Aggiornamento: Matrice Digitale ha contattato il Garante per accogliere una dichiarazione sul caso. Se vi sarà risposta sarete aggiornati. Nel frattempo scatta la difesa del Garante
Una lettera anonima, è stata inviata contemporaneamente a più testate giornalistiche e firmata dall’ex commissario e presidente dell’Autorità garante per la protezione dei dati defunto professor Stefano Rodotà, che secondo l’autore della missiva si starebbe rivoltando nella tomba. Il documento di 50 pagine ha riaperto una delle questioni più delicate della trasparenza istituzionale italiana su cui aleggia malcontento da tempo immemore. Il documento, diffuso in modo clandestino e definito attività di dossieraggio dagli stessi soggetti coinvolti, getta luce su dinamiche interne al Garante Privacy e sui rapporti tra membri del Collegio, conflitti di interesse, intrecci politici, attacchi personali e pressioni anche fuori dai canali ufficiali.
Il cuore dell’inchiesta arrivata in anonimo (da verificare e con alcune imprecisioni secondo una fonte interessata ascoltata da Matrice Digitale) ruota attorno ai tre membri Ferroni, Ghiglia e Scorza, ed al presidente Stanzione, le cui nomine risalgono a quasi sette anni fa e scadranno nel 2027. Già da tempo circolavano contestazioni e astio reciproco tra la dirigenza e parte del mondo giornalistico, imprenditoriale e attivista, emersi anche attraverso polemiche e prese di posizione pubbliche sui social. La lettera, rivolta a una delle poche testate ritenute indipendenti, la nostra, sembrerebbe rappresentare tanto un atto di accusa quanto una richiesta di attenzione su fatti che coinvolgono profili pubblici e istituzionali: il sale del giornalismo e della capacità critica di una società civile democratica.
Uno degli aspetti più evidenti riguarda il tema dei conflitti di interesse e il peso delle nomine politiche. In particolare, il testo denuncia la presenza di incarichi in settori sensibili come il legale e la comunicazione, legami familiari tra membri e figure politiche, e uno stato di tensione latente che avrebbe portato a pressioni private e minacce nei confronti di giornalisti e addetti ai lavori. In questa cornice, l’analisi del profilo dei membri del Garante Privacy assume una dimensione che va oltre la semplice rappresentanza istituzionale: se i fatti fossero verificati, probabilmente sarebbe in discussione la trasparenza dei processi decisionali, il rispetto della funzione pubblica e la stessa etica che dovrebbe reggere la gestione dei dati e la tutela dei cittadini.
La vicenda coinvolgerebbe anche aspetti economici rilevanti, con la segnalazione di stipendi elevati (oltre un milione e seicentomila euro in sette anni per ciascun commissario) e di benefici personali legati al ruolo, in un contesto dove si intrecciano potere, nomine politiche e resistenza ai cambiamenti. Colpisce la presenza di un membro con un passato di condanna penale, ma che avrebbe comunque diritto a ricoprire la carica attraverso il noto processo giuridico della riabilitazione, la descrizione di altri profili legati più a carriere politiche che a competenze tecniche in materia di privacy e il perdurare di una cultura dell’appartenenza e della fedeltà, più che del servizio all’istituzione.
Non tanto tra le righe, emergono racconti di pressioni dirette, minacce, tentativi di intimidazione e l’ombra di possibili querele temerarie contro chi denuncia o indaga sulle anomalie. Il dossier solleva il tema dell’omertà e del silenzio come strumento per proteggere posizioni e interessi, ma evidenzia anche come questa cultura possa diventare un pericolo per la democrazia e la trasparenza soprattutto quando questa trova appigli nella società civile timorosa delle ritorsioni del potere.
L’inchiesta si conclude con un invito a non tacere di fronte a pratiche poco limpide e a superare la tentazione del quieto vivere, perché solo la vigilanza pubblica e l’indipendenza giornalistica possono preservare il corretto funzionamento delle istituzioni preposte alla difesa dei diritti fondamentali. Soprattutto i giornalisti e gli editori dovrebbero far attenzione ad affrontare questo tema: in primis perché il Garante ha il potere di sindacare il rispetto del GDPR alle aziende editoriali e poi anche per un fattore di riconoscenza visto che le maggiori testate italiane, grazie alla clemenza del Garante stesso, oggi possono abusivamente chiedere al pubblico di percepire soldi per non tracciare le loro visite o di non pagare, ma esserlo. Una filosofia che ricorda quella dei Meta Accattoni più volte citati da Matrice Digitale.