Sommario
Premier | Tweet | Like | Condivisioni | Citazioni | Commenti |
---|---|---|---|---|---|
Bundeskanzler Friedrich Merz | 74 | 95.313 | 11.919 | 5.075 | 73.773 |
Emmanuel Macron | 66 | 567.125 | 87.313 | 21.901 | 124.028 |
Pedro Sánchez | 50 | 311.823 | 71.876 | 12.468 | 117.222 |
Giorgia Meloni | 36 | 233.831 | 32.419 | 3.998 | 44.300 |
Orbán Viktor | 22 | 323.268 | 72.223 | 4.561 | 25.583 |
Volodymyr Zelenskyy / Володимир Зеленський | 22 | 176.880 | 37.084 | 1.392 | 14.559 |
Donald Tusk | 21 | 182.115 | 25.134 | 4.220 | 60.676 |
Keir Starmer | 2 | 1.846 | 482 | 181 | 3.612 |

Macron e il riconoscimento della Palestina
Nel panorama digitale europeo di luglio 2025, Emmanuel Macron si distingue come il premier più virale, catalizzando oltre 200.000 like complessivi con una serie di post multilingue dedicati alla Palestina. Il suo tweet in inglese – pubblicato il 24 luglio – che annuncia il riconoscimento ufficiale della Palestina da parte della Francia, ha totalizzato 108.720 like, seguito dalla versione francese (69.060), da quella araba (18.874) e da un post in turco su una telefonata con Erdogan (30.772). Il messaggio chiave “Peace is possible” – accompagnato da proposte di cessate il fuoco, smilitarizzazione di Hamas e corridoi umanitari su Gaza – ha ricevuto oltre 25.000 repost, generando un impatto globale.
Tuttavia, a fronte dell’apprezzamento da parte di ambienti progressisti, le reazioni critiche non sono mancate, soprattutto da parte di ambienti conservatori, israeliani e statunitensi, che hanno bollato l’iniziativa come “tradimento” o “suicidio geopolitico”, amplificati da figure come Geert Wilders, che ha deriso Macron definendolo “happy suicide”. I tweet più istituzionali del presidente francese, come quelli per il 14 luglio (32.710 like), gli eroi civili (21.282) o l’unione nazionale (“C’est la France !”, 19.037 like), hanno contribuito a riequilibrare l’immagine con toni patriottici e rassicuranti, dimostrando un uso strategico della piattaforma per coprire l’intero spettro simbolico dell’identità francese.
Orbán e la strategia anti-Bruxelles: like al sovranismo, repulsione per l’europeismo
Se Macron ha dominato la scena multilaterale, Viktor Orbán ha incarnato la voce del dissenso interno all’UE, con un approccio comunicativo chiaro e frontale. Il suo post “Time to go”, pubblicato il 9 luglio e rivolto direttamente a Ursula von der Leyen, ha raggiunto 103.053 like, divenendo uno dei contenuti più condivisi dell’intero mese. In esso, il premier ungherese elenca i “fallimenti” dell’Unione Europea, spaziando dalla migrazione incontrollata alla guerra in Ucraina, che definisce “meat grinder”.
Ulteriori post come “Brussels is driving Europe towards ruin” (17.477 like) o “Hungary belongs to the Hungarians” (16.915 like) rafforzano una narrazione nazionalista, fondata sulla difesa dei confini, dei valori tradizionali e sull’opposizione all’élite burocratica europea. La polarizzazione del sentiment è netta: 80% positivo da parte di community sovraniste, con repost che superano quota 15.000, ma forti critiche da ambienti pro-UE, che accusano Orbán di populismo distruttivo e isolamento strategico.
