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Un ransomware sviluppato in 4 ore dopo l’infezione. E’ stato Conti?

L’attacco è iniziato con un payload IcedID distribuito su un endpoint lato utente e ha portato all’esecuzione del ransomware Quantum solo tre ore e 44 minuti dopo. I ricercatori di DFIR Report lo hanno descritto come uno degli attacchi ransomware più veloci che hanno osservato fino ad oggi.
In un attacco ransomware Ryuk nell’ottobre 2020, gli attori della minaccia hanno iniziato a crittografare i dati della vittima solo 29 ore dopo la violazione iniziale, ma il tempo medio di permanenza globale per il ransomware è di circa 5 giorni, secondo il rapporto M-Trends 2022 di Mandiant.
Una volta che il ransomware è stato eseguito, tuttavia, i dati della vittima possono essere criptati in pochi minuti. Un recente rapporto di Splunk mostra che il ransomware ha bisogno di una media di 43 minuti per crittografare i dati, mentre il tempo di crittografia più veloce è inferiore a 6 minuti.
Il payload di IcedID nell’incidente del ransomware Quantum analizzato era contenuto in un’immagine ISO che è stata probabilmente consegnata via e-mail. Il malware era nascosto sotto forma di un file chiamato “documento“, che era un file LNK progettato per eseguire una DLL (IcedID).
Una volta che la DLL è stata eseguita, numerose attività di scoperta sono state processate sfruttando varie utilità integrate di Windows, ed è stata creata un’attività pianificata per ottenere la persistenza.
Circa due ore dopo la compromissione iniziale, Cobalt Strike è stato distribuito all’interno dell’ambiente della vittima, il che ha permesso agli attaccanti di iniziare l’attività “hands-on-keyboard“.
Successivamente, i criminali informatici hanno iniziato ad eseguire la ricognizione della rete, compresa l’identificazione di ogni host all’interno dell’ambiente e la struttura della directory attiva dell’organizzazione vittima.
Gli aggressori hanno anche impiegato Cobalt Strike per estrarre le credenziali e le hanno testate per eseguire attività di scoperta WMI in remoto. Le credenziali hanno permesso all’avversario di stabilire connessioni RDP (Remote Desktop Protocol) a un server di destinazione, sul quale hanno tentato di distribuire Cobalt Strike Beacon.
L’attore della minaccia si è poi collegato ad altri server all’interno dell’ambiente, sempre utilizzando RDP, dopo di che ha preparato la distribuzione del ransomware Quantum su ogni host. WMI e PsExec sono stati utilizzati per eseguire il ransomware in remoto.
L’attore della minaccia ha rilasciato una nota di riscatto in cui ha affermato che i dati sono stati rubati dall’ambiente, ma i ricercatori di The DFIR Report non hanno trovato alcuna prova di esfiltrazione palese dei dati. Tuttavia, IcedID o Cobalt Strike potrebbe essere stato utilizzato per la trasmissione dei dati.
Nasser Fattah, presidente del comitato direttivo del Nord America di Shared Assessments, ha notato che “la velocità con cui l’avversario è stato in grado di sfruttare una macchina compromessa è stata incredibilmente repentina“. Tuttavia, altri hanno sottolineato che questi tipi di attacchi sono sempre più comuni.
“Purtroppo, questo tipo di ransomware accelerato sta diventando sempre più comune“, ha detto il team di threat intelligence di Tanium a SecurityWeek. “Infatti, Conti ha sfruttato una tecnica simile tre settimane fa, utilizzando immagini ISO, così come il malware IcedID come vettore di infezione iniziale. Anche se è preoccupante, questo recente attacco ransomware Quantum non sta battendo alcun record e non sarà la prima, o l’ultima volta che vedremo qualcosa di simile“.
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Attacco ransomware ad Acea: tornano online i sistemi
Tempo di lettura: < 1 minuto. Panico durato 24 ore circa, ma sembrerebbe che il peggio è passato

Il gruppo Acea è stato colpito da un attacco ransomware della gang Black Basta che non ha risparmiato la società dal pretendere un riscatto. Il gruppo è stato colpito nei suoi sistemi ed il sito Internet risulta essere offline.
Sembrerebbero esserci buone notizie secondo quanto riferito da una fonte interna alla società interpellata da Matrice Digitale:
da ieri sera (3 febbraio ndr) funzionano di nuovo i sistemi. è stato un problema serio lavorare senza sistemi per gestire l’operatività tuttavia, non sono riusciti ad acquisire i dati degli utenti.
Il sito Internet è ancora offline, ma l’attacco ha portato un disservizio tecnico a dipendenti e clienti senza intaccare i dati con una violazione.
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PlugX, il malware si diffonde via USB. A rischio anche PC air gapped
Tempo di lettura: 3 minuti. Una volta caricato e decrittografato in memoria, il malware infetta l’host e tutti i dispositivi USB rimovibili collegati

