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Nord Corea 2018: La guerra cibernetica di Lazarus tra Mata Framework, Bankshot, e furti di criptovalute.

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Il 2018 è stato l’anno di una serie di attacchi a catena che hanno contraddistinto il gruppo Lazarus nello scenario internazionale come minaccia attiva e persistente.

Lazarus, come visto in precedenza, ha lo scopo primario di fornire approvvigionamenti al governo nord coreano e verso fine 2017 si è reso protagonista di una serie di attacchi ai mercati di criptovalute ed ad alcuni istituti di credito. La linea seguita nel 2018 è stata sicuramente più aggressiva in tal senso.

Linkedin: l’oceano da cui pescare vittime

Nel Febbraio 2018 una indagine di F-Secure ha rivelato che un amministratore di sistema di un’organizzazione bersaglio ha ricevuto un documento di phishing attraverso il suo account personale di LinkedIn. Il documento era mascherato da un annuncio di lavoro per un ruolo in una società di tecnologia blockchain che corrispondeva alle competenze del dipendente. Più tardi, nel 2019, sempre F-Secure ha scoperto dettagli tecnici sul modus operandi di Lazarus Group durante un’indagine su un attacco a una realtà dedita al commercio di criptovalute, collegato a una campagna di phishing globale più ampia, partita nel 2017, e che risultava ancora in corso. F-Secure ha attribuito l’attacco al gruppo Lazarus Group sulla base di somiglianze nel malware, tattiche, tecniche e Procedures (TTPs) osservate in azioni precedenti del gruppo nordcoreano. L’analisi di F-Secure del malware ha suggerito forti somiglianze con i campioni utilizzati in altre campagne del Lazarus Group, dettagliate in ricerche precedentemente pubblicate da Kaspersky e ESET.

Lazarus Group è noto per aver sfruttato una combinazione di malware personalizzati e utility native del sistema operativo (OS) per raggiungere il suo obiettivo. Altro aspetto fondamentale, che contraddistingue la bravura del gruppo, è che una delle maggiori preoccupazioni nell’attività certosina è sicuramente quella di provvedere a cancellare la maggior part dei log che possono esporre l’attività silente ai sistemi di rilevamento.

Bankshot: una minaccia finanziaria in Turchia da milioni di dollari

Il 28 febbraio, il team di McAfee Advanced Threat Research ha scoperto l’attività criminale di Lazarus che continuava a prendere di mira asset di criptovalute e le organizzazioni finanziarie con il malware già visto in precedenza dal nome Bankshot. Sulla base della somiglianza del codice, del settore di attività delle potenziali vittime e della presenza di stringhe del server di controllo, l’attacco rimembrava i precedenti nefasti condotti contro la rete finanziaria globale SWIFT. Bankshot è stato progettato per persistere nella rete di una vittima per più di un unico sfruttamento; pertanto il team di Advanced Threat Research ha ritenuto che questa operazione ha avuto lo scopo di ottenere l’accesso a specifiche organizzazioni finanziarie. Le organizzazioni finanziarie in Turchia sono state prese di mira tramite e-mail di spear phishing contenenti un documento Microsoft Word dannoso. Il documento conteneva un exploit Adobe Flash incorporato ed è stato svelato dall’agenzia sudcoreana per la sicurezza in Internet. L’exploit, che sfruttava CVE-2018-4878, consentiva a un utente malintenzionato di eseguire codice arbitrario come un malware.

Bankshot è stato distribuito da un dominio con un nome simile a quello della piattaforma di prestito di criptovalute FalconCoin. Il dominio dannoso falcancoin.io è stato creato il 27 dicembre 2017 ed è stato aggiornato il 19 febbraio, solo pochi giorni prima della comparsa dei file malevoli. Bankshot era essenzialmente uno strumento di accesso remoto che poteva offrire a un utente malintenzionato la piena capacità del sistema di una vittima. Questa minaccia conteneva anche funzionalità per cancellare file e contenuti dal sistema di destinazione per dissipare prove o eseguire altre azioni distruttive.

Operazione “Ghost secret”

Sempre McAfee Advanced Threat Research ha scoperto una campagna globale di acquisizione di dati che attaccava un ampio numero di settori economici e governativi tra cui infrastrutture critiche, intrattenimento, finanza, assistenza sanitaria e telecomunicazioni. La campagna, soprannominata Operazione GhostSecret, sfruttava molteplici strumenti e varianti di malware associati al gruppo informatico sponsorizzato dallo stato Nord Coreano. L’indagine su questa campagna ha rivelato che Lazarus ha utilizzato più malware, incluso uno sconosciuto con funzionalità simili a Bankshot. Dal 18 al 26 marzo 2018 è stato osservato entrare in azione in più aree del mondo e alcune parti di codice ricordavano il malware Destover, che è stato utilizzato nell’attacco Sony Pictures del 2014. Inoltre, il team di McAfee ha scoperto Proxysvc ed alcuni server di controllo aggiuntivi che, sono stati utilizzati insieme alla variante Destover del 2017 e hanno operato senza essere rilevato dalla metà del 2017. Nell’operazione GhostSecret , Lazarus ha utilizzato un’infrastruttura simile alle minacce precedenti, inclusi i certificati SSL utilizzati da FakeTLS nel codice trovato nella variante backdoor Destover, nota come Escad, che è stata utilizzata nell’attacco di Sony Pictures. Quest’ultima analogia ed altre, come ad esempio gli attacchi alle banche turche e sudamericane, hanno consentito di individuare gli aggressori nel gruppo apt più strutturato in Corea del Nord.