Sánchez, Tusk e Zelenskyy: l’asse della moderazione tra solidarietà sociale e politica estera
Tra i leader europei, Pedro Sánchez utilizza X per riaffermare il suo profilo di premier progressista, con contenuti incentrati su diritti civili, giustizia sociale e alleanze internazionali. Il suo endorsement al riconoscimento palestinese – “Celebro que Francia se sume”, pubblicato il 24 luglio – ha raccolto 19.619 like, mentre il tweet “El racismo es incompatible con la convivencia” del 14 luglio ha raggiunto 19.507 like, denunciando gli episodi di violenza a sfondo razziale a Torre-Pacheco. Anche il post sull’immigrazione (18.831 like) e quello di autoaffermazione politica – “No voy a tirar la toalla” (17.501 like) – evidenziano un engagement elevato e una base elettorale fedele, nonostante le critiche della destra che lo accusano di “ipocrisia istituzionale”.
Donald Tusk, invece, si distingue per una comunicazione neutrale e istituzionale, con il tweet “Smacznego! ????” del 12 luglio (20.726 like) che celebra vittorie sportive polacche, contribuendo a mantenere un profilo non conflittuale, e ricevendo interazioni principalmente positive. Volodymyr Zelenskyy, infine, continua a usare X per mantenere l’attenzione internazionale sulla guerra in Ucraina: il 16 luglio denuncia attacchi russi (18.662 like) e il 10 luglio ringrazia Giorgia Meloni per il supporto militare (17.198 like). In entrambi i casi, il sentiment è positivo al 70%, anche se non mancano commenti stanchi e critici che parlano di “guerra infinita”.
Top Influencer

Il panorama della viralità su X nel luglio 2025 evidenzia una netta egemonia sovranista e conservatrice, con profili ideologicamente allineati a narrative anti-UE, pro-Trump e identitarie capaci di generare engagement record, anche a livello transnazionale. Il post più virale del mese è di Fran Casaretto, con 213.289 like su un commento che celebra Giorgia Meloni per le misure contro imam radicali. Questo tweet – affiancato da Sarah For Trump con 98.259 like sul medesimo tema – mostra come la sicurezza e l’islamizzazione percepita siano diventati assi portanti del consenso digitale tra le community conservatrici internazionali. La figura di Meloni diventa così un simbolo globale della “resistenza nazionale”, generando oltre 20.000 repost cumulativi e posizionandosi come leva di soft power culturale nell’arena sovranista.
Macron tra fuoco incrociato e polarizzazione multilingue
Nonostante sia l’unico leader europeo istituzionale ad apparire tra i più virali, Emmanuel Macron incarna perfettamente il ruolo di bersaglio geopolitico. Il suo annuncio sul riconoscimento della Palestina – con 108.720 like in inglese, 69.060 in francese e 18.806 in arabo – ha scatenato una valanga di risposte critiche (oltre 16.000 replies), accusandolo di “tradimento” verso Israele. Il backlash è stato amplificato da Marco Rubio (112.461 like) e Geert Wilders (105.323 like), con commenti provocatori come “portiamo la Palestina in Francia”, sottolineando una retorica identitaria sempre più aggressiva. L’intervento di Legitimate Targets (98.752 like) accusa Macron di “imperialismo francese” in Africa, mentre Orbán Viktor con “Time to go” contro von der Leyen (103.053 like) rafforza l’asse delle critiche verso le istituzioni UE.
L’interconnessione transatlantica: Trump come epicentro della viralità politica
Sul versante statunitense, emerge un’intensa attività virale legata al brand Trump. Chris Rose (124.206 like), johnny maga (92.263) e Rep. Marjorie Taylor Greene (96.538) catalizzano l’attenzione con post che oppongono Trump a Keir Starmer, spesso definito “burattino woke” o “amico di Sadiq Khan”. Post che, seppur centrati sulla politica britannica, si proiettano sullo scenario europeo grazie a personaggi come Rupert Lowe MP (82.280 like) e Tommy Robinson (71.731 like), che legano migrazione, libertà di espressione e censura all’agenda sovranista condivisa. L’Online Safety Act diventa un catalizzatore narrativo: Rod D. Martin (80.918 like), Nicholas Lissack (77.142) e Lee Harris (74.962) lo interpretano come un attacco alla libertà digitale, ponendo l’America First come modello alternativo all’UE.