L’Unit 42 incident response team di Palo Alto Networks avrebbe scoperto di recente una nuova variante del malware PlugX distribuita tramite dispositivi USB rimovibili e prendendo di mira i PC Windows.
La scoperta sarebbe avvenuta durante l’analisi di un attacco ransomware Black Basta rilevando diversi campioni e strumenti malware sui dispositivi delle vittime: il Tool ted-teaming Brute Ratel C4, il malware GootLoader e un vecchio campione PlugX.
Il malware PlugX
Come precisato dai ricercatori, il malware PlugX esiste da più di un decennio ed è stato utilizzato da molti gruppi di criminalità informatica nation-state. In particolare PlugX è stato osservato in molti attacchi informatici di alto profilo, come quello del 2015 responsabile della violazione dell’Office of Personnel Management (OPM) del governo degli Stati Uniti.
La specialità di PlugX è il DLL side loading ovvero lo sfruttamento di file legittimi per ottenere l’esecuzione di codice arbitrario.
In questo caso, gli attori delle minacce hanno deciso di dirottare un popolare e gratuito strumento di debug open source per Windows chiamato x64dbg utilizzato per analisi e reverse engineering.
In questo caso, gli attori hanno utilizzato il debugger a 32 bit di x64dbg. All’esecuzione di x32dbg.exe, Microsoft Windows cercherà tutti i file necessari per eseguire l’applicazione. In questo attacco DLL side loading è una copia non firmata della DLL X32bridge.dll legittima ad essere caricata per cercare localmente il file payload crittografato x32bridge.dat ovvero il malware PlugX.

https://unit42.paloaltonetworks.com/plugx-variants-in-usbs/
Una volta caricato e decrittografato in memoria, il malware infetta l’host e tutti i dispositivi USB rimovibili collegati.
La tecnica utilizzata per nascondere file nelle USB
Una volta che un dispositivo USB viene infettato, tutti i nuovi file scritti nella cartella principale del dispositivo USB dopo l’infezione vengono spostati in una cartella nascosta all’interno del dispositivo stesso.
La tecnica utilizzata dal malware PlugX per nascondere tali file prevede l’utilizzo di un determinato carattere Unicode. Ciò impedisce a Windows Explorer e ai comandi shell di visualizzare la struttura della directory USB e qualsiasi file, nascondendoli alla vittima.
Il carattere Unicode utilizzato per le directory sarebbe “00A0″(un carattere chiamato no-break space). Tale carattere impedisce al sistema operativo Windows di eseguire il rendering del nome della directory, nascondendolo.
“Per ottenere l’esecuzione del codice del malware dalla directory nascosta, viene creato un file di collegamento di Windows .lnk nella cartella principale del dispositivo USB“, si legge nel rapporto.
In pratica il malware crea un file “desktop.ini” nella directory nascosta per specificare l’icona del file .lnk nella cartella principale, facendolo apparire come un’unità USB per ingannare la vittima. Nel frattempo, una sottodirectory chiamata “RECYCLER.BIN” ospita copie del malware sul dispositivo USB.

Conclusioni
“Grazie a questa capacità di eludere il rilevamento, il malware PlugX può continuare a diffondersi e potenzialmente passare a reti con air gapped.“, commentano i ricercatori Unità 42 Mike Harbison e Jen Miller-Osborn e concludono, “La scoperta di questi campioni indica che lo sviluppo di PlugX è ancora vivo e vegeto tra almeno alcuni aggressori tecnicamente esperti e rimane una minaccia attiva.”
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Cybertech Global, il Vice Direttore di ACN è speaker a Tel Aviv

Il Vice Direttore Generale, dott.ssa Nunzia Ciardi, partecipa come speaker al Cybertech Global di Tel Aviv, evento di portata mondiale che raggruppa le industrie del settore e al contempo i decision-maker pubblici e privati. L’intervento della dott.ssa Ciardi ha avuto come tema “Leadership e coordinamento: due ingredienti per una buona cooperazione internazionale in materia di cybersicurezza”.
“Gli attacchi informatici si stanno evolvendo, diventando sempre più pervasivi e insidiosi in tutti i settori della società. In termini di cooperazione internazionale dobbiamo agire sulla base della consapevolezza condivisa che queste minacce informatiche necessitano di una risposta coordinata perché mettono in pericolo istituzioni, organizzazioni e individui in ogni paese – ha detto nel corso del suo intervento – In questa prospettiva, cerchiamo di affrontare le minacce e gli attacchi informatici adottando un approccio globale alla sicurezza informatica che preveda il coinvolgimento, e il contributo attivo, di tutte le parti interessate. Ciò implica una maggiore cooperazione a livello internazionale perché il Cyber è una dimensione senza confini e altamente interconnessa che richiede di superare una visione miope, concentrata sulle sole realtà nazionali”.
Il Cybertech Global è un momento di confronto sulle ultime novità tecnologiche, le sfide e le soluzioni per combattere le minacce cyber.
Il Piano di Implementazione della Strategia Nazionale di Cybersicurezza contiene delle misure (dalla 75 all’81) dedicate alla cooperazione internazionale. L’Agenzia mira a creare un solido ecosistema cyber con i partner mondiali e a rafforzare il partenariato pubblico-privato nell’ottica della prevenzione e gestione degli incidenti cyber.
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