La Commissione Editoria sull’intelligenza artificiale guidata da Paolo Benanti e sostenuta da Alberto Baracchini è diventata, negli ultimi mesi, un centro politico più che un presidio di tutela per editori e informazione. La gestione dell’algoritmica nell’ecosistema delle notizie, i rapporti con l’Agenzia per la cybersicurezza nazionale, l’uso di algoretica come leva di posizionamento, il focus sul reato di deepfake nel DDL italiano sull’AI, il ruolo di Giorgia Meloni e il piano da un miliardo di euro promosso da Alessio Butti, oltre ai convegni con Hinton e Bengio, compongono un quadro in cui gli algoritmi prevalgono sulle regole e l’editoria resta marginalizzata. Il risultato è un sistema che premia visibilità e costruisce curricula, mentre lascia irrisolti i problemi strutturali della qualità informativa.
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Una commissione che devia dal mandato
La commissione, nata per definire regole fondamentali per l’editoria, si è trasformata in una piattaforma di visibilità politica. L’informazione legata all’AI è stata usata più per accreditare i curricula dei partecipanti che per riformare il settore. Matrice Digitale ha segnalato in tempi non sospetti come chi si presentava come baluardo contro algoritmi perversi non abbia mai agito in modo incisivo per limitarne l’impatto sulle news.
AI, SEO e il peso degli algoritmi sulle notizie
Le criticità sono diventate visibili quando testate vicine a determinati ambienti, come Huffington Post o CNN, hanno perso quota a causa delle overview di Google urtando il sistema autoreferenziale costruito negli ultimi anni attraverso i paladini del contrasto alle Fake News ed alla disinformazione. La centralizzazione dell’indicizzazione online ha rafforzato chi controlla le regole SEO, imponendo strategie che avvantaggiano alcuni editori. L’algoritmo decide la visibilità, non la qualità. In questo contesto, Benanti e il suo sponsor politico Baracchini hanno difeso fasce editoriali già coperte da accordi europei, rischiando che si possa un domani arrivare di fatto a selezionare chi merita l’attenzione degli algoritmi, anzi, e partecipano anche a convegni dove siede uno stakeholder particolarmente interessato come Google rappresentato da Diego Ciulli.
Algoretica come marchio e la sponda ACN
A capo della commissione c’è l’ideatore dell’algoretica, concetto divenuto marchio per un posizionamento redditizio, con consulenze per Big Tech, come evidenziato dagli stessi sostenitori del francescano. La Commissione ha tessuto intrecci anche con l’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale, fino a realizzarne campagne istituzionali che avrebbero rimpinguato le casse dei media per i passaggi pubblicitari. La convergenza tra regolazione editoriale e sicurezza cibernetica alimenta una forma di censura preventiva su temi sensibili come guerre o pandemie. L’esito è un perimetro informativo che stringe editori e lettori sotto logiche extra-editoriali ancora più forti rispetto al passato e Benanti e Baracchini stanno traghettando l’informazione e l’editoria verso un punto di non ritorno, ma scontato vista la direzione degli ultimi anni dei massimi sistemi che hanno tessuto le regole del settore.
DDL AI e il reato di deepfake lontano dall’editoria
La commissione ha partecipato al DDL sull’intelligenza artificiale non per rafforzare diritti e tutele di editori e giornalisti, ma per spingere sul reato di deepfake. La misura, pur rilevante sul piano penale, non incide sulle asimmetrie tra editori e piattaforme algoritmiche, né sulle pratiche SEO che governano l’accesso all’informazione. La priorità è stata la visibilità politica, non la riforma del settore.
Il rapporto con Giorgia Meloni e l’asse moderato
Il contenitore nato in disappunto con Giorgia Meloni sembra ora sfuggire di mano alla premier, alimentando correnti ostili al governo. Meloni, però, punta a stabilità politica e apertura verso l’area moderata, anche a costo di tollerare protagonismi che trasformano la commissione in un palcoscenico personale. La tenuta dell’esecutivo prevale sulla ristrutturazione del sistema editoriale dove Meloni aveva promesso in campagna elettorale l’attenzione agli algoritmi social, ma si è trovata protagonista grazie alla guerra Ucraina ed alle esigenze NATO proprio con quelle logiche perverse che criticava e che le hanno consentito di macinare voti da coloro che credevano nel free speech.
Il piano da un miliardo di euro e il confronto mancato
Il piano da 1 miliardo di euro promosso da Alessio Butti per l’AI rappresenta un orizzonte industriale concreto. Il confronto con l’attivismo comunicativo della commissione evidenzia una distanza: da un lato investimenti e pianificazione, dall’altro convegni e narrazioni. Senza misure che riequilibrino il rapporto editori-piattaforme, gli investimenti non bastano a restituire centralità all’informazione.
Convegni, silenzi e maestri dell’AI
L’evento pianificato pochi giorni prima del lancio del DDL AI italiano con Hinton e Bengio ha offerto accuse alle multinazionali dell’AI, che li hanno scaricati, dopo anni di silenzio sulle applicazioni belliche dell’intelligenza artificiale proprio da chi per motivi etici avrebbe dovuto farlo tempo addietro proprio per urtare società come Google, Amazon e Microsoft che forniscono supporto di infrastruttura, algoritmico e di intelligence agli eserciti. Il racconto etico è diventato cornice comunicativa, non strumento di policy e un grimaldello per accedere ai piani di investimento previsti dal Governo.
La retorica dell’algoretica, debunkata ultimamente dal docente Walter Quattrociocchi, non ha sostituito proposte operative su trasparenza algoritmica, audit e equità di ranking, ma ha prodotto la lista della spesa di valori fin troppo svenduti al pubblico e scontati per chi mastica la materia.
Malumori interni e gestione dall’alto
Tecnici ed esponenti della stessa area politica di Baracchini, Forza Italia, hanno espresso malumori per una gestione calata dall’alto, che ha escluso figure di Forza Italia impegnate sull’AI. La scaletta degli eventi è stata definita in modo verticistico, premiando fedeltà e visibilità rispetto a competenze e pluralismo. Il risultato, secondo alcune fonti che hanno contattato Matrice Digitale, è un ecosistema autoreferenziale che disperde capitale umano e fornisce opportunità di crescita ai soliti noti, escludendo i militanti storici.
Un sistema che sacrifica l’informazione
In questo gioco di specchi, l’algoretica è divenuta racconto più che soluzione, mentre gli algoritmi continuano a sovrastare le notizie. La Commissione Editoria si è trasformata in un centro politico trasversale, più attento agli equilibri interni che alla difesa dell’informazione, del giornalismo e della libertà di stampa. Senza regole chiare su ranking, trasparenza e responsabilità delle piattaforme, l’informazione continuerà a perdere terreno, autonomia e rilevanza, ma sarà possibile controllarla:
che sia questo l’obiettivo algoretico a cui ambiscono?