Il framework che “MATA” tutti i sistemi operativi

Nell’aprile 2018 è stato scoperto un malware chiamato MATA. Il framework del malware MATA possedeva diversi componenti tra cui molti plug-in. Questo framework completo era in grado di indirizzare i sistemi operativi Windows, Linux e macOS ed è stato utilizzato in modo aggressivo per infiltrarsi in strutture aziendali di tutto il mondo.  

Ciò che eseguiva il malware  era WmiPrvSE.exe, un “Processo host provider WMI” che viene eseguito da un host remoto per spostarsi lateralmente, pertanto, sembrerebbe essere stato utilizzato per compromettere anche altri host aggiuntivi nella stessa rete. Successivamente è stato scoperto un malware che da disposizioni precise ed è stato identificato nel processo lsass.exe e che caricava i dati di configurazione crittografati da una chiave di registro per poi decrittografarli con l’algoritmo AES.

Lsass.exe poteva scaricare 15 plugin contemporaneamente tramite tre modi:

  • Scaricare il plug-in dal server HTTP o HTTPS specificato
  • Caricare il file del plug-in crittografato con AES da un percorso del disco specificato
  • Scaricare il file del plug-in dalla connessione MataNet corrente

MataNet era una infrastruttura allestita ad hoc per sfruttare al meglio tutte le potenzialità del framework malevolo: per la comunicazione segreta, utilizzavano connessioni TLS1.2 con l’aiuto della libreria open source “openssl-1.1.0f“, collegata staticamente all’interno di questo modulo. Inoltre, il traffico tra i nodi MataNet veniva crittografato con una chiave di sessione RC4 casuale. MataNet implementava sia la modalità client che quella server.

Il client MataNet stabiliva connessioni periodiche con il proprio centro di comando con un messaggio avente un’intestazione lunga 12 byte, dove il primo DWORD era l’ID del messaggio e il resto dati ausiliari. Ecco la lista dei plugin e delle loro funzioni che componevano il pacchetto malevolo acquisito una volta infetti da Mata:

  • MATA_Plug_Cmd.dll Eseguiva “cmd.exe /c” o “powershell.exe” con i parametri specificati e riceveva l’output dell’esecuzione del comando.
  • MATA_Plug_Process.dll Manipolava il processo (processo di elenco, processo di interruzione, processo di creazione, processo di creazione con ID sessione utente connesso).
  • MATA_Plug_TestConnect.dll Controllava la connessione TCP con IP:porta o intervallo IP specificato. Ping dato host o intervallo IP.
  • MATA_Plug_WebProxy.dll Creava un server proxy HTTP. Il server ascolta le connessioni TCP in entrata sulla porta specificata, processava le richieste CONNECT dai client al server HTTP e inoltrava tutto il traffico tra client e server.
  • MATA_Plug_File.dll Manipolava i file (scriveva i dati ricevuti su un determinato file, inviava un determinato file dopo la compressione LZNT1, comprimeva la cartella specificata in %TEMP%\~DESKTOP[8random hex].ZIP e inviava, cancellando il file specificato, cerca il file, elenca il file e la cartella , file di cronometraggio).
  • MATA_Plug_Load.dll Iniettava il file DLL nel processo specificato utilizzando il PID e il nome del processo o iniettava il file DLL XORed nel processo specificato, facoltativamente chiamava la funzione di esportazione con gli argomenti.
  • MATA_Plug_P2PReverse.dll Aiutava a connettersi tra il server MataNet da un lato e un server TCP arbitrario dall’altro, quindi inoltrava il traffico tra di loro. Gli IP e le porte per entrambi i lati sono specificati nella chiamata a questa interfaccia.
  • Una stringa interessante all’interno del plugin MATA_Plug_WebProxy – “Proxy-agent: matt-dot-net” – perché era un riferimento al progetto open source di Matt McKnight. Ci sono alcune differenze però. Il progetto di Matt è scritto in C# anziché in C++. Il proxy MATA era notevolmente più semplice, in quanto non era presente né cache né supporto SSL, ad esempio. È possibile che gli autori di MATA abbiano trovato e utilizzato il codice sorgente di una prima versione del server proxy di Matt. Sembrava che l’autore del malware avesse riscritto il codice da C# a C++ lasciando questo footprint invariato.

Il framework MATA si rivolgeva non solo al sistema Windows ma anche ai sistemi Linux e macOS. Nella versione per Linux vi era uno strumento per elencare le cartelle, script con il fine di sfruttare Atlassian Confluence Server (CVE-2019-3396), uno strumento socat e una versione Linux del payload MATA in bundle insieme a una serie di plug-in.

