LUISS e Paolo Benanti, dall'”algoretica” al potere accademico

di Livio Varriale
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L’arrivo di Paolo Benanti all’Università Luiss non è un fulmine a ciel sereno, ma la naturale conseguenza di una traiettoria già delineata e anticipata da Matrice Digitale. Dopo anni passati nel ruolo di riferimento etico per l’intelligenza artificiale in Italia, il religioso, teologo e accademico che ha ricoperto un ruolo centrale nella Pontificia Università Gregoriana, passa ora a un’istituzione privata laica, notoriamente vicina agli ambienti industriali, militari e politici che ruotano attorno al potere. Il governo Meloni ha sostenuto con convinzione il suo profilo, promuovendolo non solo come esperto di IA, ma come interprete di una visione che unisce l’etica alla governance digitale. Ma questa visione, lontana dalla radicalità teologica delle origini, si è adattata con sorprendente rapidità alle logiche dei mercati, dei think tank, delle grandi aziende, e infine degli appaltatori della Difesa.

L’algoretica si adatta al mercato

Nel corso degli ultimi anni, Benanti ha tentato di costruire un’etica algoritmica chiamata “algoretica”, ovvero una via cattolica alla regolamentazione dell’intelligenza artificiale. In un contesto accademico e religioso però, sempre più stretto per le sue ambizioni, ha cercato spazio in altri luoghi. La Gregoriana, con la sua missione teologica, appariva inadatta a un personaggio che si muove con disinvoltura fra convegni istituzionali, task force governative e talk show. Il passaggio alla Luiss – università privata controllata da Confindustria e direttamente connessa al potere industriale e politico del Paese – sembra completare così il trasferimento narrativo da “prete dell’etica” a tecnocrate dell’ordine digitale. Una presenza come quella di Benanti in un contesto che forma futuri dirigenti d’impresa, analisti politici e manager delle tecnologie, appare funzionale all’esigenza di legittimare un nuovo modello di governance digitale: probabilmente etica solo in apparenza, fortemente mercatista nella sostanza.

Chiesa e Difesa nella stessa accademia

Uno degli aspetti più controversi di questo passaggio è la prossimità nelle aule dell’accademia tra Benanti e Leonardo, gigante italiano della difesa e produttore di armamenti. Per non parlare degli interessi che ha la Luiss nel mondo dell’Intelligence trasversale che negli ultimi mesi ha abbandonato Orsini e le vicinanze russe per fare spazio a voci d’intelligence atlantiste e intransigenti devote all’armamento di necessità ed all’interventismo militare. Nell’ambiente Luiss, Benanti si è già trovato seduto idealmente allo stesso tavolo di figure e alti dirigenti coinvolti nella definizione dei futuri sistemi intelligenti per applicazioni belliche. La retorica dell’etica nelle armi intelligenti rischia di diventare l’ennesima narrativa per normalizzare la militarizzazione dell’IA, proprio mentre l’Italia e l’Unione Europea discutono di regolamentazioni per i sistemi autonomi. È questo il vero cambio di paradigma: l’etica da vincolo diventa strumento, una potenziale legittimazione morale utile a chi sviluppa sistemi d’arma sempre più sofisticati.

Benanti e il mondo dell’informazione

La presenza di Benanti nel mondo dei media italiani è cresciuta in modo esponenziale in parallelo con la sua ascesa politica. Da semplice blog personale, è arrivato a scrivere stabilmente su grandi quotidiani, che condividono l’interesse da sempre di monopolizzare le grandi fette degli algoritmi, con una prolificità sospetta per un religioso impegnato su molteplici fronti. A consolidare questa rete mediatica, si inserisce la figura del professor Sebastiano Maffettone, filosofo e accademico che ha fatto da sponda istituzionale alla sua promozione editoriale accademica nell’ultimo periodo. La combinazione fra produzione intellettuale, visibilità mediatica e sostegno politico ha permesso a Benanti di assumere una centralità che non si limita più al dibattito etico, ma entra pienamente nella sfera dell’influencer culturale con scarsi risultati al di fuori delle piattaforme Microsoft, con cui Benanti ha rapporti ben saldi tanto da accompagnare Gates dalla Meloni in Italia, come LinkedIn, dove la Luiss effettua investimenti massicci in termini di pubblicità e vista la proprietà del social con sede a Redmond, non sorprende che faccia piacere all’algoritmo “personalizzato” della piattaforma che ad essere premiato sia una persona gradita. Nel 2024, grazie alla presidenza nella Commissione sull’AI nell’editoria presieduta da Barachini, Benanti ha ulteriormente consolidato il proprio ruolo, partecipando attivamente alla definizione di linee guida, progetti e soluzioni AI per il settore giornalistico. Ma mentre i giornali locali annaspavano, lui triplicava le proprie pubblicazioni sui grandi quotidiani, rafforzando la propria autorappresentazione di esperto.

