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Da Clubhouse a Barhouse: liste di proscrizione ed esposti in Procura. Così è morto il social

Tempo di lettura: 5 minuti.

Clubhouse è il tema centrale dell’universo social? Assolutamente no. Con la pandemia alle spalle, c’è stata una fuga dal social network della voce che ha ridotto vertiginosamente gli utenti che ogni giorno sono impegnati nelle stanze a tema.

L’argomento quotidiano di maggior interesse ad oggi è la guerra, così come in passato sono stati la pandemia, il greenpass ed i vaccini e tutti sempre con una “fisiologica” militarizzazione del dibattito.

Il problema di Clubhouse è da sempre la moderazione delle stanze dove non ci sono professionisti della comunicazione che diano garanzia di parzialità all’applicazione delle regole e del rispetto di tutti i pensieri.

Stanze con argomenti divisivi sono stati in questi mesi spesso oggetto di dibattiti accesi, scaturiti da gruppi di utenti armati di toni ingiuriosi e diffamanti che attraggono nelle stanze maggiore pubblico a causa degli scontri sulla scia dell’effetto “trash” televisivo. Una guerra tra pochi che ha diviso il pubblico in vere e proprie liste di proscrizione grazie anche all’utilizzo sconsiderato dei blocchi della piattaforma.

Il problema della militarizzazione del confronto si è visto agli albori della piattaforma quando la comunità afrodiscendente ha provato ad imporre una terminologia nell’ordine del politicamente corretto o addirittura della cancel culture.

Tutto questo in salsa italiana, mentre, chi ha assistito a room straniere, USA in particolare, ha parlato sempre di toni distesi e rispetto tra le parti. Non è un caso che, nei numeri striminziti che la piattaforma offre, c’è una room statunitense, seppur multiculturale, che è arrivata ad un milione di utenti in 60 giorni di conflitto bellico.

Una tattica, quella del 24 su 24, che è stata sperimentata anche dagli utenti italiani per mettere su una vera e propria corsa ai numeri pur di racimolare massimo un centinaio di utenti in più o per colonizzare lo spazio virtuale condiviso da un massimo di 500 utenti attivi con una casella.

Il confronto sulla pandemia ha seguito di molto la narrazione delle notizie andando a vento secondo il dibattito istituzionale e scientifico assistito sui media e sui social, dove lo scontro è stato fortissimo anche a causa delle informazioni fornite da volenterosi medici che hanno portato spiegazioni scientifiche, dandole come verità assoluta, che con il tempo non hanno portato però ad una materializzazione degli assunti espressi.

Il caso più eclatante è stato il dibattito sull’utilità del Greenpass, smantellato dal Governo in attesa della prossima pandemia, sull’efficacia dei vaccini nel contrasto alle infezioni da Covid, al netto dei casi gravi.

Cambia l’argomento, ma la logica di azione però è sempre la stessa: si crea il dibattito, si accende lo scontro, si impone una linea e poi si spera che, nel caso di mancati riscontri effettivi, si butti tutto nel dimenticatoio per passare ad altri scontri.

Sarebbe anche una logica corretta se, vista la ristrettezza della comunità, non si incrinino i rapporti personali ed è questo che invece ha portato poi alla deflagrazione del pubblico, sparpagliatosi nelle room di “cazzeggio” dove le persone si incontrano per parlare del più e del meno senza approfondire argomenti di attualità ed è questo il motivo del perché vengono vissute in massima serenità. La futilità delle conversazioni e una linea editoriale ben precisa, che non tollera ragionamenti alternativi, rendono l’idea di un social dove le maggiori responsabilità ricadono sulle incapacità e l’inesperienza dei moderatori.

Oppure sull’opportunità da parte dei gestori nello sfruttare un effetto “uomini e donne” per attirare maggiore pubblico?

I “servizi segreti” di Clubhouse

Sembrerebbe un film, ma la trama c’è tutta. Su Clubhouse ci sono rappresentanti del mondo LGBTQ+, del Femminismo e della comunità ebraica che vigilano costantemente sulle parole spese nelle room su tematiche di loro interesse che vengono rese “radioattive” proprio dalle reazioni scaturite dagli argomenti a tema.