Su sistema MacOS vi era un malware MATA target caricato su VirusTotal l’8 aprile 2020. Il file Apple Disk Image dannoso era un’applicazione macOS trojan basata su un’applicazione di autenticazione a due fattori open source denominata MinaOTP.

Le vittime del framework MATA non erano limitate ad un territorio specifico e furono registrate in Polonia, Germania, Turchia, Corea, Giappone e India. Inoltre, l’attore ha compromesso i sistemi in vari settori, tra cui una società di sviluppo software, una società di e-commerce e un fornitore di servizi Internet.

Apple JEUS: Banche, Soldi e Criptovalute in cassa

Kaspersky Lab indagava su una piattaforma di criptovalute attaccata da Lazarus ed ha fatto una scoperta inaspettata. La vittima era stata infettata con l’aiuto di un’applicazione di trading di criptovalute troianizzata, che era stata raccomandata all’azienda via e-mail. Si è scoperto che un ignaro dipendente della società aveva scaricato volontariamente un’applicazione di terze parti da un sito web dall’aspetto legittimo e il suo computer era stato infettato da un malware noto come Fallchill, un vecchio strumento a cui Lazarus è tornato recentemente.

Per assicurarsi che la piattaforma OS non fosse un ostacolo per infettare gli obiettivi, sembra che gli aggressori siano andati oltre e abbiano sviluppato malware per altre piattaforme, anche per macOS, con addirittura una versione per Linux in arrivo, secondo il sito web. L’utente ha installato il programma tramite un link di download consegnato via e-mail e gli aggressori hanno optato per uno schema più elaborato: il codice trojan è stato diffuso sotto forma di un aggiornamento per un’applicazione commerciale dall’aspetto legittimo chiamata Celas Trade Pro di Celas Limited non ha mostrato segni di comportamento dannoso e sembrava genuina ed era un programma di trading di criptovalute in stile all-in-one sviluppato da Celas.

CryptoCore: tre anni di furti e centinaia di milioni in criptovalute rubati

Nell’estate 2018 è emersa CryptoCore: una campagna di attacco contro le società di crypto-exchange che è stata in corso per tre anni ed è stata scoperta dai ricercatori di ClearSky. L’attacco si è concentrato principalmente sul furto di portafogli di criptovalute ed è stata segnalato anche da altre aziende ed è per questo che è nota anche come CryptoMimic, Dangerous Password e Leery Turtle. Lazarus è stato il primo sospettato a causa di alcuni precedenti nello stesso anno nel settore finanziario, in particolare riferimento alle criptovalute, ma quello che ha sorpreso sono stati gli attacchi a Israele mai effettuati prima di allora dagli apt nord coreani.

DTRACK il RAT del 2018 firmato Lazarus

Alla fine dell’estate del 2018 è stato scoperto ATMDtrack, un pezzo di malware bancario rivolto alle banche indiane. Ulteriori analisi hanno mostrato che il malware era stato progettato per essere piantato sui bancomat dell’istituto di credito vittima in modo tale da poter leggere e memorizzare i dati delle carte che venivano inserite nelle macchine. A seguito di un’indagine effettuata da Kaspersky, sono state rilevati oltre 180 nuovi campioni di malware dello strumento spia definitivamente identificato come Dtrack.

Tutti i campioni di Dtrack trovati inizialmente sembravano inutilizzati, poiché il vero payload era criptato con vari dropper ma, una volta scoperto l’arcano decifrando gli offuscatori, si sono scoperte somiglianze con la campagna DarkSeoul, risalente al 2013 e attribuita al gruppo Lazarus.

L’entrata del dropper avveniva tramite un codice maligno in un binario che era un eseguibile innocuo. In alcuni casi, era il progetto predefinito di Visual Studio MFC, ma poteva essere qualsiasi altro programma.

I dati di overlay decriptati contenevano i seguenti artefatti:

  • un eseguibile extra;
  • uno shellcode per l’hollowing del processo;
  • un elenco di nomi di eseguibili predefiniti, che il malware usa come nome del processo futuro.

Dopo la decrittazione dei dati, il codice di hollowing del processo viene avviato, prendendo come argomento il nome del processo da holloware. Il nome proviene dall’elenco predefinito trovato all’interno dell’overlay decrittato. Tutti i nomi provenivano dalla cartella %SYSTEM32%, come potete vedere nell’elenco di file decrittati qui sotto.

fontview.exe dwwin.exe wextract.exe runonce.exe grpconv.exe msiexec.exe rasautou.exe rasphone.exe extrac32.exe mobsync.exe verclsid.exe ctfmon.exe charmap.exe scrivere.exe sethc.exe control.exe presentationhost.exe napstat.exe systray.exe mstsc.exe cleanmgr.exe

I dropper contenevano una varietà di eseguibili, tutti destinati a spiare la vittima. Di seguito è riportato un elenco incompleto delle funzionalità dei vari eseguibili payload di Dtrack trovati:

  • keylogging,
  • recupero della cronologia del browser,
  • raccolta di indirizzi IP degli host, informazioni sulle reti disponibili e sulle connessioni attive,
  • elencare tutti i processi in esecuzione,
  • elencare tutti i file su tutti i volumi di disco disponibili.

