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Inchieste

Procura di Belluno non vede Facebook: archiviate indagini su odio social

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In Italia esistono diverse squadre della pubblica autorità specializzate nell’investigazione informatica. Molte di queste realtà si muovono nel campo del crimine complesso come quello dei traffici illeciti attraverso la rete e quello dell’accesso abusivo ai sistemi informatici tramite intrusioni o software predisposti a questo tipo di attività. Matrice Digitale si è occupata già in passato nella serie di approfondimenti dedicata all’odio ed all’anonimato in rete, sul rapporto tra social network e chi cerca giustizia, intervistando una donna vittima non solo di odio, ma anche di diffamazione.

Lo scandalo social in Procura

La Procura di Belluno ha chiesto una rogatoria internazionale per capire chi avesse offeso una candidata italo-algerina alle ultime Regionali in Veneto, Assia Belhadj, che dopo aver postato su Facebook la propria foto con il velo era stata sommersa dagli insulti offensivi e violenti degli haters. Una richiesta, la sua, legittima e soprattutto volta ad affermare il diritto alla tutela di un utente discriminato sia per le sue posizioni politiche sia per la sua provenienza culturale e religiosa.

Archiviazione per “insufficienza di rete”

Dinanzi alla sua richiesta, la decisione della Procura è stata quella di archiviare l’indagine tramite il pm assegnatario della pratica che ha trovato conferma anche nel giudizio del Gip. La motivazione è stata “archiviazione per insufficienza di social”. In pratica, la Procura non ha avuto accesso dal suo interno ai social network, inibito evidentemente dalle restrizioni di sicurezza della rete, e non ha potuto avviare le indagini e quindi vi ha rinunciato.

Razzismo, polemica sindacale o disinteresse politico?

Nel provvedimento, i magistrati, inquirente e giudicante, hanno candidamente alzato le mani per non aver potuto identificare gli autori dei post in modo chiaro soprattutto perché “la rete in uso all’ufficio non consente l’accesso a Facebook”, aggiungendo che in passato le indagini “venivano svolte da personale che usava il proprio computer privato e il proprio profilo Facebook”. Una sentenza che ha suscitato molto clamore per via della rinuncia e che, in una zona come Belluno, a nord e in buona parte schierata ideologicamente su posizioni rigide dal punto di vista dell’immigrazione, può dare l’impressione di non esserci stata volontà, forse di natura anche politica, nel perseguire soggetti ideologicamente vicini alla cultura protezionista del luogo. Ancora più imbarazzante, invece, la disparità di trattamento riservata ad una “finta” immigrata musulmana, essendo la parte offesa di nazionalità italiana in tutto e per tutto, rispetto a casi ancora più eclatanti dove addirittura si sono inventati commenti di odio nei confronti di altre figure di altri partiti, religioni, molto più blasonati. Qui ci sarebbe da fare un paragone anche tecnico ed amministrativo sulle dotazioni non sempre equivalenti nelle Procure del nostro paese ed il fatto di mettere per iscritto in una sentenza e rinunciare alle indagini perché l’Autorità non aveva i mezzi per fare una ricerca su internet, nell’anno 2021, può anche essere un modo per protestare elegantemente su questioni prettamente sindacali. Se è andata così, non si può che avallare questa scelta ed attendere eventuali disposizioni del Procuratore capo di Belluno.

Excusatio non petita del Procuratore Capo di Belluno

Dopo l’articolo apparso sull’Ansa, il Procuratore di Belluno è intervenuto al Fatto Quotidiano cercando di mettere una pezza a colori sulla vicenda sostenendo che la Procura da lui diretta ha inviato una rogatoria internazionale a Facebook, che prontamente l’ha respinta. Un’azione abbastanza scontata, come vi abbiamo raccontato anni fa nell’articolo citato in apertura, che ovviamente non rende una bella figura al ruolo di chi l’ha compiuta, utilizzandola come scusa per scaricare le responsabilità come prassi vuole nella Pubblica Amministrazione. Va bene che al comune di Bugliano sia questa la prassi, forse anche in quello di Napoli e Milano, ma da un alto magistrato ci si aspetta di più: il massimo sforzo per stanare dei criminali. A meno che, l’odio sui social non sia realmente un crimine.

Di Livio Varriale

Giornalista e scrittore: le sue specializzazioni sono in Politica, Crimine Informatico, Comunicazione Istituzionale, Cultura e Trasformazione digitale. Autore del saggio sul Dark Web e il futuro della società digitale “La prigione dell’umanità” e di “Cultura digitale”. Appassionato di Osint e autore di diverse ricerche pubblicate da testate Nazionali. Attivista contro l’abuso dei minori, il suo motto è “Coerenza, Costanza, CoScienza”.

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