Editoriali
La guerra Ucraina affonda Brunetta. L’Europa individua lo smartworking come perno del risparmio energetico
Le situazioni di emergenza a cui l’Italia è sottoposta da tempo hanno sdoganato lo smart working tra le opportunità per imprese ed enti con lo scopo di poter ottimizzare al meglio il settore delle attività produttive e delle Pubbliche Amministrazioni.
Finita la pandemia, nonostante gli ottimi risultati raggiunti dal lavoro agile in molti settori privati, il ministro del Governo italiano deputato al compito, Renato Brunetta, ha iniziato una vera e propria attività di delegittimazione di quella che il fondatore di Virgin, Branson, ha dichiarato tre anni prima come l’unica soluzione di lavoro dei suoi dipendenti per tutti gli aspetti positivi che ne caratterizzano la trasformazione.
Tra gli aspetti positivi c’è soprattutto quello di ridurre il consumo energetico delle aziende che assorbono più dei privati, che continuano comunque a consumare energia anche di giorno se in casa c’è qualcuno presente con gli elettrodomestici accesi.
Un computer acceso in più non fa la differenza rispetto ad un intero ufficio che ha un allaccio elettrico molto più potente rispetto all’abitazione ed assorbe energia maggiore. Tra le proposte dell’Unione Europea, oltre ad uno sguardo attento ai condizionatori, alla riduzione della velocità di marcia in autostrada ed altri suggerimenti, suggerisce il lavoro da casa.
Invita ad utilizzare il trasporto pubblico, a muoversi in bici, ma ad utilizzare meno l’auto e quindi, oltre a promuovere al punto 3 il lavoro da remoto, lo impone implicitamente in quei casi dove i mezzi pubblici sono assenti e le percorrenze per andare a lavoro sono lunghe e richiedono un’automobile privata.
Desta sorpresa un Ministro della Repubblica Italiana che non ha mai considerato l’evenienza di una trasformazione urbana ed ecosostenibile con il fine di consentire alle persone di ripopolare le province distribuendo la ricchezza italiana dove si è persa per concentrarsi nelle affollatissime città metropolitane.
Ancora più dissacrante il fatto che, oltre a preoccuparsi del fatturato dei bar che incidono sotto il parlamento italiano, non ha pensato ai costi risparmiati da cittadini e imprese ed al potenziamento di altre attività commerciali in altre zone meno prestigiose dei palazzi dei bottoni che da anni vive perchè meritevole di appartenere all’elite del Paese.
Sia chiaro, lo smart working ha tanti punti oscuri e non è la soluzione a tutti i problemi del lavoro e della Pubblica Amministrazione, ma che Brunetta abbia promosso una politica incompatibile con la società moderna, non ecosostenibile, seppur sia inserito in un governo molto attento a queste tematiche, non è oltraggioso considerarlo inadeguato come responsabile ministeriale di un esecutivo proiettato verso un futuro più tecnologico e più verde, soprattutto a misura d’uomo.
Da uomo di campagna, Brunetta dovrebbe saperlo.
Editoriali
Ferragni pagliaccio: l’indignazione della rete alla prima dell’Espresso
Tempo di lettura: 2 minuti. La copertina de L’Espresso su Chiara Ferragni vestita da pagliaccio ha scatenato diverse reazioni, ma chi ha letto l’inchiesta?
Chiara Ferragni compare truccata da pagliaccio in prima pagina de L’Espresso che ne descrive la scarsa trasparenza nella gestione societaria e si fa riferimento a scatole cinesi, manager indagati e dipendenti pagati poco.
Tutto legale fino ad oggi, sia chiaro, ma se questo è il modello di Business da studiare ad Harvard, si può ampiamente pensare che negli USA siano arrivati tardi. Ritornando con i piedi per terra e conscendo molte realtà statunitensi, sarebbe da stupidi mettere Chiara Ferragni al primo posto di come si gestisce un’azienda: non è la prima e nemmeno l’ultima.
Matrice Digitale è la testata che ha denunciato per prima l’affaire di Sanremo, che ha giudicato la Ferragni per quello che si è mostrata da Fazio: un’utile manichino senz’anima al servizio delle case di moda.
