Editoriali
Meta promosso dal suo organo indipendente: spazzatura pagata da Zuckerberg
Tempo di lettura: 3 minuti. L’ANSA riporta una notizia che descrive una attività indipendente che in realtà non lo è. Esperti dei diritti umani che fanno finta di non vedere la censura di un social oramai distante dalla libertà di stampa.
Facebook vuole far credere al mondo che è cambiato, ma la realtà non è quella espressa dal comunicato ANSA diffuso dalla società in seguito riportato in corsivo con note a commento.
Il fantomatico Oversight Board
Ad oltre due anni dal lancio, l’Oversight Board, organo che monitora il funzionamento delle piattaforme social di Meta, afferma che Facebook e le altre app del gruppo stanno migliorando dal punto di vista delle regole e del controllo della privacy per gli utenti.
Si tratta di un percorso lungo, e ancora non giunto a completamento, ma la strada intrapresa è quella giusta verso una maggiore trasparenza nell’utilizzo delle app e di come queste possono recepire, utilizzare e sfruttare i dati degli iscritti.
Che si sappia, a nessuno è capitato di avere a che fare con questa entità. Nel periodo della pandemia molti appelli degli utenti trovavano una risposta della piattaforma “che c’era poco personale” e che se proprio si voleva ottenere una risposta, bisognava provare con l’Oversight board. Nessuno di conosciuto ha mai avuto risposta dal comitato.
I limiti di Meta sono la sua forza?
L’Oversight Board è composto da quasi due dozzine di esperti in diritti umani e libertà di parola, e ha pubblicato il suo rapporto annuale che copre il lavoro e le interazioni con Meta nell’ultimo anno. Se il consiglio aveva criticato molto il colosso digitale per non aver cambiato le sue politiche nel 2021, l’ultimo documento evidenzia l’impatto che le raccomandazioni hanno avuto sull’azienda. “Nel 2022, è stato incoraggiante vedere che, per la prima volta, Meta ha apportato modifiche sistemiche alle sue regole e al modo in cui vengono applicate, comprese le notifiche e le limitazioni per i post delle organizzazioni pericolose” si legge in una nota. Il rapporto evidenzia anche le aree in cui si ritiene che Meta possa migliorare. Ad esempio nei tempi di risposta alle sue richieste, che vanno ben oltre i 90 giorni stabiliti dalle regole.
Nonostante si parli di promozione, l’Oversight Board è contento della censura di Facebook alle organizzazioni pericolose nonostante in italia si sia registrato il caso di Simone di Stefano che in campagna elettorale è stato descritto pericoloso dalla piattaforma e poi ha vinto una causa per poter svolgere regolare campagna elettorale sui social.
Oppure il comitato dei diritti umani ha forse dimenticato una multa appena comminata a Facebook dal Garante Privacy europeo?
E la causa persa da Meta in Senegal contro i lavoratori della moderazione dei contenuti sottopagati per vedere video di pedofilia e squartamenti vari senza nemmeno un adeguato supporto psicologico?
E cosa pensa l’oversight board del sistema di censura algoritmica che utilizza facebook e delle indiscrezioni trapelate dai Twitter Files dove Meta è prono a richieste governative di censura dei giornalisti e finanzia reti di fact checkers di una precisa parte politica?
Meta dovrebbe migliorare i tempi di risposta secondo il comitato ed è per questo motivo che Facebook chiederà soldi agli utenti per fornire garanzia nella risposta alle proprie istanze personali.
L’unica osservazione sincera del comitato spazzatura pagato da Zuckerberg
Vi è poi la mancanza di una traduzione delle linee guida, per i moderatori interni, nelle loro lingue natie. Secondo Meta, tutti i collaboratori parlano correttamente l’inglese, quindi non vi è bisogno di tradurre i testi in vari idiomi. Non la pensa così l’Oversight Board, che afferma come il basarsi solo su una singola lingua “possa far perdere ai revisori il contesto e le sfumature tra lingue e dialetti differenti” il che può causare errori nell’interpretazione e nell’applicazione delle norme
Molti dei ban o dei blocchi derivano proprio dall’errata traduzione degli operatori, ma in primis dell’intelligenza artificiale che poi rimanda allo scarso servizio di assistenza che si dovrà pagare in futuro se lo si vorrà efficiente.
Conclusioni
Basta poco a smontare il fantastico mondo degli unicorni descritta da una società che quotidianamente abusa della libertà di espressione, della libertà di stampa e gode di privilegi sociali sperando di accecare le menti dietro 24 persone che magari si sono svendute per un incarico di “prestigio”.
Editoriali
Ferragni pagliaccio: l’indignazione della rete alla prima dell’Espresso
Tempo di lettura: 2 minuti. La copertina de L’Espresso su Chiara Ferragni vestita da pagliaccio ha scatenato diverse reazioni, ma chi ha letto l’inchiesta?
Chiara Ferragni compare truccata da pagliaccio in prima pagina de L’Espresso che ne descrive la scarsa trasparenza nella gestione societaria e si fa riferimento a scatole cinesi, manager indagati e dipendenti pagati poco.