Molti utenti hanno notato questa militarizzazione del confronto e soprattutto un metodo di blindare le discussioni utilizzando una etichettatura indiscriminata del pensiero con parole che insinuano addirittura il compimento di reati infamanti come: fascisti, razzisti, maschilisti e addirittura antisemiti.

Si insinua il sospetto che si è sempre sul commettere un reato per far valere le proprie opinioni cercando l’appoggio di un pubblico indignato

Viste le azioni congiunte dei blocchi, alcuni utenti, invece di lasciar perdere e dedicarsi alla propria vita sul social network ignorando chi non è riuscito a condividere un percorso condiviso pacifico e rispettoso, manda altri componenti a spiare e registrare le room.

Una attività di intelligence degna delle migliori trame Governative che sfocia in controroom private dove si discute degli interventi delle persone assenti “abusivamente” registrate.

C’è chi è arrivato addirittura ad avere diversi profili nonostante il social della voce ha come spirito quello dell’uno vale uno e soprattutto l’uno è unico e diverso dagli altri.

Le Procure allertate per 500 utenti attivi

A detta di molti sul social, è stato presentato un esposto in Procura addirittura dalla comunità ebraica, interpellata da utenti disperati a causa della presenza di antisemitismo in alcune stanze di Clubhouse. Un sentimento così strisciante e preoccupante tanto violento da far scappare i membri della minoranza ebraica dal social “per paura“.

L’anomalia, però, sta che nessuno dei membri effettivamente ha lasciato il social, ma non è escluso che possa succedere un caso mediatico su un gruppo che avrà al massimo 500 utenti attivi.

Al netto delle preoccupazioni giuridiche, legittime, quello che è chiaro a molti è che la creazione di gruppi, bolle, che preferiscono la militarizzazione del confronto sta portando ad una limitazione della libertà di espressione in favore di un disequilibrio della pluralità di opinioni, consolidando la propria.

Altri precedenti di scontri, invece, sono stati addirittura formalizzati con indagini della magistratura per reati inerenti la diffamazione che solo il futuro ci dirà se avranno riscontri o finiranno come nulla di fatto, ma quello che rende quotidianamente molti utenti impauriti è l’assenza di un dibattito genuino quando due bolle di pensiero si incontrano e si finisce con una parte di pubblico che si nasconde dietro “valori presumibilmente calpestati” per sfoggiare il meglio della delegittimazione, personale e professionale, e delle minacce di adire alle Forze dell’Ordine.

Da Clubhouse a Barhouse

Non è un caso che all’interno di questo BarHouse, “bar di provincia” più che cittadino, c’è una realtà che ha approfittato nel mettere in riga tutti gli utenti con la satira e la messa in palio di un premio virtuale temuto da tutti coloro che si nascondono dietro un aspetto ligio, ma non conservano il rispetto verso gli altri che essenzialmente denota una mancanza di educazione alla base. Non è un caso che le discussioni iniziano spesso da parole ostili nella comunicazione che tendono a sminuire o ad offendere la reputazione dell’interlocutore con cui si vuole intavolare un confronto. Le regole di ingaggio purtroppo non hanno mai un osservatore esterno che riporti la discussione sotto un punto di vista contenutistico e non personalistico.

L’esperimento social porterà all’estinzione della piattaforma?

L’esperimento di Clubhouse è riuscito male per tanti motivi e quello che resta sono dei gruppi di amici o conoscenti, nati dalle frequentazioni in piattaforma, ma non c’è stata una evoluzione che ha dato valore effettivo al tempo speso quotidianamente all’interno del social. C’è chi si ostina a frequentarlo, ma non per prendersi seriamente, chi lo ha fatto agli inizi ora non c’è più sia per il pubblico ridotto sia per l’impossibilità di monetizzare, ma soprattutto perché la possibilità di parola data a tutti è stata, ed è ancora utilizzata, per creare scontri invece di confronti.

Di Livio Varriale

Giornalista e scrittore: le sue specializzazioni sono in Politica, Crimine Informatico, Comunicazione Istituzionale, Cultura e Trasformazione digitale. Autore del saggio sul Dark Web e il futuro della società digitale “La prigione dell’umanità” e di “Cultura digitale”. Appassionato di Osint e autore di diverse ricerche pubblicate da testate Nazionali. Attivista contro la pedopornografia online, il suo motto è “Coerenza, Costanza, CoScienza”.

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