Non solo lo scandalo nella gestione della beneficenza, ma la delusione nelle risposte in una trasmissione accondiscendente come quella di Fazio stanno facendo cadere definitivamente l’alone di divinità di colei che ha saputo nascondersi dietro di post su delle pagine social creandosi un’icona immacolata.
Le reazioni alla copertina dell’Espresso
La copertina de L’Espresso è l’ultimo attacco a quel pezzo di credibilità rimasto alla Ferragni: la donna imprenditrice che vince perchè ha racimolato soldi. In pochi hanno letto le notizie diffuse sui media un pò di anni fa che vedevano il brand Ferragni essere messo in vendita sul mercato anche per una esposizione finanziaria dovuta da una situazione debitoria sulla carta di piccolo conto. Se però le cose stanno come dice L’Espresso, la realtà sullo stato di salute delle sue società potrebbe essere diversa.
Riflessioni alle reazioni
Molti hanno reagito alla copertina della Ferragni con stupore ed indignazione, ma fa riflettere in realtà il fatto che nessuno abbia letto l’articolo e soprattutto tutti, dinanzi ad una persona che si presenta in un modo e dimostra di essere diverso da come viene descritto, lo apostroferebbero come un pagliaccio.
E fa male essere presi per i fondelli da un pagliaccio … questo nessuno ha il coraggio di ammetterlo.
Editoriali
Solo ora si accorgono del problema televoto e giornalismo musicale
Leggo molte critiche al “cartello di giornalisti” che ha boicottato la vittoria di Geolier a Sanremo. Sono davvero convinto che sia andata così, ma sono certo della tanta “colleganza” che oggi predica bene, ma ha sempre razzolato male per quel che concerne il discorso di “cartello”.
E non riguarda solo la musica, ma anche il calcio, la politica … quindi di cosa parliamo?
Qualche settimana fa fui molto chiaro: chi tratta moda, spettacolo, musica e gossip non si può considerare giornalista.
Chi lo fa dal punto di vista della critica diversamente lo è e vi assicuro che assistiamo a tanti giornalisti sportivi, che hanno visto milioni di partite, e non capiscono di calcio. Vediamo chi dei nostri farà un esposto all’Ordine per quel collega che ha commentato di non far votare la Campania.
Altra cosa: il 90% dei giornalisti che la criticano, non avrebbe avuto il coraggio di fare quell’indegna domanda, ma fondata, a Geolier sul risultato ottenuto “più per i suoi ospiti che per la sua performance”.
Così come hanno fatto più danni dei ladri di polli sanremesi quelli che hanno applaudito Presidenti del Consiglio e Ministri della Sanità nefasti.
Editoriali
Geolier a Sanremo rutta in napoletano. Perchè è un problema per i nativi digitali
Parliamoci chiaramente, questo qui, Geolier, è diventato famoso per una canzone che descrive il livello di tamarraggine napoletana che si manifesta “rint a n’audi nera opaca” dove magari ci si sballa pure.
Nello stesso brano cita tutte marche di lusso … che rappresentano quello stile di vita a cui ambiscono le baby gang che ieri hanno occupato la prima del tg5 nonostante a Napoli siamo in un periodo d’oro rispetto al resto del paese.
Amadeus quest’anno farà come la De Filippi, punta sul lato più becero della napoletanità fatto di lusso a debito che poi si sposa con il mondo degli influencer e della moda. Conferma anche di sapersi nascondere bene dietro l’equazione “è seguito, quindi può anche essere pericoloso e di scarsa qualità, ma è forte“
Che poi è il modello che i genitori evitano di caldeggiare per i propri figli, ma puntualmente vengono smentiti da social e tv. E la risposta è “il ragazzo fa numeri”.
Tra l’altro, il monologo in napoletano dell’anno scorso al festival ha anticipato la sua presenza ed era davvero pessimo, tanto da farmi prendere le distanze da un mio compaesano.
Questa non è Napoli e soprattutto non è l’evoluzione della napoletanità da tramandare alle nuove generazioni.
Perchè qui non si discute Geolier l’artista, che merita di fare il suo percorso e di vincere Sanremo, ma di Geolier che parla a nome dei napoletani. Ognuno si sceglie gli ambasciatori che merita, di certo non è una casa di moda o un affarista come Amadeus che decidono chi debba rappresentare un’intera città.
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