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L'Altra Bolla

Traffico di armi italofrancese: protesta iraniana sotto al post di Meloni

Tempo di lettura: 2 minuti. Salvo il Manifesto, nessuno se n’è accorto, nonostante l’Iran sia una tendenza social

Tempo di lettura: 2 minuti.

Il mondo dei Media è sempre molto attento ai profili social degli influencer tranne nel caso della Meloni e del post sulla Protezione Civile nel mentre occorreva il disastro di Ischia.  Il post raffigura la Presidente del Consiglio nella Sala Operativa mentre riceve gli aggiornamenti dal fronte isolano del Golfo di Napoli ed è un tripudio di like. Quello che in questo caso si nota e fa molto “rumore” è la miriade di commenti che sono stati pubblicati sotto al post e che riportano un messaggio preconfezionato e che non riguarda Ischia, bensì l’Iran.

“La Repubblica islamica sta affrontando da anni embarghi ed embarghi sulle armi, ma stanno usando munizioni Cheddite, realizzate da un’azienda italofrancese per attaccare i protestanti e mettono in pericolo la loro vita provocando loro danni irreversibili. Alcuni di loro hanno perso gli occhi!
Noi Iraniani vorremmo sapere come è possibile che queste cartucce siano nelle mani del governo sotto embargo per essere usate contro la loro stessa gente! #MahsaAmini #IRANREVOLUTION

Tanti, troppi commenti per una notizia ignorata dai grandi media e che ha trovato spazio solo su alcune testate, Manifesto e Indipendente.online, e che denunciano l’utilizzo da parte della polizia iraniana di cartucce prodotte da una società italo francese. La stessa denuncia fu fatta dagli attivisti del Myammar, anche loro colpiti dalla repressione armata delle stesse identiche cartucce per armi da fuoco.

Come ci sono finite lì se l’Iran ha l’embargo di armi?

La risposta è semplice: mercato parallelo attraverso stakeholders in odor di mafia o venditori di armi da mercato grigio. A meno che l’azienda non sia responsabile in prima persona, le strade che porterebbero la fornitura di armi alla polizia iraniana non sono quelle ufficiali, assolvendo di fatto i produttori entrati in un turbine di polemiche social da parte degli attivisti che nell’ultimo periodo sono sempre più lasciati dai media al loro destino. La società è francese sin dall’800, ma ha una sede italiana nella città di Livorno dal 1901. Quello che sorprende è l’assenza della stessa attenzione che i media rivolgono ai dibattiti social tra i protagonisti della politica e subito cala il sospetto che il traffico d’armi non fa notizia e non deve fare notizia, ma c’è dimostrazione invece nel fatto che la morte di Masha Amini e le proteste iraniane sono “tendenze” vecchie e non meritevoli della stessa attenzione di quando c’era la ressa in Italia per farsi un reel sui social mentre ci si tagliava la ciocca dei capelli.

Di Livio Varriale

Giornalista e scrittore: le sue specializzazioni sono in Politica, Crimine Informatico, Comunicazione Istituzionale, Cultura e Trasformazione digitale. Autore del saggio sul Dark Web e il futuro della società digitale “La prigione dell’umanità” e di “Cultura digitale”. Appassionato di Osint e autore di diverse ricerche pubblicate da testate Nazionali. Attivista contro la pedopornografia online, il suo motto è “Coerenza, Costanza, CoScienza”.

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