Tutto legale fino ad oggi, sia chiaro, ma se questo è il modello di Business da studiare ad Harvard, si può ampiamente pensare che negli USA siano arrivati tardi. Ritornando con i piedi per terra e conscendo molte realtà statunitensi, sarebbe da stupidi mettere Chiara Ferragni al primo posto di come si gestisce un’azienda: non è la prima e nemmeno l’ultima.
Matrice Digitale è la testata che ha denunciato per prima l’affaire di Sanremo, che ha giudicato la Ferragni per quello che si è mostrata da Fazio: un’utile manichino senz’anima al servizio delle case di moda.
Non solo lo scandalo nella gestione della beneficenza, ma la delusione nelle risposte in una trasmissione accondiscendente come quella di Fazio stanno facendo cadere definitivamente l’alone di divinità di colei che ha saputo nascondersi dietro di post su delle pagine social creandosi un’icona immacolata.
Le reazioni alla copertina dell’Espresso
La copertina de L’Espresso è l’ultimo attacco a quel pezzo di credibilità rimasto alla Ferragni: la donna imprenditrice che vince perchè ha racimolato soldi. In pochi hanno letto le notizie diffuse sui media un pò di anni fa che vedevano il brand Ferragni essere messo in vendita sul mercato anche per una esposizione finanziaria dovuta da una situazione debitoria sulla carta di piccolo conto. Se però le cose stanno come dice L’Espresso, la realtà sullo stato di salute delle sue società potrebbe essere diversa.
Riflessioni alle reazioni
Molti hanno reagito alla copertina della Ferragni con stupore ed indignazione, ma fa riflettere in realtà il fatto che nessuno abbia letto l’articolo e soprattutto tutti, dinanzi ad una persona che si presenta in un modo e dimostra di essere diverso da come viene descritto, lo apostroferebbero come un pagliaccio.
E fa male essere presi per i fondelli da un pagliaccio … questo nessuno ha il coraggio di ammetterlo.
Editoriali
Solo ora si accorgono del problema televoto e giornalismo musicale
Leggo molte critiche al “cartello di giornalisti” che ha boicottato la vittoria di Geolier a Sanremo. Sono davvero convinto che sia andata così, ma sono certo della tanta “colleganza” che oggi predica bene, ma ha sempre razzolato male per quel che concerne il discorso di “cartello”.
E non riguarda solo la musica, ma anche il calcio, la politica … quindi di cosa parliamo?
Qualche settimana fa fui molto chiaro: chi tratta moda, spettacolo, musica e gossip non si può considerare giornalista.
Chi lo fa dal punto di vista della critica diversamente lo è e vi assicuro che assistiamo a tanti giornalisti sportivi, che hanno visto milioni di partite, e non capiscono di calcio. Vediamo chi dei nostri farà un esposto all’Ordine per quel collega che ha commentato di non far votare la Campania.
Altra cosa: il 90% dei giornalisti che la criticano, non avrebbe avuto il coraggio di fare quell’indegna domanda, ma fondata, a Geolier sul risultato ottenuto “più per i suoi ospiti che per la sua performance”.
Così come hanno fatto più danni dei ladri di polli sanremesi quelli che hanno applaudito Presidenti del Consiglio e Ministri della Sanità nefasti.
Editoriali
Geolier a Sanremo rutta in napoletano. Perchè è un problema per i nativi digitali
Parliamoci chiaramente, questo qui, Geolier, è diventato famoso per una canzone che descrive il livello di tamarraggine napoletana che si manifesta “rint a n’audi nera opaca” dove magari ci si sballa pure.
Nello stesso brano cita tutte marche di lusso … che rappresentano quello stile di vita a cui ambiscono le baby gang che ieri hanno occupato la prima del tg5 nonostante a Napoli siamo in un periodo d’oro rispetto al resto del paese.
Amadeus quest’anno farà come la De Filippi, punta sul lato più becero della napoletanità fatto di lusso a debito che poi si sposa con il mondo degli influencer e della moda. Conferma anche di sapersi nascondere bene dietro l’equazione “è seguito, quindi può anche essere pericoloso e di scarsa qualità, ma è forte“
Che poi è il modello che i genitori evitano di caldeggiare per i propri figli, ma puntualmente vengono smentiti da social e tv. E la risposta è “il ragazzo fa numeri”.
Tra l’altro, il monologo in napoletano dell’anno scorso al festival ha anticipato la sua presenza ed era davvero pessimo, tanto da farmi prendere le distanze da un mio compaesano.
Questa non è Napoli e soprattutto non è l’evoluzione della napoletanità da tramandare alle nuove generazioni.
Perchè qui non si discute Geolier l’artista, che merita di fare il suo percorso e di vincere Sanremo, ma di Geolier che parla a nome dei napoletani. Ognuno si sceglie gli ambasciatori che merita, di certo non è una casa di moda o un affarista come Amadeus che decidono chi debba rappresentare un’intera città.
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