Garante Privacy, Report e il ritorno del dossier fantasma. Ranucci sanzionato passa all’attacco

di Livio Varriale
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Sigfrido Ranucci ha acceso nuovamente i riflettori sul Garante per la protezione dei dati personali, denunciando in sede europea un presunto tentativo di “armare” l’Autorità contro la trasmissione Report. Le sue parole, pronunciate nel corso di una conferenza stampa organizzata al Parlamento europeo di Strasburgo dall’eurodeputato Sandro Ruotolo, hanno riaperto un dibattito che sembrava sopito, riportando alla memoria il cosiddetto dossier fantasma, la vicenda rivelata in esclusiva nazionale da Matrice Digitale durante l’estate 2025. Il giornalista ha dichiarato di raccogliere in questi giorni una “solidarietà bipartisan ipocrita”, denunciando che “da una parte si esprime vicinanza, dall’altra qualcuno sta armando il Garante della privacy per punire Report e dare un segnale esemplare alle altre trasmissioni”. Ranucci ha aggiunto di parlare “con cognizione di causa”, annunciando che “nelle prossime ore si vedranno le prove di ciò che affermo”. Il suo intervento, denso di toni politici e civili, ha incluso un appello al Garante europeo, cui ha chiesto di verificare come stia operando l’Autorità italiana, che a suo dire “sembra agire come un’emanazione del governo”.

L’intervento di Sandro Ruotolo e i dati sulle minacce ai giornalisti

Le parole di Ranucci hanno trovato eco nelle dichiarazioni di Sandro Ruotolo, che ha ricordato come l’Italia sia “il Paese europeo con il più alto numero di minacce ai giornalisti”, con 116 episodi di intimidazione solo nel 2025 e 29 cronisti sotto protezione dello Stato. L’eurodeputato ha denunciato anche l’uso delle querele temerarie come strumenti di pressione, chiedendo al governo Meloni di ritirarle per restituire credibilità alla solidarietà istituzionale verso la stampa. Ruotolo ha inoltre richiamato la premier sulle accuse di spionaggio che riguardano 36 giornalisti europei, alcuni dei quali italiani, chiedendo chiarimenti sull’eventuale utilizzo del software Paragon da parte delle autorità nazionali.

La replica ufficiale del Garante

La risposta del Garante non si è fatta attendere. In una nota diffusa nel pomeriggio, l’Autorità ha “ribadito l’assoluta indipendenza e trasparenza del proprio operato a difesa della legalità”, annunciando di riservarsi “ogni necessaria iniziativa a propria tutela” in relazione alle “gravissime affermazioni rese dal dottor Ranucci”. Ma il contesto in cui esplode questa polemica è tutt’altro che neutro. Nella stessa giornata, il Garante ha infatti sanzionato la Rai per 150mila euro per la diffusione di un audio privato tra il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano e la moglie Federica Corsini, trasmesso l’8 dicembre 2024 durante una puntata di Report. L’Autorità ha rilevato una violazione del Codice della privacy, del GDPR e delle regole deontologiche del giornalismo, specificando però che un diverso reclamo dello stesso Sangiuliano contro altre testate è stato respinto perché infondato. La decisione, adottata all’unanimità dal collegio del Garante, giunge dunque nel pieno di un confronto diretto con la tv pubblica e, in particolare, con la redazione di Ranucci.

Privacy, potere e libertà di stampa

L’effetto politico e mediatico di questa coincidenza è immediato. Le parole di Ranucci trovano nuova forza proprio nell’atto ufficiale del Garante, che sembra trasformare un dissidio istituzionale in una vera e propria crisi di fiducia tra Autorità e giornalismo d’inchiesta. L’uso del termine “armare” appare allora come più di una metafora: diventa il simbolo di una tensione crescente fra chi controlla il potere e chi tenta di raccontarlo. È in questo scenario che riaffiora, come un’eco lontana ma ancora inquietante, la memoria del dossier anonimo che mesi fa aveva messo in discussione la trasparenza interna del Garante. Quel documento, recapitato a più destinatari in forma anonima, denunciava presunti conflitti di interesse, nomine politiche e rapporti interni opachi all’interno dell’Autorità. All’epoca Matrice Digitale aveva raccontato in esclusiva nazionale l’intera vicenda, evidenziando come il dossier non potesse provenire da ambienti esterni, ma sembrasse redatto da una mano esperta, vicina agli stessi meccanismi istituzionali.

Il silenzio dei media e la solitudine dell’inchiesta

La testata aveva inoltre sottolineato che, nel silenzio generale dei media, solo una trasmissione televisiva nazionale avrebbe potuto – e forse dovuto – approfondire un tema tanto sensibile per la trasparenza pubblica. Quel monito oggi suona quasi profetico, mentre proprio Report si trova al centro della controversia e viene accusata, indirettamente, di aver oltrepassato i limiti della privacy nel suo lavoro giornalistico. Il cerchio sembra così chiudersi in modo inquietante. Da un lato, un giornalista che denuncia pressioni e strumentalizzazioni istituzionali; dall’altro, un’autorità che rivendica la propria indipendenza ma che, nel medesimo giorno, sanziona la trasmissione da cui partono le accuse. In mezzo, la questione mai risolta della trasparenza del potere e del ruolo del giornalismo d’inchiesta in un Paese dove la libertà di informazione resta fragile.

Il ritorno del dossier e i nodi della democrazia digitale

Se il dossier anonimo di allora mise a nudo un presunto lato oscuro del Garante, la vicenda di oggi lo riporta sotto i riflettori, in un clima ancora più teso. Non è più solo una questione di privacy o di diritto, ma di scontro tra poteri e dall’altra parte dell’organo di garanzia si si fa ancora più insistente l’interrogativo su chi vigila sui garanti quando i garanti diventano parte del potere che dovrebbero controllare. Resta una domanda sospesa, la stessa che aleggiava nei mesi scorsi e che oggi torna a farsi più concreta:

che sia in corso un approfondimento di Report sul contenuto del dossier?