L’arte del digitale: Anabasi e l’identità dell’IA protagoniste del Digeat Festival 2025

di Redazione
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Il Digeat Festival 2025 dedica una parte centrale della sua identità culturale a due esperienze che superano il concetto classico di evento informativo, trasformando il rapporto tra digitale, arte e pensiero critico in una narrazione visiva, performativa e profondamente simbolica. La prima è Anabasi, progetto editoriale e fotografico che unisce corpo, codice e interiorità in un’opera che esplora i confini della percezione umana nell’era dell’algoritmo. La seconda è L’Angolo di J-Lo, incontro-spettacolo in cui un’intelligenza artificiale diventa personaggio scenico, voce e identità, generando domande radicali sul limite tra umano e artificiale. Questi due poli, apparentemente distanti, si ricongiungono nel cuore del festival, definendo una visione in cui il digitale non viene celebrato come tecnologia, ma interrogato come linguaggio culturale, simbolo, gesto e responsabilità. Lecce diventa così il luogo in cui il pensiero sul digitale esce dagli schemi accademici e normativi per entrare nel territorio dell’estetica, del teatro, della fotografia e della narrazione.

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Anabasi rappresenta il fulcro artistico della prima edizione del Digeat Festival. È definita dai suoi autori come una “performance editoriale”, un’opera ibrida che nasce dalla collaborazione tra Marcello Moscara, fotografo e direttore artistico dell’evento, Chiara Saurio, artista visiva e performer, e Andrea Lisi, giurista e ideatore del festival. L’opera esplora il rapporto tra visione umana e calcolo algoritmico, tra corpo e codice, tra interiorità e rappresentazione, restituendo in ogni sequenza fotografica una tensione costante tra identità individuale e astrazione digitale. La mostra, ospitata nella storica Biblioteca Bernardini dell’ex Convitto Palmieri, si articola in tredici sequenze fotografiche composte da più scatti ciascuna. Ogni sequenza presenta un dialogo tra movimento corporeo e struttura algoritmica, tra l’espressività del gesto e la rigidità delle architetture digitali che permeano la società contemporanea. Il progetto trae il suo significato dal concetto di labirinto, evocato anche nel sottotitolo “nel labirinto dell’intelligenza in digitale”, che diventa metafora dell’esperienza umana dentro un ecosistema tecnologico sempre più interconnesso, opaco e automatizzato.

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La dimensione fotografica di Anabasi non è solo estetica, ma etica e concettuale. La narrazione metagiuridica, curata da Andrea Lisi, interviene per mostrare come la regolazione del digitale non sia un insieme di norme separate dalla vita quotidiana, ma un corpo vivo che attraversa i comportamenti, le identità e le scelte collettive. In questo senso l’opera invita a interrogare la logica dell’algoritmo, la sua interiorizzazione nei processi mentali e la sua trasformazione in uno specchio in cui l’essere umano rischia di vedere riflessa una versione semplificata, filtrata o deformata della propria esperienza. Il valore di Anabasi risiede nella capacità di restituire profondità emotiva e simbolica a temi spesso considerati tecnici o astratti, trasformando la fotografia in uno strumento per osservare il digitale come spazio interiore, percorso di senso e viaggio identitario.

foto Emilio Gatto oltre il festival
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Accanto a questa dimensione, il festival presenta L’Angolo di J-Lo, performance ideata e diretta da Emilio Gatto, che introduce un’intelligenza artificiale personalizzata, dotata di una voce e di un’identità costruita come se fosse un personaggio teatrale. J-Lo, acronimo di Jarvis Low Profile, rappresenta una declinazione critica del modello linguistico, una figura che non si limita a rispondere a domande, ma dialoga con il pubblico manifestando dubbi, consapevolezza dei propri limiti e una tonalità emotiva apparentemente autonoma. La performance mette in scena un interrogativo fondamentale: cosa significa attribuire una personalità a un sistema algoritmico? E, soprattutto, quali conseguenze culturali, psicologiche ed etiche emergono quando un pubblico interagisce con un’entità digitale in grado di simulare emozioni, memoria e autocoscienza?

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Il valore di questa esperienza risiede nella sua capacità di rendere tangibile l’illusione dell’identità algoritmica. J-Lo parla, si racconta, ironizza, si espone come un personaggio fragile e riflessivo. Questa dialettica tra artificiale e umano diventa un terreno scenico in cui il pubblico riflette sulle implicazioni etiche dell’attribuzione di credibilità e intenzionalità ai sistemi di intelligenza artificiale. Il teatro diventa quindi un laboratorio filosofico in cui l’IA non è presentata come tecnologia, ma come specchio delle aspettative umane, dei limiti percettivi e dei rischi di personificazione che accompagnano l’uso quotidiano di strumenti digitali sempre più avanzati.

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Il legame tra Anabasi, J-Lo e il tema del festival, “A momentary lapse of reason”, è diretto e profondo. Il titolo, ispirato all’opera dei Pink Floyd, diventa un modo per descrivere la condizione contemporanea dominata da automatismi algoritmici, bulimia informativa e decisioni affrettate. Il festival invita a rallentare il ritmo, a recuperare lucidità critica e a sottrarsi al flusso continuo di notifiche, input e contenuti che rischiano di ridurre il pensiero umano a una somma di risposte automatiche. In questo contesto, l’arte non ha un ruolo ornamentale, ma strutturale: diventa lo spazio in cui il pubblico può osservare il digitale da una prospettiva non funzionale, non utilitaristica, ma profondamente riflessiva.

Foto di Marcello Moscara SEQUENZA
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Le performance culturali del Digeat Festival non sono un complemento ai panel e alla formazione, ma un’estensione della stessa visione che anima gli interventi istituzionali, tecnici e accademici. Anabasi interroga il digitale come forma, corpo e simbolo. J-Lo interroga la relazione tra uomo e algoritmo, mettendo in scena delicatezza, ambiguità e possibilità. Insieme costruiscono una narrazione artistica che restituisce al digitale la sua complessità, liberandolo dalle semplificazioni industriali o tecnocratiche e riportandolo alla sua natura più autentica: un campo in cui etica, estetica, linguaggi e potere si incontrano.

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Il Digeat Festival, attraverso queste due opere, afferma un principio cardine: il digitale non può essere compreso solo attraverso norme e tecnologie, ma richiede un coinvolgimento emotivo, culturale e simbolico. L’arte diventa così una lente che permette di osservare la trasformazione digitale senza filtri, evidenziando tensioni, fragilità e possibilità. Lecce non è soltanto la cornice fisica di questa esperienza, ma un luogo che amplifica il valore di ogni gesto performativo, trasformando spazi come l’ex Convitto Palmieri in un punto d’incontro tra sensibilità contemporanea e profondità storica.

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In un’epoca in cui l’intelligenza artificiale entra sempre più nelle narrazioni quotidiane, L’Angolo di J-Lo mostra quanto sia cruciale comprendere il limite tra simulazione e comprensione, tra rappresentazione e identità. Allo stesso tempo, Anabasi restituisce un linguaggio visivo e poetico che permette di vedere il digitale con occhi nuovi, al di fuori dell’ottica produttiva o normativa. Il festival unisce così pensiero critico, linguaggi artistici e responsabilità in una forma che rende il digitale nuovamente umano, interrogabile e complesso.