati rispettivamente a Seattle e Redmond, Washington.
Metodologia e abuso
Utilizzando questi account, Parks è riuscito a ottenere l’accesso a server dotati di potenti schede grafiche, essenziali per il mining di criptovalute come Ether (ETH), Litecoin (LTC) e Monero (XMR). Ha lanciato decine di migliaia di queste istanze di server, utilizzando software di mining e strumenti per massimizzare l’efficienza energetica e monitorare l’attività di mining in varie pool.
Riciclaggio e lifestyle
Le criptovalute estratte venivano poi riciclate acquistando token non fungibili (NFT), convertendole e trasferendole su varie piattaforme di scambio di criptovalute, o attraverso pagamenti online e conti bancari tradizionali. I proventi, convertiti in dollari, erano utilizzati da Parks per finanziare uno stile di vita lussuoso, includendo viaggi in prima classe e l’acquisto di articoli di lusso e auto.
Implicazioni legali e prevenzione
Parks è stato arrestato il 13 aprile 2024 nel Nebraska, con una prima udienza programmata il giorno successivo in un tribunale federale di Omaha. L’imputazione include accuse di frode informatica, riciclaggio di denaro e transazioni monetarie illegali, con una pena massima prevista di 30 anni di prigione. Il caso evidenzia anche l’importanza per i fornitori di servizi cloud di adottare misure più rigorose per verificare l’identità degli utenti, stabilire limiti di uso per i nuovi account e migliorare i sistemi di rilevamento delle anomalie per minimizzare le perdite.
Questo caso di cryptojacking sottolinea la necessità di una vigilanza continua e di politiche più severe da parte dei fornitori di servizi cloud per prevenire abusi simili, proteggendo così l’integrità dei loro servizi e dei loro clienti.
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USA, arrestata per un’accusa di Sextortion da 1,7 Milioni di Dollari
Tempo di lettura: 2 minuti. Una donna del Delaware è stata arrestata per aver preso di mira giovani ragazzi in uno schema di sextortion che ha fruttato 1,7 milioni
Una donna del Delaware, Hadja Kone, è stata arrestata per il suo presunto coinvolgimento in un vasto schema internazionale di sextortion che ha mirato a giovani maschi, guadagnando circa 1,7 milioni di dollari tramite estorsioni. Questo caso sottolinea la crescente problematica della sextortion su Internet, che colpisce migliaia di giovani in tutto il mondo.
Dettagli del caso
Hadja Kone, 28 anni, è stata collegata a un’operazione che mirava principalmente a giovani uomini e minori negli Stati Uniti, Canada e Regno Unito. I truffatori si fingevano giovani donne attraenti online, iniziando conversazioni con le vittime e invogliandole a partecipare a sessioni di video chat dal vivo, durante le quali venivano registrate segretamente. Successivamente, le vittime venivano minacciate di diffondere i video a meno che non pagassero somme di denaro, generalmente tramite Cash App o Apple Pay.
Implicazioni Legali e Risposta delle Autorità
Kone e i suoi co-conspiratori sono accusati di cyberstalking, minacce interstatali, riciclaggio di denaro e frode via cavo. Siaka Ouattara, un altro presunto co-conspiratore di 22 anni dalla Costa d’Avorio, è stato arrestato dalle autorità ivoriane a febbraio. Se condannati, entrambi potrebbero affrontare fino a 20 anni di prigione per ciascun capo di imputazione.
Preoccupazioni crescenti e misure di prevenzione
Questo caso rientra in una tendenza allarmante di aumento dei casi di sextortion, specialmente tra i minori. Nel gennaio 2024, il FBI ha lanciato un avvertimento sulla crescente minaccia di sextortion, sottolineando che i giovani maschi di età compresa tra 14 e 17 anni sono particolarmente a rischio, ma qualsiasi bambino può diventare vittima. Piattaforme come Instagram e Snapchat hanno iniziato a implementare nuove protezioni e risorse educative per combattere la sextortion e proteggere i giovani utenti.
Il caso di Hadja Kone evidenzia l’importanza di una maggiore consapevolezza e educazione sulle pratiche di sicurezza online. Le piattaforme social stanno rispondendo con nuove misure, ma è essenziale che i genitori, gli educatori e i giovani stessi siano informati sui segni di avvertimento e sulle strategie di prevenzione della sextortion
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