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Russia contro Ucraina non è una partita di calcio, ma un conflitto bellico

Tempo di lettura: 2 minuti. Russi “sparano storti ed hanno ucciso poche persone” l’articolo del NY Times pone la guerra su un piano cinico e forse lucido

Tempo di lettura: 2 minuti.

Parliamoci chiaramente, dobbiamo finirla una volta per tutte sulla questione del conflitto Russo Ucraino. No, non dobbiamo disinteressarci di donne, bambini innocenti sotto le bombe, ma dobbiamo preoccuparcene seriamente lasciando i menestrelli della guerra da soli ad indignarsi ed a festeggiare la cronaca delle bombe e della guerra.

Dopo giorni che sul Twitter italiano si è festeggiata l’operazione militare ucraina in Crimea, la violentissima risposta russa secondo le prime ricostruzioni dei noti influencer italiani sulla guerra, ha destato grande indignazione sui social anche il giorno successivo in seguito ad una seconda serie di lanci balistici.

La guerra non è una partita di calcio

Purtroppo è così, abbiamo trasformato il conflitto bellico in una partita di calcio, anzi in un campionato dove le stesse squadre si confrontano quotidianamente ed un giorno si è in testa ed in un altro si sta in retrocessione. Da non perdere nemmeno il calciomercato dove c’è l’esigenza di avere nuove armi sempre più potenti e sempre più aggressive e che quando i nuovi innesti vengono sperimentati, il gioco si fa sempre più incandescente ed invece dei goal, si vedono morti e feriti in un campo di gioco sempre più colmo di macerie.

I russi sparano storto

Il New York Times lancia segnali di distensione, ma a qualcuno sembra essere sfuggito più volte il significato di alcune indiscrezioni che ha pubblicato.

Prima l’assassinio di Dugina, poi l’attacco al ponte in Crimea ad opera dell’intelligence Ucraina, e poi un articolo che “contiene” i danni delle 80 bombe sganciate come segnale di ammonimento da parte dei russi rendono l’idea di una strategia distensiva in favore dei russi, come se stiano scaricando le colpe sull’intelligence Ucraina e Zelensky, facendo credere al Cremlino che gli USA sono disponibili a un dialogo.

Sarà vero’? Oppure è una strategia degli USA di scaricare al prestanome Zelensky eventuali responsabilità condivise con l’alleato conservando una verginità dinanzi al suo aggressore?

Quello che non torna è proprio il fatto che un articolo del genere metta acqua su un fuoco oramai esploso nell’opinione pubblica che non coinvolge più il governo russo, ma anche la sua popolazione definita “complice e assassina” da chi sventola l’appartenenza atlantica, anteponendola a quella europea e nazionalista, come conditio sine qua non del proprio stile di vita. Se le poche morti hanno fatto indignare qualcuno, lo stesso qualcuno non si è indignato per le poche morti in Crimea ad una struttura strategica militarmente.

Lo sbaglio è proprio questo, indignarsi a fasi alterne accusando l’altro e chiedendone la distruzione totale. L’inizio per arrivare ad una soluzione sarebbe sicuramente quello di invogliare le parti in causa ad un dialogo, che porrebbe fine temporaneamente ai combattimenti. Non è molto difficile lavorare in questa direzione, ma c’è bisogno della lucidità che abbiamo perso, tutti noi, nel giudicare ed osservare la guerra come una partita di calcio trasformando la cronaca in propaganda: quella che da sempre arma i popoli ed i governi più delle armi stesse.

Perchè nelle guerre è più importante il fanatismo delle armi in possesso degli eserciti.

Di Livio Varriale

Giornalista e scrittore: le sue specializzazioni sono in Politica, Crimine Informatico, Comunicazione Istituzionale, Cultura e Trasformazione digitale. Autore del saggio sul Dark Web e il futuro della società digitale “La prigione dell’umanità” e di “Cultura digitale”. Appassionato di Osint e autore di diverse ricerche pubblicate da testate Nazionali. Attivista contro la pedopornografia online, il suo motto è “Coerenza, Costanza, CoScienza”.

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