Alcuni degli eseguibili impacchettavano i dati raccolti in un archivio protetto da password salvandoli sul disco, mentre altri inviano i dati al server C&C direttamente.

Oltre ai suddetti eseguibili, i dropper contenevano anche un Trojan di accesso remoto (RAT). L’eseguibile RAT permetteva ai criminali di eseguire varie operazioni come:

  • 1003 caricare un file sul computer della vittima
  • 1005 rendere persistente il file di destinazione con avvio dell’esecuzione automatica sull’host della vittima
  • 1006 scarica un file dal computer della vittima
  • 1007 esegue il dump di tutti i dati del volume del disco e lo carica su un host controllato dai criminali
  • 1008 eseguire il dump di un volume del disco scelto e caricarlo su un host controllato dai criminali
  • 1011 esegue il dump di una cartella scelta e la carica su un host controllato dai criminali
  • 1018 imposta un nuovo valore di timeout dell’intervallo tra i controlli dei nuovi comandi
  • 1023 uscire e rimuovere la persistenza e il binario stesso
  • eseguire di default un processo sull’host della vittima

L’Operazione “atomica” Sharpshooter

Il team McAfee Advanced Threat Research e il McAfee Labs Malware Operations Group hanno scoperto una nuova massiva azione di attacco globale che prendeva di mira le aziende del settore nucleare, della difesa, dell’energia e della finanza. Questa campagna, Operation Sharpshooter, sfruttava un codice in-memory per scaricare e recuperare un ulteriore codice di secondo livello per un ulteriore sfruttamento, battezzato con il nome Rising Sun. Questo secondo fattore di attacco utilizzava il codice sorgente del trojan backdoor Duuzer del 2015 del Lazarus Group in una nuova struttura per infiltrarsi in queste industrie chiave.  I numerosi collegamenti tecnici di Operation Sharpshooter al Lazarus Group sembravano troppo ovvi per trarre immediatamente la conclusione che fossero i nord coreani i responsabili degli attacchi.

Nei mesi di ottobre e novembre 2018, l’impianto Rising Sun è apparso in 87 organizzazioni in tutto il mondo, prevalentemente negli Stati Uniti. La maggior parte delle vittime prese di mira erano di lingua inglese. Questo attore ha usato l’attività di reclutamento come esca per raccogliere informazioni sugli individui presi di mira o sulle organizzazioni che gestiscono i dati relativi alle industrie di interesse.

Il vettore di attacco iniziale restava un documento contenente una macro malevola per scaricare la fase successiva, che veniva eseguita in memoria e raccoglieva informazioni mentre I dati della vittima venivano inviati a un server di controllo per essere monitorati dagli attori, che poi determinavano le fasi successive.

2018 iniziato e terminato con il furto di criptovalute

Il guadagno finanziario è rimasto uno degli obiettivi principali di Lazarus, con le sue tattiche, tecniche e procedure in continua evoluzione per evitare di essere scoperto. Dopo l’operazione Applejeus è stata scoperta una nuova operazione, attiva almeno da novembre 2018, che utilizzava PowerShell per controllare i sistemi Windows e il malware macOS per gli utenti Apple. Hanno sviluppato script PowerShell personalizzati che comunicano con server C2 dannosi ed eseguono comandi dall’operatore. I nomi degli script del server C2 sono mascherati da file WordPress (popolare motore di blog) e da altri popolari progetti open source. Dopo aver stabilito la sessione di controllo del malware con il server, la funzionalità fornita dal malware includeva:

  • Impostare il tempo di “sonno” (ritardando le interazioni C2)
  • Uscire dal malware
  • Raccogliere le informazioni di base sull’host
  • Controllare lo stato del malware
  • Mostrare la configurazione attuale del malware
  • Aggiornare la configurazione del malware
  • Eseguire il comando della shell di sistema
  • Scaricare e caricare file

Il malware è stato distribuito tramite documenti accuratamente preparati per attirare l’attenzione dei professionisti delle criptovalute. Visto come alcuni dei documenti sono stati infiocchettati in coreano, era chiaro che le imprese sudcoreane fossero una priorità assoluta per Lazarus. Un documento intitolato “Documento di esempio per la valutazione del business plan di una società di venture capital” (tradotto dal coreano), un altro macro-armored (e9a6a945803722be1556fd120ee81199) che conteneva una presentazione aziendale di quello che sembrava essere un gruppo di consulenza tecnologica cinese chiamato LAFIZ ed una società di scambio di criptovalute che forniva un documento di elenchi di monete con una traduzione in coreano,  con un documento dannoso contenente la stessa macro.

Questi campioni di malware per Windows sono stati forniti utilizzando documenti HWP (Korean Hangul Word Processor format) dannosi e che sfruttavano una nota vulnerabilità PostScript. Va notato che i documenti HWP sono popolari solo tra gli utenti coreani (Hangul Word Processor è stato sviluppato in Corea del Sud) e abbiamo assistito a diversi attacchi con lo stesso metodo quindi la matrice nordcoreana è più che una pista probabile.