La finta neutralità dell’etica istituzionale

La retorica di Benanti, basata su valori universali e compassione cristiana, cozza con l’adesione a strutture accademiche che collaborano con soggetti profondamente coinvolti in strategie belliche e modelli di capitalismo predatorio. Si pensi alla Scuola di giornalismo della Luiss, diretta da Gianni Riotta, ex direttore de “la Repubblica” e protagonista di diverse iniziative di fact-checking istituzionale al limite della professione giornalistica e con un sapore di agenzie di validazione strumentali ad una censura sempre più stringente in periodi di guerra come questo che viviamo attualmente. Proprio Riotta ha avuto un ruolo fondamentale nella creazione di un sistema di validazione delle notizie che, negli ultimi anni, è stato accusato da più voci di essere strumento di censura selettiva mascherata da lotta alla disinformazione. La collaborazione fra Riotta e Benanti culmina nella produzione RAI sull’IA, un progetto televisivo finanziato con fondi pubblici che mira a “spiegare” l’intelligenza artificiale agli italiani.

Ma chi seleziona cosa è giusto o sbagliato? Chi stabilisce cosa è etico?

Il rapporto fra Chiesa, Stato e Industria si complica proprio nel momento in cui figure come Benanti assumono un ruolo di filtro fra conoscenza e potere.

Dal pulpito al consiglio d’amministrazione

L’impressione è che l’algoretica sia diventata, più che un campo di studio, un brand, utile a monetizzare autorevolezza e costruire una carriera trasversale fra teologia, politica, informazione e industria. Non a caso, nel suo ultimo incarico, Benanti riceve una cattedra in Scienze politiche, a coronamento di un percorso che ha poco a che fare con le scienze dure, e molto con le strategie di influenza. Nel suo libro del 2017, La prigione dell’umanità, Matrice Digitale già avvertiva che il vero rischio dell’intelligenza artificiale sottoforma di algoritmo era l’appropriazione da parte di élite che avrebbero utilizzato l’etica solo come copertura per il controllo sociale. Lo scenario prefigurato allora non sembra essere molto distante dalla forma concreta del potere “morale” di Benanti, capace di giustificare, etichettare, approvare o rifiutare linee politiche e progetti strategici, non sulla base di una reale etica condivisa, ma di un potere costruito sulle relazioni.

Benanti e il futuro dell’IA italiana

All’interno di un contesto politico sempre più polarizzato, e con una comunità scientifica in fermento, Benanti sembra oggi più vicino al ruolo di stratega comunicativo che a quello di consulente etico. Le sue uscite su LinkedIn, seguite da like e interazioni dei principali operatori istituzionali, rivelano una volontà di accreditarsi come ambasciatore dell’intelligenza artificiale italiana. Ma mentre cresce il consenso nei palazzi, si allarga il dissenso nei laboratori, fra i tecnologi, i giornalisti indipendenti, gli attivisti, e gli accademici che faticano a riconoscere in lui una figura tecnica o epistemologica. Le sfide che l’Italia dovrà affrontare nei prossimi anni nel campo dell’IA – dalla governance degli algoritmi pubblici alle norme europee sull’AI Act – avranno bisogno di competenze, indipendenza, trasparenza. Tutte caratteristiche che oggi vengono messe in dubbio da molte fonti interpellate da Matrice Digitale nel caso di Benanti, il cui percorso sembrerebbe raccontare la storia di una cooptazione, più che di una chiamata morale.

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