La viralità oltre l’anglosfera: iberici, francofoni e coreani nel circuito polarizzato
Non mancano profili non anglofoni a generare engagement elevato: El Trumpista, con 73.470 like in spagnolo, riesce a connettere il mondo latinoamericano al discorso trumpiano, mentre Pop Base, tipicamente orientato alla pop culture, sorprende con 88.709 like su un tweet politico su UK-Palestina e 30.210 like su BTS e Palestina, segnando crossover tra fandom e attivismo. Il caso di Pop Base è emblematico di come il dibattito geopolitico filtri anche nei circuiti della cultura pop, creando zone grigie tra informazione, entertainment e polarizzazione.
Una viralità emotiva, fortemente negativa e altamente performativa
Sebbene l’engagement medio dei profili più virali superi i 90.000 like per tweet, il sentiment implicito si conferma negativo nel 70% dei casi, secondo i tool di analisi precedenti. Questa tendenza evidenzia un X dove la viralità è alimentata dalla polarizzazione, e i contenuti critici o provocatori prevalgono sugli informativi. La narrazione dominante è anti-establishment, anti-UE e pro-sovranità nazionale, con Trump, Meloni, Wilders e Orbán come archetipi della resistenza al “sistema Bruxelles”. Il rischio per l’Unione Europea è che tale viralità, se non contrastata con comunicazione strategica e linguaggi inclusivi, alimenti disaffezione sistemica e sfiducia diffusa nelle istituzioni democratiche.
Gli argomenti del mese
L’analisi degli hashtag “unusual” – termini rari, refusi o neologismi ricorrenti tra i trend topic su X – rivela un termometro sociale alternativo ma estremamente eloquente del disagio europeo. Con oltre 10.000 occorrenze cumulate nei primi 200 hashtag atipici, il quadro che emerge è quello di un’Europa digitale attraversata da diffidenza, ironia corrosiva e recriminazioni ideologiche, con epicentri semantici che toccano la Germania, l’Italia, la Polonia e le faglie mediorientali.

I due termini più ricorrenti sono “spahrucktritt” (1.017) – probabile fusione ironica tra “Spahn” e “Rücktritt”, ovvero la richiesta di dimissioni di Jens Spahn, ex ministro tedesco della Salute – e “brosiusgersdorf” (740), un nome che sembra rimandare a figure minori coinvolte in scandali giudiziari o politici locali, probabilmente emersi in contesti specifici regionali. La frequenza elevata di questi hashtag suggerisce una riattivazione del sentiment anti-establishment tedesco, collegato a temi di corruzione sanitaria e accountability istituzionale, forse alimentato da un revival mediatico del cosiddetto “Pfizergate”.
“Meloni”, “ursula” e “dazi”: le coordinate italiane e transatlantiche del dissenso
Tra gli hashtag legati al contesto italiano, spiccano “meloni” (730) e “ursula” (68), connessi a una costellazione di critiche trasversali: nel caso di Giorgia Meloni, le menzioni si collegano a post virali di profili conservatori che la esaltano per la gestione della sicurezza e dell’immigrazione, mentre Ursula von der Leyen viene associata ad accuse di “sottomissione commerciale” agli Stati Uniti, soprattutto in merito all’accordo USA-UE recentemente siglato. In questo contesto, l’hashtag “dazi” (153) registra picchi rilevanti, specie in ambienti economico-sovranisti, che criticano la strategia commerciale europea come svantaggiosa e anti-industriale. Il sentiment analizzato mostra un prevalere netto del negativo (oltre il 70%), con richiami a “svendita”, “tradimento” e “globalismo forzato”.
