UE propone ban totale su Huawei dalle TLC mentre l’azienda lancia PC con CPU cinese

di Redazione
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L’Unione Europea avanza una proposta per vietare completamente Huawei e ZTE dalle infrastrutture telecom, trasformando la raccomandazione del 2020 in un obbligo giuridico che vincola i 27 Stati membri. Nel primo periodo emergono i punti cardine: la misura guidata dalla vicepresidente Henna Virkkunen, l’obiettivo di centralizzare le scelte sui fornitori, i rischi di sicurezza attribuiti ai legami tra Huawei e Pechino, la risposta di Huawei tramite il lancio dei PC Qingyun W515y e W585y con CPU Kirin 9000X interamente prodotta in Cina, l’adozione di sistemi operativi Linux domestici come Tongxin UOS e Galaxy Kylin, e la crescente pressione geopolitica tra UE, USA e Cina. La proposta delinea un cambio di paradigma nel settore delle telecomunicazioni europee, riducendo l’autonomia dei governi nazionali e spostando l’attenzione sulle vulnerabilità delle supply chain. Huawei, esclusa dai mercati occidentali per via delle sanzioni, accelera la propria strategia hardware homegrown per rafforzare l’indipendenza tecnologica interna, soprattutto nei settori governativi e aziendali. L’intersezione tra ban europeo e rilancio industriale cinese sottolinea una frattura crescente nel panorama geopolitico della tecnologia globale.

Proposta Commissione UE contro Huawei

La Commissione Europea prepara un regolamento vincolante per imporre un divieto totale sull’uso di attrezzature Huawei e ZTE nelle reti di telecomunicazioni europee. L’iniziativa trasforma la precedente raccomandazione del 2020 in un obbligo, chiedendo ai Paesi UE di rimuovere antenne, router, componenti core e infrastrutture 5G e fibra che coinvolgono fornitori cinesi considerati “ad alto rischio”. La nuova politica, guidata dalla vicepresidente Henna Virkkunen, mira a centralizzare la governance delle reti critiche, riducendo l’autonomia dei singoli Stati membri nella scelta dei fornitori. Le motivazioni includono rischi di spionaggio, vulnerabilità strutturali e potenziale sabotaggio da parte della Cina, in un contesto di tensioni geopolitiche crescenti. La Commissione propone inoltre una condizionalità che lega i fondi europei allo smantellamento delle tecnologie Huawei nei progetti digitali finanziati dall’UE. Questa mossa amplia l’influenza europea oltre i confini comunitari, incentivando Paesi terzi a seguire gli stessi standard. Huawei respinge nuovamente le accuse, definendo il provvedimento una “decisione politica priva di basi tecniche” e avvertendo che la rimozione delle sue apparecchiature comporterebbe costi elevati e ritardi nel rollout 5G. La proposta non riguarda smartphone e prodotti consumer, ma ha un impatto potenzialmente devastante sulle operazioni europee dell’azienda. La decisione arriva mentre l’UE punta a rafforzare la sovranità digitale e ridurre la dipendenza dalla tecnologia di Pechino.

Ragioni sicurezza e contesto storico

La decisione europea affonda le radici nelle preoccupazioni storiche sulla sicurezza delle reti 5G. Dal 2019 gli Stati Uniti imprimono sanzioni severe su Huawei, accusandola di essere legata al governo cinese e potenzialmente soggetta alle politiche di intelligence della Repubblica Popolare. L’UE inizialmente adotta un approccio prudente con la “5G Toolbox”, ma nel 2025 sceglie di rendere vincolante ciò che fino ad allora era una raccomandazione. La preoccupazione riguarda la possibilità che Huawei possa, su pressione del governo cinese, accedere o monitorare il traffico sulle infrastrutture europee. Il provvedimento anticipa una possibile escalation diplomatica con Pechino e rispecchia tensioni commerciali crescenti, unite al timore di dipendenze strategiche in settori critici come telecomunicazioni e semiconduttori. Per l’UE, il nuovo quadro normativo crea un precedente: limitare l’autonomia politica degli Stati membri in nome della sicurezza collettiva. Huawei, dal canto suo, contesta l’assenza di prove concrete e denuncia i potenziali danni economici dovuti alla sostituzione delle sue tecnologie con alternative più costose.

