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Garante contro ChatGPT: vittoria con bugie e conflitti di interesse

Tempo di lettura: 3 minuti. La crociata ha dato i suoi frutti: italiani guidano la “verifica” europea e gli editori percepiscono un fiore

Tempo di lettura: 3 minuti.

Il Garante della Privacy ha emanato un provvedimento considerato da molti “vigoroso”, ma che si è dimostrato vincente, nei confronti di Open AI. Sono stati tanti, troppi forse, i detrattori di un atto che secondo la mobilitazione social a supporto dell’ente capitanato dal prof. Stanzione ha ha scritto la storia dell’intelligenza artificiale e della sua regolamentazione “non solo nel nostro paese, bensì in tutta Europa”.

Il provvedimento del Garante

Dietro questa narrazione, che si precisa fa capo ad un’azione legittima e sensata nonostante sia stata considerata forzata e borderline secondo pareri di altrettanti esperti sul tema della privacy, e troppo rigida secondo gli stessi schemi attuati fino ad oggi dallo stesso Garante.

La sintesi del provvedimento è che l’Ente ha chiesto:

  • che venga fatta un’azione di ripristino della legalità secondo quanto previsto dal GDPR circa l’avviso sul trattamento dei dati entro il 30 Aprile
  • che sia sviluppata una interfaccia utile alla verifica dell’età nei confronti di coloro che accedono alla piattaforma
  • che sia prevista la possibilità di rinunciare al trattamento dei propri dati per non alimentare l’addestramento migliorativo della rete neurale alla base di ChatGPT

Una vittoria che sa tanto di giustificazioni

Quello che non torna in questa storia sono diversi punti. Il primo è il fatto che il Garante della Privacy nonostante sponsorizzi di essere stato il primo ad aver avviato attività di blocco, poi ritrattate e poi riconfermate, contro OpenAI, abbia allo stesso tempo latitato contro Microsoft e Google che in questo momento continuano ad operare con gli stessi metodi, forse anche peggiori, per addestrare le loro intelligenze rimaste tecnologicamente indietro.

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Le azioni extra italiche a cui fa riferimento il Garante della Privacy non sono minimamente paragonabili alle iniziative intraprese dai vari organismi europei che hanno deciso, successivamente all’azione energica dell’Italia, di riunire una task force per valutare i trattamenti effettuati dalla società sul suolo di loro competenza.

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In poche parole, quello che il Garante non ha fatto, perchè ha invece intimato da subito un blocco per l’applicativo ChatGPT agli utenti italiani ed ha invitato la società nel correre ai ripari in un termine limite che dalla verifica effettuata non tiene conto dei 30 o 60 giorni che solitamente vengono concessi a disposizione e sono stati dati in passato ad altri grandi players.

Quando è scoppiato il caso dei suicidi su Tik Tok e le frequentazioni sul social da parte di soggetti minori addirittura di 13 anni, l’azione non è stata così esigente e non ha disposto nemmeno il blocco della app sul suolo italiano, cosa che per ChatGPT in realtà è avvenuta, perché garante è andato spedito sull’azienda mostrando una inusitata velocità nel fare riferimento anche all’acquisizione dei vari cookie o delle varie informazioni che compongono l’addestramento della piattaforma.

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Su questo ci sarebbe molto da dire e va fatta una considerazione in concomitanza con un altro evento su cui da mesi il Garante latita e che fa emergere una sorta di conflitto di interessi verso quei giornali che hanno rifiutato di applicare le norme sul tracciamento dei cookie imponendo la scelta al lettore “o dai il consenso o paghi altrimenti non leggi i nostri contenuti” (sotto attenta verifica, ma lentissima, del Garante stesso) che godranno di un finanziamento da parte del Garante o di un soggetto istituzionalmente riconosciuto, che smisterà la pubblicità “progresso” imposta a ChatGPT a sue spese su un ventaglio di testate giornalistiche radio, tv, web e quotidiani.

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Soldi benedetti in tempi di bilanci in crisi e riorganizzazioni aziendali, ma cresce il sospetto tra gli addetti ai lavori che vi si celi anche una ghiotta opportunità per garantirsi una considerazione positiva da parte dei media che godranno di un beneficio, non risolvendo i loro bilanci sia chiaro, nel narrare una storia che parte da ottimi presupposti, ma che ha mostrato poca fluidità nell’azione dello stesso Ente.

Primi al mondo: come Garanti o come censori?

Sul fatto che questa sia stata tutta un’operazione che ha anticipato i tempi di valutazione sul fenomeno dell’addestramento dell’intelligenza artificiale, che presumibilmente ha evidenziato un’appropriazione indebita dei nostri dati da parte di OpenAI e che ha consentito a ChatGPT di essere più performante con la lingua italiana rispetto a quella inglese nativa, bisogna dare atto e merito che in Europa il caso “urgente” lo abbia creato l’Italia. Non è opportuno però citare allo stesso tempo anche schemi extra europei, va forte sui social menzionare il Canada e gli USA, che non rispondono alle regole con cui appunto vengono disciplinati gli argomenti che fanno riferimento alla privacy nel Vecchio Continente, che, ricordiamolo, non ha bloccato OpenAI ai suoi cittadini costringendolo alla chiusura in seguito ad un blocco urgente disposto da ogni singolo Garante degli altri stati europei.

Di Livio Varriale

Giornalista e scrittore: le sue specializzazioni sono in Politica, Crimine Informatico, Comunicazione Istituzionale, Cultura e Trasformazione digitale. Autore del saggio sul Dark Web e il futuro della società digitale “La prigione dell’umanità” e di “Cultura digitale”. Appassionato di Osint e autore di diverse ricerche pubblicate da testate Nazionali. Attivista contro l’abuso dei minori, il suo motto è “Coerenza, Costanza, CoScienza”.

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