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Google licenzia 28 dipendenti in protesta per il Cloud con Israele

Tempo di lettura: 3 minuti. Google ha licenziato 28 dipendenti dopo proteste riguardanti un contratto cloud con Israele: una scelta che farà discutere

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Google licenzia 28 dipendenti in protesta per il Cloud con Israele
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Google ha recentemente licenziato 28 dipendenti in seguito alla protesta legata al suo contratto cloud con Israele del progetto Nimbus. Queste proteste, avvenute negli uffici di New York e Sunnyvale, hanno portato a comportamenti giudicati inaccettabili dalla compagnia, inclusa la presa di controllo di spazi ufficio, danneggiamenti della proprietà, e ostacoli fisici all’attività lavorativa di altri dipendenti.

Dettagli del licenziamento

Le proteste hanno portato alla defenestrazione e al danneggiamento della proprietà di Google, comportamenti che l’azienda ha categoricamente condannato. I dipendenti coinvolti sono stati immediatamente messi sotto indagine e i loro accessi ai sistemi di Google sono stati revocati. Alcuni di questi, che si sono rifiutati di lasciare gli uffici, sono stati arrestati dalle forze dell’ordine. Dopo un’indagine approfondita, Google ha deciso di terminare il rapporto lavorativo con 28 dei dipendenti coinvolti.

Politiche e standards di Comportamento

Google ha ribadito che il comportamento manifestato viola molteplici politiche aziendali, tra cui il Codice di Condotta e le politiche su Molestie, Discriminazione, Ritorsioni, Standard di Condotta e Preoccupazioni sul Posto di Lavoro. L’azienda ha sottolineato che tali azioni non trovano spazio all’interno del suo ambiente lavorativo e che qualsiasi violazione delle politiche interne è soggetta a severe sanzioni, inclusa la possibile terminazione del contratto di lavoro.

Implicazioni per il Futuro

Questo episodio segnala un chiaro messaggio agli impiegati di Google: l’azienda prende molto sul serio le politiche interne e non tollererà comportamenti che le violino. È atteso che i leader aziendali comunichino ulteriormente sui standard di comportamento e discorso ammissibili in ambito lavorativo, riaffermando l’impegno di Google nel mantenere un ambiente professionale e rispettoso.

Dichiarazione dei Lavoratori Google sulla Campagna No Tech for Apartheid e i Licenziamenti di Massa

Una recente dichiarazione rilasciata dai lavoratori di Google associati alla campagna “No Tech for Apartheid” solleva preoccupazioni serie riguardo alle azioni dell’azienda. I lavoratori denunciano licenziamenti di massa come atto di ritorsione per le loro proteste contro il contratto Project Nimbus di Google con il governo israeliano, che considerano supporto a operazioni militari contro i Palestinesi.

Dettagli dei licenziamenti

La dichiarazione specifica che Google ha licenziato indiscriminatamente più di due dozzine di lavoratori, inclusi alcuni che non hanno partecipato direttamente alle proteste di 10 ore che hanno avuto luogo nelle sedi di New York e Sunnyvale. I lavoratori descrivono questi licenziamenti come una chiara dimostrazione che Google dà priorità ai suoi contratti da miliardi con il governo israeliano rispetto al benessere dei suoi dipendenti.

Accuse di Comportamenti Inaccettabili

Secondo la dichiarazione, durante le proteste, Google avrebbe chiamato la polizia sugli stessi lavoratori, portando all’arresto di nove persone. I licenziamenti sono stati giustificati dall’azienda con accuse di “bullismo” e “molestie”, che i lavoratori ritengono infondate, sottolineando che anche i colleghi palestinesi, arabi e musulmani hanno subito discriminazioni e molestie supportate dalla tecnologia Google.

Reazioni e Supporto Interno

Nonostante la pressione e le azioni legali, i lavoratori affermano di aver ricevuto un supporto massiccio e positivo durante le proteste, smentendo le affermazioni di Google su danni alla proprietà o impedimenti al lavoro di altri. La dichiarazione evidenzia l’importanza del sostegno collettivo e la determinazione dei lavoratori di continuare a organizzarsi fino a che Google non abbandonerà Project Nimbus.

I lavoratori di Google chiamano in causa la leadership dell’azienda, in particolare Sundar Pichai e Thomas Kurian, accusandoli di trarre profitto da azioni considerate genocidi. La dichiarazione termina con una nota di sfida, promettendo di intensificare gli sforzi organizzativi nonostante i licenziamenti, mirando a porre fine al supporto di Google a ciò che percepiscono come azioni di genocidio.

Il licenziamento di questi 28 dipendenti da parte di Google evidenzia la tensione tra libertà di espressione dei lavoratori e le necessità di mantenere un ambiente di lavoro ordinato e conforme alle politiche aziendali. Questo evento è destinato a influenzare il dialogo interno sulla gestione delle proteste e delle espressioni di dissenso all’interno dell’azienda.