Lancio dei nuovi PC Huawei Qingyun

Mentre affronta restrizioni internazionali, Huawei accelera la produzione di dispositivi progettati e costruiti interamente in Cina. I nuovi Qingyun W515y e W585y, destinati a uffici e ambienti governativi, adottano il processore Kirin 9000X, sviluppato internamente tramite HiSilicon. Il chip presenta una configurazione octa-core a 2,5 GHz, con 16 thread e architettura ottimizzata per produttività e gestione di applicazioni business. Si tratta di una risposta diretta alle sanzioni statunitensi che impediscono a Huawei di acquistare processori Intel e componenti occidentali. I nuovi modelli sostituiscono infatti gli Intel Alder Lake dei precedenti PC Qingyun. Questa transizione segna un passo rilevante verso l’autosufficienza tecnologica cinese. I PC supportano due sistemi operativi basati su Linux: Tongxin UOS V20 e Galaxy Kylin V10, due soluzioni sempre più adottate nel settore pubblico cinese. Huawei sorprende evitando HarmonyOS, preferendo sistemi già certificati per applicazioni governative e più maturi nel contesto enterprise. Le macchine mantengono un design identico ai modelli precedenti, con un’ampia dotazione di porte: USB-C frontale, USB 3.2 multiple, VGA, HDMI, porta seriale e Gigabit Ethernet, affiancate da tastiera e mouse cablati della serie K100/M100.

Specifiche hardware e software dei PC Qingyun

I desktop Qingyun evidenziano il tentativo di costruire un’intera filiera hardware-software nazionale. Il Kirin 9000X, descritto come SoC a vocazione mobile, supporta multitasking leggero e applicazioni da ufficio. Il sistema operativo Tongxin UOS integra un ambiente Linux ottimizzato per utilizzo professionale, mentre Galaxy Kylin V10 risponde alle esigenze delle amministrazioni pubbliche con certificazioni di sicurezza interne alla Cina. Le porte frontali offrono compatibilità immediata con periferiche moderne. Le connessioni posteriori coprono scenari legacy e moderni grazie alla combinazione di VGA, HDMI e seriale. I PC supportano funzioni basilari come editing documenti, fogli di calcolo e navigazione web, ma senza benchmark ufficiali resta da verificare l’effettiva potenza del Kirin 9000X in scenari più intensivi.

Contesto sanzioni e indipendenza tecnologica

Le sanzioni internazionali costringono Huawei a reinventare la propria filiera produttiva. Il lancio dei Qingyun rappresenta il passo più evidente nella strategia di de-occidentalizzazione tecnologica della Cina, che privilegia CPU interne, sistemi operativi nazionali e processi produttivi localizzati. La risposta di Huawei si allinea perfettamente al piano cinese di indipendenza dalla supply chain statunitense. Il ban europeo, se approvato, metterà ulteriore pressione su Huawei e sulle sue attività globali. Tuttavia, l’azienda continua a competere nei mercati consumer e domestici, puntando su smartphone e PC capaci di aggirare restrizioni hardware e software. La combinazione tra restrizioni USA, ban UE e innovazione interna crea una frattura profonda nella geopolitica della tecnologia.

Impatto globale e prospettive future

La proposta dell’UE potrebbe cambiare radicalmente il panorama telecom europeo, imponendo ai Paesi membri costi elevati per la rimozione delle infrastrutture Huawei e ritardando l’espansione del 5G. Tuttavia, rappresenta una scelta strategica verso una maggiore sovranità tecnologica e una riduzione delle dipendenze critiche. Huawei, dal canto suo, rafforza la presenza domestica e investe nell’innovazione hardware interna, come dimostrano i PC Qingyun. Nei prossimi anni, potremmo assistere all’emergere di un mercato globale sempre più frammentato, dove le tecnologie cinesi, statunitensi e europee seguiranno traiettorie separate. Il futuro della relazione UE-Cina dipenderà dall’evoluzione delle tensioni geopolitiche e dalla capacità dei produttori europei di colmare il gap lasciato dall’assenza di Huawei nelle reti telecom.