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Gogna digitale la preside da “mangiatrice di alunni” a vittima della vergogna social

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La storia italiana ha ciclicamente dei casi mediatici che esplodono per poi crollare come un castello di carta. La notizia parte da un prestigioso quotidiano che raccoglie le testimonianze di un alunno maggiorenne, pubblicandone le chat Whatsapp tra le parti coinvolte, che denuncia una situazione in cui è vittima di stalking da parte della preside con cui ha avuto una breve relazione.

Non contribuiremo a dare un nome alla vera vittima di questa storia quando, seppur maggiorenne, l’aggressore e perno di questa vicenda è stato tutelato come se fosse un testimone di mafia. Non pubblicheremo nemmeno la foto della protagonista di questa vicenda, non lo merita e non siamo corresponsabili di questo gioco al massacro crossmediatico.

Ecco che nella mente degli italiani maschilisti torna l’immagine dei film di Pierino dove le maestre avevano un aspetto sexy e tentavano gli alunni incarnando il loro primo sogno erotico mentre le donne gridano allo scandalo mettendo in discussione la moralità di una responsabile esperta di una istituzione scolastica.

Una situazione che sin dagli inizi aveva tutti i contorni dall’essere considerata lo scandalo sexy dell’anno, ma secondo gli ispettori del Ministero non esistono i presupposti di un luogo a procedere. In poche parole la vita di una donna 50 enne e la sua immagine professionale sono state distrutte non solo da una testimonianza di un “appena adulto“, ma dal binomio perfetto stampa d’assalto e social network. Mesi di commenti sessisti non solo da parte di uomini, ma soprattutto da parte di donne che si dicevano indignate senza entrare nel merito se fosse vero o falso, se fosse illegale o no.

L’unica cosa che ha contato in questa storia, come sempre, è che si è fatto un giornalismo con finalità di killeraggio mediatico, si è aperta una gogna pubblica per una donna, madre di famiglia e professionista, lasciata marcire per mesi in un tritacarne composto da commenti sessisti e insulti senza appellarsi al diritto di difesa e senza dubitare della colpevolezza.

Uno scandalo tutto italiano che rappresenta non solo lo specchio della cultura del nostro paese, di una parte sempre più consistente del nostro modo di fare giornalismo, della facilità con cui le masse si fanno manipolare e su come, ancora una volta, una donna, professionista e moglie, sia stata il bersaglio di una ingiustificata attività che in passato ha portato altre persone addirittura al suicidio.

Adesso chi pagherà i danni?

Non è che, non essendoci scappato il morto, i veri colpevoli di questa storia la faranno franca?

Di Livio Varriale

Giornalista e scrittore: le sue specializzazioni sono in Politica, Crimine Informatico, Comunicazione Istituzionale, Cultura e Trasformazione digitale. Autore del saggio sul Dark Web e il futuro della società digitale “La prigione dell’umanità” e di “Cultura digitale”. Appassionato di Osint e autore di diverse ricerche pubblicate da testate Nazionali. Attivista contro la pedopornografia online, il suo motto è “Coerenza, Costanza, CoScienza”.

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