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Banca Sella: il problema che i detrattori del Piracy Shield non dicono

Tempo di lettura: 3 minuti. Banca Sella ha terminato il suo periodo più buio della storia dopo 5 giorni di disagi che hanno lasciato i suoi dipendenti senza soldi

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Banca Sella - Logo
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Banca Sella ha subito un blocco delle sue operazioni insieme al circuito Hype per quattro giorni abbondanti nella scorsa settimana. Quello che resta di questa storia è il clamore di un fail epico della migliore banca italiana nel campo dell’innovazione dell’Internet Banking proprio nei suoi sistemi informatici che l’anno resa da sempre un’eccellenza italiana.

I disagi sono stati enormi se consideriamo che tutte le carte di credito appoggiate a Banca Sella sono state escluse dai circuiti internazionali, così come i bancomat del Gruppo e le movimentazioni online sui conti correnti, impossibili attraverso Internet. La banca è stata costretta ad aprire per più ore nei giorni del blocco per ritornare al contante. Alla Redazione di Matrice Digitale sono arrivate diverse segnalazioni di preoccupazione anche dell’eventuale mancato accredito di rate che avrebbero esposto i clienti dell’Istituto alla centrale di rischio.

Ma cosa è successo?

Banca Sella e Hype hanno subito gravi disagi tecnologici che Matteo Flora descrive come una delle più serie catastrofi tecnologiche mai avvenute in una banca italiana. Questi problemi sono stati associati a un malfunzionamento dopo un aggiornamento dei sistemi gestiti da Oracle, precisamente riguardanti l’hardware Exadata. La piattaforma interna che gestisce i servizi bancari sembra essere stata al centro dell’interruzione, influenzando servizi cruciali come il Personal Finance Management (PFM), i gateway PSD2, il Corporate Banking, i Payment Hub per bonifici, , Fabrick Platform, i Virtual IBAN e le operazioni di E-commerce.

Nonostante le significative interruzioni, le informazioni rilasciate finora assicurano che l’integrità dei dati non è stata compromessa. Tuttavia, la portata completa dell’incidente e delle sue ripercussioni rimane sotto osservazione, con la comunità che attende ulteriori aggiornamenti su cosa sia avvenuto attraverso un Post Mortem del reparto informatico e sulle misure di mitigazione al problema. Data la gravità dell’incidente, è probabile che entità regolatorie come l’ABI, la CONSOB e il Garante per la Privacy possano intervenire o richiedere dettagli aggiuntivi riguardo alla gestione dell’evento e alle strategie adottate per prevenire futuri incidenti.

A queste osservazioni si aggiunge una di Matrice Digitale che ha notato una ricostruzione attendibile sia di Flora sia dello stesso Istituto di Credito sulla base del famoso collo di bottiglia che generavano gli aggiornamenti. Negli ultimi giorni del guasto, l’applicativo di internet banking di banca Sella funzionava bene, ma con l’aumentare del picco di utilizzo, ancor di più maggiore perchè veniva da giorni di inutilizzo forzato, faceva ritornare l’app ai suoi messaggi di errore.

Analsi a freddo di Roberto Beneduci

Roberto Beneduci, CEO di CoreTech s.r.l, Milano, attraverso il suo profilo LinkedIn ha avviato una riflessione sull’incidente che ha interessato Banca Sella, sottolineando un punto fondamentale: “i sistemi informatici, per quanto robusti, non sono immuni da rischi e le loro conseguenze non possono essere completamente annullate”.

Analisi dell’incidente

L’incidente in questione è stato causato da operazioni sul database Oracle, specificatamente aggiornamenti software. Questo esemplifica una realtà comune nel settore IT, dove anche routine di manutenzione programmata possono portare a disfunzioni impreviste, sottolineando la vulnerabilità intrinseca dei sistemi informatici.

Reazione e Resilienza

Secondo Beneduci “Post incidente, è probabile che Banca Sella elabori nuove procedure per gestire meglio simili situazioni in futuro. Questo solleva una riflessione critica: spesso si pensa a misure preventive solo dopo aver sperimentato una crisi“. Beneduci fa un parallelo ironico con i controlli di sicurezza aeroportuali, notando come, nonostante le misure severe, ci sono ancora limiti a ciò che si può prevenire.

Gestione delle aspettative e comunicazione

Durante un’interruzione, la domanda più frequente da parte degli utenti e dei clienti è: “Quando torneremo operativi?Beneduci sottolinea che, in situazioni di crisi, anche le stime più informate possono diventare obsolete in un istante a causa di nuovi problemi imprevisti, rendendo la comunicazione durante gli incidenti una sfida delicata.

Critiche e considerazioni sulla Ridondanza

La frustrazione degli utenti impossibilitati a effettuare operazioni bancarie durante l’interruzione solleva un punto valido: l’importanza di avere sistemi di backup. Beneduci critica la tendenza comune di affidarsi a un unico sistema o soluzione, suggerendo che mantenere un approccio più diversificato e resiliente potrebbe mitigare i danni in situazioni critiche.