Gaza, Palestina e Israele: la geopolitica entra nei flussi virali
I temi geopolitici mediorientali si affacciano prepotentemente tra gli hashtag unusual con “gaza” (152), “hamas” (256), “palestine” (29) e “israel” (27). Questi tag seguono l’onda lunga del riconoscimento della Palestina da parte di Macron, e sono fortemente polarizzati: l’analisi del sentiment suggerisce un 75% negativo, focalizzato su accuse di ipocrisia, doppi standard e compromissione della sicurezza israeliana. L’eco di questi temi risulta multilingue e interconnessa, con elementi arabi, turchi e persiani che si intrecciano in un flusso di critica incrociata alle politiche europee.
Polonia, sanità e revanscismo: le parole chiave del malessere socio-culturale
Altri hashtag come “preleczycwszystkiego” (262) – polacco per “curare tutto” – e “sommerminerview” (191) – riferimento a interviste politiche estive – introducono una dimensione satirica o disillusa sui temi sanitari e della comunicazione politica, con particolare riferimento alla Polonia e alla Germania. Termini come “handelala” (168) (probabile abbreviazione o storpiatura di “Handel à la…”) e “revanchistische” (73) riattivano un immaginario storico-politico da guerra commerciale o culturale, rievocando fratture post-Trump e tensioni interne all’UE sulla gestione dei rapporti transatlantici.
Minoranze linguistiche e codici politici: dalla Catalogna a Budapest
La presenza di lingue “periferiche” completa il quadro: “independencia” (18) in catalano, “magyarorszag” (340) in ungherese, e menzioni implicite a Orbán e nazionalismo etnico emergono come frammenti virali che riflettono le identità regionali in tensione. Anche se numericamente inferiori, questi termini mostrano densità semantica elevata: sono spesso correlati a contenuti identitari, proteste civiche e rivendicazioni di autonomia politica, alimentando una microviralità geolocalizzata, ma non meno significativa per la mappa delle fratture europee.
Analisi del sentiment
Giorgia Meloni e Emmanuel Macron si sono imposti come i leader europei più discussi – e più contestati – su X, raccogliendo un sentiment complessivamente negativo superiore al 68%. Meloni, con 141.732 tweet totali, registra 93.812 interazioni negative (70%), dovute in particolare alle accuse di “tradimento” per l’asse con Ursula von der Leyen, visto da molti utenti sovranisti come una resa ai poteri forti di Bruxelles. Nonostante ciò, mantiene una quota significativa di sostenitori conservatori (25%), che la premiano per fermezza sul fronte migratorio e contro l’estremismo islamico.

Macron, da parte sua, registra 88.928 tweet negativi su 134.728 totali (68%), in gran parte legati al riconoscimento ufficiale della Palestina, che ha generato reazioni globali, con oltre 108.000 like sul post principale ma decine di migliaia di reply accusatorie. I tweet positivi (34.994) si concentrano su parole chiave come “pace”, “diplomazia”, “ceasefire”, ma vengono oscurati da commenti su presunti “suicidi politici” e “tradimenti culturali”, soprattutto da parte di utenti filo-israeliani e ultraconservatori europei. Il backlash internazionale lo ha reso simbolo di una Francia spaccata tra diplomazia multilaterale e orgoglio nazionale ferito.
Il caso Merz e la frattura tedesca: tra opposizione costruttiva e crisi sistemica
Il leader della CDU Friedrich Merz, pur non essendo premier, si colloca ai vertici del coinvolgimento social con 137.912 tweet, segnando un sentiment negativo del 65% (87.891). Il dato è interessante perché, a differenza di altri, Merz attira anche un forte consenso (40.341 positivi), verosimilmente da elettori moderati e critici dell’attuale governo Scholz, che lo vedono come alternativa stabile. I temi principali che emergono attorno al suo nome sono energia, sicurezza interna e contrasto all’immigrazione irregolare, in un contesto tedesco segnato da disillusione verso i partiti di governo e la gestione economica post-pandemia.
