Eurispes e il disagio digitale in Italia: solitudine, sfiducia e resistenza all’intelligenza artificiale

di Redazione
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Il rapporto Eurispes 2025 rivela un’Italia profondamente spaccata nel suo rapporto con la tecnologia. Dietro il paravento dell’innovazione, emergono segnali allarmanti di diffidenza digitale, solitudine connessa e resistenze strutturali verso le piattaforme e l’intelligenza artificiale. Uno scenario che mette in discussione le politiche di transizione digitale, aprendo una riflessione più ampia sul senso di appartenenza al mondo connesso.

La digitalizzazione come trauma sociale

Solo il 35,9% degli italiani si dice “a proprio agio” con il digitale. Una percentuale bassissima, che indica come la transizione tecnologica sia percepita più come un’imposizione che come un progresso. Aumenta infatti la quota di chi si sente escluso o respinto: il 41,4% degli italiani vive un disagio tangibile nella relazione con le tecnologie digitali. Tra questi, il 24,3% si dichiara “non del tutto a proprio agio” e il 17,1% afferma di sentirsi esplicitamente a disagio, dati che vanno ben oltre il semplice divario generazionale. Il digitale diventa una nuova forma di disuguaglianza sociale e cognitiva, dove l’inadeguatezza non è solo tecnica, ma soprattutto culturale.

L’intelligenza artificiale non convince

Il 66,9% degli italiani afferma di non avere fiducia nell’intelligenza artificiale, mentre solo il 33,1% dichiara il contrario. Il dato, già preoccupante, peggiora se si osservano le risposte rispetto a specifici utilizzi: il 58,4% è contrario all’uso dell’IA in ambito sanitario, e oltre il 60% si oppone al suo impiego nella scuola e nella formazione. La paura è quella di una disumanizzazione dei servizi, ma anche di una perdita di controllo: il cittadino italiano appare ancorato a una visione antropocentrica del sapere, in cui la macchina non può e non deve sostituire il giudizio umano. L’algoritmo, percepito come opaco e inaccessibile, alimenta sfiducia e timori.

Un’informazione digitale percepita come inaffidabile

L’ecosistema informativo online è uno dei nodi critici del rapporto con il digitale. Il 70% degli italiani ritiene che le informazioni reperite online siano poco affidabili o inaffidabili, a fronte di un 27,6% che le ritiene “abbastanza” affidabili. Solo l’1,7% le definisce del tutto affidabili.

Il problema non è solo nella qualità delle notizie, ma nell’intero sistema di mediazione: algoritmi, contenuti sponsorizzati, clickbait, filtri di piattaforma. L’informazione digitale non viene vista come uno spazio di emancipazione, ma come un territorio instabile e manipolabile, dove la verità sfugge e l’utente si sente inerme.

Solitudine digitale: il paradosso della connessione

Uno dei dati più inquietanti riguarda la solitudine relazionale. Il 42,2% degli italiani afferma di non avere alcun contatto con amici o familiari online. Il digitale, invece di connettere, rafforza l’isolamento. Per chi è ai margini o non possiede adeguate competenze, le piattaforme diventano spazi di esclusione, non di integrazione.

Solo il 16,6% degli italiani si sente “molto connesso” alla propria rete di relazioni attraverso i canali digitali, mentre il 28,9% dichiara una connessione “abbastanza” forte. I restanti oltre il 50% vive un rapporto distaccato o assente con gli strumenti relazionali online.

Identità digitale fragile e diffidenza verso le piattaforme

Il 34,2% degli italiani dichiara di non fidarsi dei social media, mentre il 27,9% nutre dubbi anche verso sistemi di messaggistica come WhatsApp o Telegram. I dati sulla fiducia sono inversamente proporzionali all’età e al livello di istruzione, ma mostrano comunque una tendenza generalizzata: le piattaforme non sono percepite come spazi sicuri. L’identità digitale degli italiani appare così frammentata e vulnerabile, spesso vissuta come un’estensione impersonale e poco controllabile di sé. L’impossibilità di gestire con consapevolezza la propria presenza online alimenta ulteriore diffidenza.

Una cittadinanza digitale incompiuta

Il 41% degli intervistati non conosce l’esistenza dell’identità digitale (SPID o CIE). Tra chi la conosce, quasi uno su tre (32,3%) non l’ha mai utilizzata. Lo strumento simbolo della cittadinanza digitale in Italia viene così vissuto come un oggetto burocratico ostile, anziché come un diritto di accesso. La digitalizzazione dei servizi pubblici, invece di ridurre la distanza tra cittadino e Stato, la amplifica per chi è più fragile. La cittadinanza digitale si realizza solo per chi è già alfabetizzato, lasciando indietro interi segmenti della popolazione.

Il paradosso della privacy: informati ma rassegnati

Il 63,4% degli italiani dichiara di conoscere i propri diritti digitali in termini di privacy e dati personali, ma solo il 24,1% si sente realmente in grado di esercitarli. Esiste una consapevolezza teorica, che però non si traduce in potere reale. Il 58,6% degli intervistati ritiene che sia quasi impossibile controllare i propri dati online. L’utente medio si sente profilato, tracciato, schedato, ma impotente. Il rapporto con la privacy diventa così un misto di rassegnazione e disillusione, che mina la fiducia nel digitale nel suo complesso.

Il lavoro digitale e la nuova percezione del tempo

Solo il 29,7% degli italiani ritiene che il lavoro agile o digitale migliori la qualità della vita. Il 45,2% pensa che non faccia differenza, mentre il 25,1% lo considera addirittura dannoso. L’iper-connessione professionale genera un nuovo tipo di ansia da prestazione: essere sempre raggiungibili, monitorati, valutabili. Il digitale colonizza il tempo personale, sfumando i confini tra lavoro e vita privata, con effetti tangibili sul benessere psicologico.

I giovani come indicatori di rottura culturale

Contrariamente agli stereotipi, i giovani non mostrano fiducia incondizionata verso il digitale. Sebbene più competenti e integrati, manifestano ansia da esposizione, paura di giudizio, e un senso crescente di alienazione algoritmica. Tra i 18-24enni, quasi il 30% dichiara di aver abbandonato almeno un social network per motivi di stress o disagio. L’uso consapevole del digitale emerge come risposta a una saturazione emotiva e informativa che diventa insostenibile.

Un Paese diviso, una transizione senza inclusione

Il rapporto Eurispes disegna il profilo di un’Italia divisa, disillusa, disallineata. La narrazione mainstream sulla digitalizzazione come opportunità universale non regge all’urto dei dati reali. L’infrastruttura c’è, ma la fiducia sociale nel digitale è fragile. La sfida non è solo tecnica, ma profondamente politica e culturale: includere chi si sente tagliato fuori, riformulare le modalità di accesso, restituire agency alle persone. Senza questo passaggio, il digitale rischia di diventare la nuova linea di frattura della società italiana.

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