Verità scomoda per i puristi della moneta virtuale e per i detrattori di Privacy Shield

Chissà cosa hanno pensato i puristi della moneta virtuale quando i clienti di Banca Sella sono dovuti correre nelle banche per prelevare denaro per fare la spesa senza che ci fosse la possibilità di fare la spesa perché le carte digitali erano fuori uso. Una considerazione che la comunità informatica non ha discusso, concentrandosi sull’aspetto tecnico, ma resta singolare il fatto che ci si preoccupa che Piracy Shield possa rompere Internet e non si è mai posto il problema che i sistemi di pagamento elettronici potessero saltare, compresi i sistemi bancari. Un caso impossibile? Da oggi, secondo un ragionamento empirico visto il precedente di Banca Sella possiamo dire che è possibile. Chissà perché nessuno, tecnico informatico o accademico, si sia mai accorto di questo rischio sponsorizzando indistintamente il contante e relegando al complottismo e all’antiscientifico ragionamenti sui rischi derivanti da eventuali blocchi. L’unica spiegazione è che produrre carta, seppur abbia un valore, non da lavoro ad informatici o accademici, come potrebbe invece fornire una Banca.

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Piracy Shield: Capitanio (AGCom) risponde alla nostra inchiesta

Tempo di lettura: 5 minuti. Piracy Shield: alla seconda inchiesta di Matrice Digitale segue un editoriale di Massimiliano Capitanio dell’AGCom: analizziamo le differenze

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Il dibattito su Piracy Shield, la piattaforma antipirateria promossa dall’Agcom, si è arricchito di prospettive diverse, riflesse nell’editoriale di Massimiliano Capitanio dell’AGCOM su AgendaDigitale.eu poche ore dopo la pubblicazione della seconda inchiesta di Matrice Digitale. E’ opportuno fare un’analisi che intende evidenziare le differenze ed i punti di incontro tra le due narrazioni, considerando la sequenza temporale delle pubblicazioni e le divergenze nei toni, nei contenuti, ma anche principi comuni.

Piracy Shield secondo l’AGCOM: una misura efficace

Prospettiva tecnologica e risultati

Massimo Capitanio - AgCom
Massimo Capitanio – AgCom

Nell’articolo di Capitanio, Piracy Shield è descritta come un’innovazione tecnologica di rilievo, con un bilancio iniziale di successo dimostrato dalla chiusura di migliaia di indirizzi IP e FQDN illegali. Questo approccio sottolinea l’efficacia operativa della piattaforma e la sua importanza nella lotta contro la pirateria che Matrice Digitale ha accolto, paventando il rischio che più IP si bloccano per un periodo di 6 – 12 mesi e più c’è il rischio che si restringa il campo della disponibilità sull’intera rete Internet con il rischio che qualche criminale possa iniziare ad utilizzare indirizzi condivisi da servizi essenziali.

Difesa dalle critiche e integrità della Piattaforma

Capitanio respinge le accuse di vulnerabilità di Piracy Shield, negando qualsiasi compromissione dovuta a presunti attacchi hacker. Nell’editoriale enfatizza la robustezza della piattaforma, validata da processi di verifica tecnica condotti da enti competenti. Un fatto che Matrice Digitale non ha citato, ma che ha intuito ponendo al lettore la domanda finale sull’eventuale utilizzo da parte del perimetro cibernetico nazionale di indirizzi IP commerciali e che dovrebbe, il condizionale è sempre un obbligo in questi casi, scongiurare un’ecatombe come invece sostengono alcuni megafoni della comunità informatica. Il coinvolgimento di ACN, sbandierato da Capitanio, in questo caso può essere una garanzia che il rischio blocco incontrollato sia minimo.

Approccio legale e collaborazione istituzionale

L’enfasi è posta sulla legittimità dell’iniziativa di Piracy Shield, sottolineando il sostegno unanime del Parlamento e la stretta collaborazione con l’industria, calcistica per lo più, e le autorità per la cybersicurezza. Viene inoltre difesa l’azione di Agcom nella chiusura temporanea di siti legali condivisi con indirizzi IP che difatti diventano illegali, sottolineando la rapidità del ripristino e la necessità di una maggiore consapevolezza e collaborazione da parte dei fornitori di servizi a cui Capitanio e l’AGCom non vogliono togliere spazio commerciale, ma responsabilizzarli sull’eventuale hosting di attività illecite. Questo punto è stato anticipato da Matrice Digitale nella sua seconda inchiesta ed è stato posto come prossima discussione in Europa tanto da far temere gli operatori di servizi qualche provvedimento impossibile da sostenere per l’attuale mercato. Sul ripristino degli IP innocenti, Capitanio dovrebbe spendersi ancora di più di quanto fatto per rodare al meglio il sistema di riattivazione. 3-5 giorni per vedersi online il proprio servizio bloccato ingiustamente sono troppi nell’era di Internet che viaggia in nano secondi.

La visione di Matrice Digitale: non solo buoni propositi, ma critiche e preoccupazioni

Focalizzazione su controversie e percezioni negative

Matrice Digitale ha presentato Piracy Shield in una luce più critica, evidenziando la diffusione del codice su GitHub che secondo alcune fonti dell’underground insistono sul fatto che “sia quello e scritto anche male” ed ha evidenziato le preoccupazioni relative alla censura e alla libertà digitale dinanzi a questo provvedimento che si prefigge di curare la malattia della pirateria. Questa prospettiva pone maggiore attenzione sulle potenziali implicazioni negative della piattaforma per gli utenti e sulla percezione di un attacco alla privacy e all’anonimato online.

