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Truffa Instagram: come Meta affonda la Polizia Postale

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In questi giorni sono tantissime le segnalazioni di utenti alla redazione che hanno subito il furto dei propri profili Instagram a margine dell’inchiesta realizzata da Matrice Digitale

Il problema ha una casistica enorme che cresce a dismisura negli ultimi giorni. Molti utenti stanno facendo denunce alla Polizia Postale per evitare il compimento di reati da parte dei criminali che si sono appropriati i profili.

Meta e Instagram forniscono diversi strumenti di recupero anche con la dicitura “mi hanno hackerato il profilo“, ma non è necessario a quanto pare.

Il primo consiglio è quello di avere una foto propria per essere da subito riconoscibili.

Facebook e Meta hanno un sistema di verifica tramite video seflie. Per arrivare al video selfie bisogna rispondere ad alcune domande come profilo, mail e telefono.

Alcuni segnalano che la piattaforma di assistenza non riesce a sbloccare la procedura perchè non riconosce gli account utilizzati.

Aspetto ancora più destabilizzante per l’utente è che nei primi tentativi del video selfie, con la loro foto sul profilo, da esito negativo.

Non temete, ripetete la procedura e pregate

Chi sono le vittime?

Le vittime sono sia utenti che usano le piattaforme social per diletto sia imprenditori che svolgono attività a scopo di lucro.

La truffa del furto dei profili serve ai criminali per prendere possesso dell’utente hackerato con il fine di pubblicare post pubblicitari che decantano presunti servizi offerti da persone taggate. Questi servizi spesso fanno riferimento ad attività di investimenti finanziari che sono delle vere e proprie truffe.

Quando invece si prende possesso di un account con un numero considerevole di followers e di interazioni, il discorso cambia notevolmente perché si può rivendere il profilo a chi è interessato e più utenti lo seguono, più valore ha.

Povera Polizia Postale

La Polizia Postale dovrebbe assistere i cittadini su reati ben più gravi e non consumati all’interno di piattaforme private, che non accettano di svolgere una funzione pubblica, ma che poi affollano gli uffici della Pubblica Autorità con utenti disperati di aver perso la propria intimità.

Quello che si denota da questa vicenda è il fatto che manchi una grande professionalità nelle big tech più quotate al mondo o semplicemente c’è tanta malafede. Da un lato impegnate a macinare profitti, dall’altro invece a fornire dei labirinti simili agli alberi vocali dei centralini telefonici con lo scopo di fare desistere utenti colpevoli di essere caduti all’interno di una o più reti di truffe.

Non si ammettono sbagli o errori per quegli utenti che vengono gestisti brutalmente dagli algoritmi come se fossero dei criminali ed allo stesso tempo si utilizza uno scarico di responsabilità per coloro che rischiano di perdere tutta la loro memoria digitale a causa di un atteggiamento che si può tranquillamente definire fascista.

Di Livio Varriale

Giornalista e scrittore: le sue specializzazioni sono in Politica, Crimine Informatico, Comunicazione Istituzionale, Cultura e Trasformazione digitale. Autore del saggio sul Dark Web e il futuro della società digitale “La prigione dell’umanità” e di “Cultura digitale”. Appassionato di Osint e autore di diverse ricerche pubblicate da testate Nazionali. Attivista contro l’abuso dei minori, il suo motto è “Coerenza, Costanza, CoScienza”.

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