Tusk e Sánchez: backlash per instabilità e accuse di ipocrisia
Donald Tusk, primo ministro polacco, subisce la pressione digitale più intensa, con 185.197 tweet complessivi e ben 128.172 negativi (69%), cifra che lo posiziona in vetta al dissenso assoluto per volume. Le accuse principali riguardano la presunta instabilità politica post-elezioni, le difficoltà di coesione nazionale e la gestione della giustizia. Sebbene mantenga una base laburista consolidata, il dato positivo (non incluso nei dettagli) risulta molto inferiore rispetto alle critiche ricevute.
Anche Pedro Sánchez, con 107.931 tweet, mostra un profilo fortemente polarizzato: 83.711 negativi (78%) emergono in risposta a tweet su razzismo e migrazione, specialmente in seguito agli incidenti di Torre-Pacheco. Il positivo (20.357) proviene da ambienti progressisti, in particolare per l’appoggio al riconoscimento palestinese. Tuttavia, il dibattito è dominato da accuse di “ipocrisia morale” e strumentalizzazione politica dei diritti umani, con frequenti confronti tra dichiarazioni e politiche concrete.
Starmer e la critica transatlantica: incontri ambigui, consensi fragili
Nel Regno Unito, Keir Starmer è il volto di una sinistra in bilico, criticata sia da destra che da sinistra per la sua postura nei confronti di Donald Trump e la gestione migratoria. I 79.211 tweet complessivi vedono 55.485 negativi (70%), con 19.901 positivi provenienti soprattutto dalla base laburista. L’incontro con Trump è stato vissuto da molti come segno di debolezza o ambiguità strategica, mentre la questione migratoria ha riacceso vecchie tensioni sulla “labour identity” in un Regno ancora polarizzato dopo la Brexit.
Orbán e Zelenskyy: bassi volumi, alta intensità simbolica
Figure come Viktor Orbán e Volodymyr Zelenskyy, sebbene generino un volume di tweet più contenuto, si distinguono per un’alta intensità semantica. Orbán, con 2.538 tweet, registra 1.802 negativi (71%), ma anche 678 positivi, frutto di forte sostegno da parte di utenti sovranisti che lo vedono come baluardo contro l’UE “decadente”. Le sue dichiarazioni anti-Bruxelles, come “Time to go” rivolto a von der Leyen, hanno avuto ampia risonanza internazionale, inserendosi in una narrativa identitaria transnazionale.
Zelenskyy, da parte sua, raccoglie 14.039 tweet, con 10.183 negativi (72%) e 3.416 positivi. L’usura dell’“effetto simpatia” iniziale è evidente: se da un lato continua a ricevere sostegno istituzionale, come quello da parte di Meloni (ringraziato in un tweet con 17.198 like), dall’altro aumentano i commenti che definiscono la guerra “infinita” o “inutile”, soprattutto da utenti stanchi o scettici sul sostegno continuo a Kiev.
Un continente digitale segnato dalla sfiducia sistemica e dalla trazione sovranista
Con un sentiment negativo che triplica quello positivo e una media di oltre 100.000 tweet per leader, il report di luglio 2025 evidenzia una polarizzazione profonda e sistemica: le istituzioni europee e i governi nazionali sono percepiti, in larga parte, come inefficaci, compromessi o incoerenti. La crescita dei consensi per figure sovraniste, da Orbán a Meloni, avviene nonostante (e talvolta grazie a) l’attacco costante subito nei commenti, mentre i leader pro-UE o progressisti faticano a contrastare la narrativa del declino e della subordinazione geopolitica.
Il sentiment registrato su X non solo fotografa un momento critico, ma anticipa rischi politici reali per i prossimi mesi, in cui il linguaggio social – più che quello diplomatico – potrebbe determinare l’esito di politiche interne ed estere. Il divario di credibilità digitale tra istituzioni e community appare oggi la sfida principale per l’Europa democratica.