Questioni di trasparenza e responsabilità

L’inchiesta di Matrice Digitale solleva dubbi sulla trasparenza delle operazioni di Piracy Shield e sull’efficacia delle politiche di Agcom, mettendo in discussione allo stesso tempo le istanze effettuate da soggetti interessati nei confronti dell’Autorità in occasione dei ricorsi legali. Il caso di Assoprovider è stato lampante.

Diffuso come scandalo il fatto che all’associazione sia stata respinta un’istanza e che AGCom abbia comminato sanzione di mille euro, la realtà risulta comunque diversa, leggendo l’ordinanza d’ingiunzione, peraltro definita ed emessa da AGCOM prima del rigetto dell’istanza.

Secondo il provvedimento AGCom in questione, cioè la Delibera 79/24/CONS del 19 Marzo, che vi invitiamo a leggere, Assoprovider non ha soddisfatto i requisiti previsti per la legittimazione del suo coinvolgimento nelle attività correlate alla piattaforma Piracy Shield.

L’atto ufficiale di contestazione AGCOM risale a Novembre 2023 ed è dovuto proprio al fatto che AssoProvider avesse iniziato a partecipare ai tavoli tecnici, senza però che AGCOM disponesse di evidenze o documentazioni di legittimazione per la sua partecipazione.

Non solo perché AssoProvider non ha un elenco pubblico di suoi soci, a differenza di altre associazioni rappresentative degli operatori. Soprattutto perché, sin dalle prime richieste informali ad Ottobre 2023 di fornire privatamente alla Direzione Servizi Digitali AGCOM perlomeno i riferimenti degli operatori, che stesse rappresentando ai tavoli, AssoProvider ha sempre opposto un netto rifiuto.

Potrà far storcere il naso a qualcuno, magari pure interessato perché fornitore o cliente dell’associazione anche dal punto di vista editoriale, ma le richieste AGCOM in merito erano e sono comunque fondate.

Lo erano infatti nell’autunno del 2023 per consentire la corretta partecipazione ai tavoli tecnici. Lo sono anche nel 2024 per valutare la legittimazione attiva, imprescindibile per poter sottoporre istanze conto terzi di accesso documentale ex L.241/90 (NON civico semplice o generalizzato/FOIA) ad atti relativi alla piattaforma Piracy Shield.

Implicazioni per i servizi Internet e la Libertà Digitale

Si evidenziano quindi le potenziali ripercussioni di Piracy Shield sui servizi di navigazione anonima, come le VPN, suggerendo una possibile conflittualità con la libertà di espressione e l’anonimato online. Questo punto di vista suggerisce che la lotta alla pirateria potrebbe trasformarsi in un pretesto per limitare servizi legittimi e fondamentali per la privacy degli utenti. “Per il bene dei bambini” ne abbiamo viste di “scorrettezze” in tal senso anche da parte del Garante Privacy Italiano sempre generoso con Meta nonostante le ripetute violazioni della privacy ed esposizione dei minori a contenuti vietati, ma soprattutto dalla Commissione Europea per quel che concerne il Chat Control.

Dibattito aperto fino all’ecatombe

Le differenze tra gli articoli di Capitanio e Matrice Digitale sono minime rispetto alle critiche giunte in questi giorni. Ci sono punti di incontro e sul fatto che qualcosa vada fatto e soprattutto fatto bene. Lo sa anche chi critica che, dinanzi ad un indirizzo politico di prospettiva europea, è meglio che le cose si facciano bene e non male con uno scontro istituzionale. Da qui nasce il sospetto che chi si agita stimolando un gregge di persone competenti, ma con scarsa visione e che casca sulla notizia falsa ed interessata di Assoprovider ad esempio, lo faccia per manipolare la massa per poi sedersi all’interno di una commissione politica o di un tavolo tecnico. Non solo il digitale è pieno di conflitti d’interesse editoriali, ma anche politici ed accademici come spesso proviamo a sensibilizzare i lettori. Mentre l’editoriale dell’AGCOM, attraverso la voce di Capitanio, presenta la piattaforma come una soluzione efficace e necessaria, supportata da dati e collaborazioni istituzionali, Matrice Digitale nella sua inchiesta pone l’accento sulle potenziali, non certe, conseguenze negative, sollevando questioni di trasparenza, etica ed impatto sui diritti digitali degli utenti coerentemente con il suo manifesto di trasparenza editoriale pur non disdegnando l’attività del Garante, il fine politico e sociale con tanto di proposta formulata nella prima inchiesta sul caso allo stesso Capitanio e all’Autorità su un eventuale accordo ufficiale tra AGCOM e multinazionali sui proventi delle tanto discusse multe agli utenti da destinare a bonus cultura finalizzati ad hoc e con l’impegno di abbassare le tariffe degli abbonamenti man mano che gli utenti legittimi aumentano.

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